Quello non era un campo estivo, tanto meno un'escursione didattica. Era un incubo, e voleva soltanto che finisse.
L'istituto di Stephen King è uscito per Sperling & Kupfer il 10 Settembre 2019 e io, da Fedele Lettrice, l'ho acquistato immediatamente.
Non ho nascosto il mio rapporto travagliato con il King degli ultimi tempi, che trovo decisamente meno sincero in ciò che fa e anche un pochino arrugginito. L'istituto, però, è il libro più bello uscito recentemente. Gli ho dato 7 e mezzo perché voglio considerare l'opera omnia del Re per valutarlo, ma sarebbe stato anche un 8 considerando solamente le ultime uscite.
Insomma, King è cambiato, ma qui dà forse il meglio che gli è rimasto, anche se continuerò a sperare fino alla fine che non sia così.
Ora vi racconterò del romanzo nel modo più oggettivo possibile (ma con questo autore, che è stato il mio primo grande amore mi è difficile) per poi lasciare le considerazioni da fan sfegatata ma delusa nelle conclusioni.
Partiamo con il dire che L'istituto è più un romanzo per ragazzi che per adulti (e lo si nota, secondo me, anche dalla dedica dell'autore rivolta ai nipoti) e che non è affatto horror, per quanto presenti qualche elemento splatter e un'idea iniziale certamente cupa. Leggendolo partendo da quest'ottica credo il lettore vedrà deluse minori aspettative e riuscirà ad apprezzarlo maggiormente.
La trama parla di Luke Ellis, ragazzo incredibilmente dotato a livello intellettivo, che viene rinchiuso dentro a "L'istituto" per una sua capacità quasi irrilevante a confronto del QI; è lievemente telecinetico. Insieme a lui ci sono altri ragazzi, sempre dotati di poteri, e tutti loro sono vittime di esperimenti orribili di cui non si scopriranno intenti e motivazioni se non verso la fine del testo. Spesso e volentieri King associa questo luogo ai campi di concentramento, sebbene ciò che succede sia ben differente e decisamente ridotto sia in termini di quantità ma, soprattutto di atrocità perpetuate. Il parallelo, però, aiuta ad umanizzare e a sentire maggiormente ciò che succede che, comunque, è terribile.
L'atmosfera, infatti, a parte questi piccoli aiuti e qualche frase ben riuscita che ai nostalgici ricorderà i "bei tempi" Kinghiani, non sarà particolarmente tangibile. Proprio per questo non può essere considerato un horror; salvo le primissime pagine dove ci si aspetta da un momento all'altro che si avvii qualcosa che poi non inizierà mai, il lettore non ha mai il benché minimo fremito, se non derivante da ciò che succede effettivamente. Il "non detto" non c'è e così nemmeno la suspense. Quest'ultima manca completamente anche a livello di trama, perché appare più che evidente sin da subito la struttura portante della vicenda.
La struttura del testo, infatti, è l'aspetto che delude maggiormente. Si apre con un punto di vista (tra l'altro molto interessante), che viene completamente abbandonato per la stragrande maggioranza delle pagine e appare piuttosto evidente quale sarà la sua finalità. Solamente da metà testo (ma anche qualcosina in più) in avanti si cominceranno a vedere un po' di cambi di punti di vista (qualche sprazzo di "cattivi" e uno nuovo, creato necessariamente a causa dello sviluppo della storia), ma questo aspetto non verrà quasi mai portato avanti in maniera parallela e utile per aumentare la frenesia di lettura del lettore.
Quest'ultima, però, non manca. Nella seconda metà il testo diventa più veloce e aumenta sempre di più il ritmo fino ad arrivare al parossismo del finale, e nella prima parte rimane snello e piacevole. Per chi, come me, ama le scene statiche le prime pagine saranno, anzi, le migliori.
Mentre all'inizio della parte relativa al vero e proprio protagonista, Luke Ellis, troviamo molte pagine che hanno lo scopo di introdurre l'ambientazione (l'istituto), e spiegarne i funzionamenti, e i personaggi che lo abitano, per mettere le basi delle relazioni fondamentali, da metà testo in po' troveremo l'azione vera e propria.
Lo stile di King è riconoscibile da alcuni fattori che non tramontano mai, come i riferimenti a musica e cantanti, film ed attori, cartoni animati, giochi di società, fumetti e libri (Le cronache del ghiaccio e del fuoco, John Grisham, Il Dottor Jeckyll e Mr. Hyde, Pasto nudo, Dostoevskij, Pinocchio, T.S. Eliot, Hemingway, Faulkner, Voltaire, Giovenale, Signore delle mosche, Alice nel Paese delle Meraviglie, Hänsel e Gretel, Eldridge Cleaver, Dr. Seuss, John Keats, Thomas Hardy, Rudyard Kipling, Coleridge).
Numerosissimi sono anche i rimandi, alcuni più impliciti altri quasi del tutto espliciti, a libri precedenti dell'autore. Il testo, infatti, ricorda un mix di It e Incendiaria con un finale alla Acchiappasogni, ma ci sono riferimenti anche a Rose Madder, Laurie, Tommyknockers, Quattro dopo Mezzanotte, It, Shining, Mr. Mercedes, La Zona Morta, Outsider, Le notti di Salem, La Torre Nera, o perlomeno, questi sono quelli che sono riuscita a trovare io (tra l'altro, in un caso, la scelta di traduzione non aiuta in questo senso).
Avevano bisogno solamente gli uni degli altri. Il mondo, con tutti i suoi problemi, poteva andare a farsi fottere.
Se in Elevation il leit motiv era "cosa sta provando il protagonista" qui, invece, è "cosa sta pensando" e dunque troverete la parola pensare coniugata in mille modi e spiegazioni (talvolta anche palesemente rivolte a rendere credibile qualcosa che, altrimenti, traballerebbe un po') sul perché un personaggio agisce in un determinato modo in base a ciò che ha pensato.
Ci sono anche continue ripetizioni sia di frasi, che di parole che di fatti. Alcune sono volute e sono inserite appositamente per dare enfasi e un senso di ineluttabilità, altre sono probabilmente sviste, altre rappresentano evidenti fisse/concetti che King voleva rimarcare, temendo non fossero notate, dimostrando poca fiducia nel lettore. Alcune di esse sono legate a concetti pro politically correct di cui ormai questo scrittore infarcisce ogni suo nuovo testo, probabilmente per "contrastare" l'idea politica di quello che, ormai, può essere considerato il suo chiodo fisso: Donald Trump.
Il presidente americano viene nominato per la prima volta a pagina 7 per poi ritornare sia in modo evidente (nominato) che sordido (frecciatine) altre volte, ancora ed ancora.
Gli aspetti più eclatanti e maggiormente ripetuti sono: il fatto che se una donna svolge un lavoro umile sembra stupida ma non lo è necessariamente ed è sorprendente scoprirlo dato che a quanto pare l'abito fa il monaco anche nel 2019, che i ragazzi di città non vivono alcun tipo di avventura e non sanno niente in confronto a quelli di campagna, anche se sono dei piccoli geni che sanno tutto il resto e che, dulcis in fundo, il Sud degli Stati Uniti è tutt'altra cosa, altro che gli Yankee (ovviamente, King, è del Nord e quindi può permettersi di sminuire sé stesso).
Era stata lei a fingersi stupida? Forse sì, ma forse, invece – anzi, molto probabilmente – era stato lui che, vedendola con un'uniforme da donna delle pulizie, aveva dubitato a priori della sua intelligenza.
Il libro è mediamente lungo e King mette in dubbio anche la memoria dei lettori; verso la fine ci vengono ricordate alcune cose che sappiamo perfettamente e che risultano completamente ridondanti sia per noi che per i pensieri dei personaggi.
Alcuni giochi di parole, come l'assonanza tra Jake/Snake e Phil/Pill si perdono nella traduzione italiana, che avrebbe potuto implementare con le note, spiegandole al lettore.
Di gergo inventato e creato ad hoc per l'occasione ce n'è poco e non rimane impresso come in altri testi.
L'ambientazione del libro passata da DuPray, al Minnesota all'Istituto, quest'ultimo è sicuramente la location meglio visualizzata e raccontata.
Le tempistiche sono inizio giugno/luglio per la parte iniziale, mentre la parte con Luke inizia ad aprile. Le vicende clou si svolgono a fine luglio e il libro termina ad ottobre.
In conclusione, L'istituto è un libro che riecheggia la gloria di un tempo senza mai avvicinarcisi realmente. I lettori nuovi potranno apprezzarlo per l'idea, quelli vecchi per la nostalgia che susciterà. Per quanto mi riguarda, King ora scrive per motivazioni differenti a quello che lo muovevano fino ad un decennio fa (ma anche qualcosa in meno); ora sembra che la sua priorità sia combattere Trump e infilare messaggi ruffiani verso gruppi potenzialmente discriminati (in Sleeping Beauties già l'ha fatto in modo clamoroso verso le donne) che, così espliciti e messi a bella posta non hanno alcun effetto positivo e inducono solamente a pensare a qualcosa di fatto apposta e non sincero.
Il rimando ad altre opere è evidente, così come mi pare chiaro che queste ultime due uscite (Elevation e L'istituto) si basino molto su trame di libri passati (L'occhio del male, L'incendiaria e It) e non si riesce a capire bene se lo faccia per un proprio piacere, o per "tenere buoni" i fan (in tal caso, su di me ha l'effetto contrario).
Stephen King non mi fa sentire più la verità dentro le sue parole e, questo, influisce grandemente sulla piacevolezza della lettura. I cattivi non sono più tali o, comunque, iconici da lungo tempo e lo stile smaschera la poca fiducia nel lettore. Per questi motivi non so se consigliarlo; non è un brutto libro ma ricorda molto una minestrina riscaldata e, sicuramente, industriale.