W. G.
La lettera di Gertrud è un romanzo che trascende i generi in maniera radicale, perché mescola narrativa d'invenzione con parti di saggistica (fatti storici, filosofia, scienza).
La struttura è varia perché parte scritto in prima persona e si riferisce unicamente al protagonista, Martin, poi mostra l'opinione di altri personaggi e, infine, ci sarà una sorpresa.
La forza del romanzo è quella di riuscire a parlare di temi complessi e di farlo con semplicità. Sembra facile, ma bisogna saperlo fare.
Il romanzo è tradotto molto bene da Katia De Marco e mostra il rapporto tra scienza e capitalismo, rappresentato dal paradiso borghese svedese.
B. L.
Non ha volutamente esplicitato l'ambientazione del romanzo perché desiderava che potesse essere valido per ogni Stato europeo, esclusa forse la Germania.
Il motivo per cui l'ha scritto è il suo legame ambiguo con il passato; suo babbo è morto quando era piccolo e il nonno non era realmente quello biologico. Del vero nonno non si diceva niente, così come del passato della nonna. Può essere visto, dunque, come un nuovo libro sull'assenza di suo padre nella sua vita.
Non si sente appartenente ad un unico luogo; ha vissuto in Italia, Parigi, Irlanda... e passa molto tempo anche in barca a vela. Non accetta il concetto di "prima gli italiani" così come non accetterebbe quello di "prima gli svedesi".
Inoltre, ha scelto di scrivere questo romanzo per sfidare sé stesso e i propri lettori fedeli, abituati ad altre tipologie di romanzi.
Parlare dell'identità è, per lui, una delle tematiche più complesse possibili.
W. G.
L'identità ebraica, in questo caso, è paradigmatica. All'interno del testo sono citati moltissimi libri che riportano opinioni al riguardo, molto diverse tra loro. Ad esempio, Sartre diceva che l'ebro è determinato dallo sguardo dell'antisemita, mentre in molti ebrei c'è la volontà di dire "noi siamo ebrei". Fino a che punto l'identità è una scelta?
B. L.
Ha letto per cinque anni testi sull'ebraismo per rispondere a questa domanda ed è giunto alla conclusione che se vivi per stereotipo non riesci ad essere la persona che sei.
W. G.
Il romanzo può essere considerato anche politico, anche se in senso buono. Come si costruisce l'identità? È più razionale o più irrazionale?
B. L.
La domanda non deve essere cos'è l'identità ma con chi vogliamo essere. Il marito della sorella è stato adottato e l'ha scoperto solo anni dopo la morte della madre, ma questo faceva di lui un uomo diverso?
W. G.
È anche il linguaggio scelto a determinarlo. Il linguaggio nazista si è fatto via via sempre più spinto; quando hai la possibilità di dire certe cose il linguaggio può diventare veicolo di situazioni pericolose.
B. L.
La disumanizzazione comincia con un'epurazione semantica. Lui evita sempre di utilizzare le parole di moda in quel periodo, il linguaggio è potente e va utilizzato adeguatamente, senza semplificarlo.
W. G.
Quando scrive e si trova nel dubbio su quale parola utilizzare, cerca sempre di pensarla in una delle altre lingue che conosce bene; in modo da capire qual è il concetto esatto che vuole esprimere. Talvolta anche all'interno di un gruppo discriminato c'è tendenza verso un linguaggio discriminatorio, un esempio può essere quello degli ebrei che talvolta può essere islamfobico.
Quando parla di gruppi particolari fa un esercizio e sostituisce la parola con ebrei, per comprendere se ciò che esce risulta o meno antisemita.
Quanto di quello raccontato nella lettera di Gertrud c'entra con la vergogna?
B. L.
La vergogna è il sentimento più complicato che esista da esprimere perché non se ne parla. Il segreto è qualcosa di autoritario: chi lo sceglie lo fa anche per l'altro a cui lo nasconde.
Talvolta, però, non ci si nasconde, come ha fatto lui in L'occhio del male, dove ha rappresentato la sua identità.
Una volta ha fatto il test del DNA ma non ha scoperto niente di rilevante, per l'80% è scandinavo per il 10% inglese... Sperava di trovare qualcosa di particolare, visto il suo passato misterioso, ma non c'era nulla.
Con la scienza si può raccontare com'è fatta la realtà ma non possiamo scegliere come vivere. Ad esempio Angelina Jolie, che sapeva di avere una maggiore probabilità di avere il tumore al seno e ha deciso di conseguenza, la sua scelta non era obbligata ma è stata presa da lei.
W. G.
La libertà di scelta talvolta è limitata, fino a che punto si decide di essere un eroe o di pensare alla propria sfera privata? Nel libro vengono citati anche personaggi che hanno aiutato degli ebrei nella Seconda Guerra Mondiale e che, dopo, non ne hanno voluto parlare, dicendo che non era una scelta, bensì una cosa che si doveva fare e che di eroico non c'era nulla.
B. L.
In questo caso c'è una trappola. La scelta sembra razionale, ma non lo è. Lui stesso sono stato in carcere cinque mesi perché mi sono rifiutato di fare il servizio militare.
Se uno fa qualcosa per essere un eroe non vale allo stesso modo. L'etica è giudicata dalla conseguenza delle nostre azioni, se si fa qualcosa pensando di riceverne qualcosa di positivo non è un atto di eroismo. Se si fa con il cuore, invece, sì. Come coloro che hanno aiutato gli ebrei e hanno deciso poi di non parlarne; non volevano la gloria, era semplicemente ciò che era giusto fare.