Era l'inizio di una nuova era, quella della "morte di Stato".
Voglio iniziare questa recensione con un coming out: nonostante non lo ritenga perfetto, questo è uno di quei libri che, con il senno di poi, avrei volentieri comprato anche da sola perché, sotto molti aspetti, mi ha entusiasmata ed è certamente uno dei romanzi ricevuti per collaborazione con autore, che mi ha resa maggiormente felice di leggerlo. Dire che l'avrei comprato da sola, forse è poca cosa per chi non mi conosce ma, in verità, è davvero tanto: io sono piuttosto controllata nelle spese e, se acquisto qualcosa, anche un libro, è sempre dovuto ad una scelta ben ponderata e riflessiva.
Morte di Stato è un romanzo di distopia politica ambientato in Italia, in un futuro immaginario (speriamo). Io amo particolarmente i libri distopici e, devo dire la verità, sin dalla presentazione per mail dell'autore, ero incuriosita dalla lettura. Quando, finalmente, ho ricevuto il romanzo in formato cartaceo la mia curiosità si è ulteriormente estesa: il romanzo è autopubblicato e, perciò, non ha dietro una grande Casa Editrice, eppure esteticamente è davvero accattivante.
La struttura del libro, se possibile, mi ha convinta ulteriormente. Mi è piaciuto il font usato e la sua grandezza; i capitoli sono brevi e vengono terminati alla velocità della luce, ci sono alcune parti scritte in maniera differente per sottolineare i punti in cui la narrazione cambia, e vi sono anche delle illustrazioni che donano un tocco finale ad ogni capitolo, che personalmente ho apprezzato molto.
Al termine del libro si possono trovare dei Files che ampliano ulteriormente ciò che viene narrato nella storia, sono cioè approfondimenti di determinate tematiche. Sono sicura che se lo stessa identica idea del romanzo, se curata da una Casa Editrice e pubblicizzato a dovere, avrebbe attirato l'attenzione di moltissimi lettori. Spero, perciò con questa mia recensione, di avere una piccola parte nel farvi conoscere un'idea interessante e ben sviluppata.
In un romanzo distopico ciò che più conta è, appunto, l'ambientazione distopica. Per chi ancora non conoscesse il termine, la distopia è l'opposto dell'utopia; è cioè un mondo immaginifico (solitamente proiettato nel futuro) dove un aspetto negativo in fieri della nostra società viene ampliato fino a supporre come sarebbe il mondo se lo lasciassimo sviluppare in un determinato modo.
In Morte di Stato la distopia è prevalentemente riguardante il problema pensionistico; soprattuto quello italiano che conosciamo bene; i pensionati che sono sempre di più e i giovani che calano di numero, la disoccupazione giovanile dovuta al difficile ricambio generazionale sono i termini cardine su cui si basa l'idea del romanzo.
Trasatti prende spunto da queste problematiche e ci racconta una soluzione che, ovviamente, ha un risvolto orribile (altrimenti che distopia sarebbe?), e ci fa riflettere sulla situazione sotto un nuovo punto di vista.
Ho apprezzato particolarmente l'ambientazione geografica del romanzo perché, prima di tutto, si allinea bene al problema discusso e, inoltre, trovo sia una scelta molto coraggiosa ambientare in Italia un libro del genere; lo ritengo anche innovativo per un autore italiano, per giunta non affermato e, quindi, meno comodo nella scrittura. È risaputo, infatti, che noi italiani tendenzialmente riteniamo più interessanti romanzi ambientati all'estero e che davanti ad un romanzo italiano, ambientato in Italia, se l'autore non è già considerato un grande nome della Letteratura, siamo più propensi a storcere il naso e a passare avanti.
Nonostante la distopia sia estesa a tutta l'Europa (non per niente Morte di Stato è il primo di una serie chiamata, appunto, Europa Series) possiamo considerare punto focale della vicenda proprio l'Italia e, in particolare, la sua Capitale: Roma.
Dal punto di vista temporale il romanzo è ambientato in un futuro piuttosto vicino: il 2030.
Bello anche il messaggio del romanzo; è importante che un libro distopico susciti domande sulla nostra società e la risposta che viene data dall'autore è condivisibile, positiva e, anche, propositiva.
Lo stile di scrittura di Trasatti è ben fatto ma non mi ha convinta del tutto. Non posso affatto affermare che non mi sia piaciuto, anzi, ma mi ha trasmesso una sensazione di insicurezza. Come sapete, io sostengo sempre di preferire il troppo al troppo poco ma, in questo caso, ho avvertito come una paura dell'autore ad osare, come se si rendesse conto delle possibili lacune in cui sarebbe potuto incorrere e, onde evitare recriminazioni di questo tipo, avesse detto più del necessario. Vi faccio un esempio pratico, in modo da spiegarmi al meglio:
Nicola decise di sfogarsi, ignorando il fatto che fosse di fronte ad uno sconosciuto. Uno sconosciuto che, però, ispirava fiducia.
Come noterete anche voi, nella frase citata non c'è alcun problema stilistico, ma l'impressione che se ne può ricavare, secondo me, è la seguente: l'autore ha pensato che fosse poco credibile che Nicola potesse sfogarsi con il personaggio in questione perché ancora sconosciuto e, dunque, ha voluto chiarire che sì, non è una cosa usuale, ma in questo caso ha senso perché gli ispirava fiducia. Nella realtà dei fatti, invece, avrebbe potuto dirci la stessa cosa senza sottolineare la stranezza della cosa e, probabilmente, i lettori si sarebbero accorti meno di questo fatto desumendo da soli la fiducia data da Nicola all'individuo. Ovviamente questa è una considerazione del tutto personale che non necessariamente corrisponde a realtà, ma io ho avvertito questo in molte parti del romanzo e, perciò, per dovere di completezza ve ne ho parlato.
Non ritengo questa cautela un vero e proprio errore, anzi, ben venga che l'autore si premuri di non scrivere castronerie o cose non comprensibili, imputo più che altro alla poca sicurezza di sé (probabilmente data dalla mancanza di esperienza che può invece avere un autore famoso o che, comunque, ha scritto per tutta la vita) che, inevitabilmente, il lettore avverte. Dato che, dunque, il libro mi è piaciuto molto e sarei felicissima di leggere altro di Trasatti (prima, però, dobbiamo dargli il tempo di scriverli!) lo esorto, nel mio piccolo, a crederci di più: è sempre meglio il troppo al troppo poco, ma scrivere è anche lasciarsi andare, abbandonare ogni cautela!
L'aspetto stilistico ha influito grandemente anche sulla mia capacità di avvertire l'atmosfera. I temi trattati, le scene, lo svolgimento, la grande capacità di rendere l'orrore della distopia: tutto concorreva a farmi emozionare enormemente, eppure, per quanto il libro mi sia piaciuto, sento di non aver provato quello che, invece, avrei dovuto. Morte di Stato è un romanzo che può farti piangere, disperare, indubbiamente agitare, eppure io ne sono sempre rimasta fuori, come una semplice spettatrice.
L'incipit della storia è preceduto da un'introduzione accattivante e particolare, sicuramente moderna, perciò, quando si inizia il romanzo vero e proprio, non ci si aspetta il linguaggio formale e serio più tipico del classico. Ci si mette ben poco ad entrare nell'ottica del linguaggio ma, la prima impressione non è particolarmente intrigante. All'interno delle prime frasi si riconoscono già due elementi principali della trama: la forte valenza politica della storia e l'anticipazione che la vita del protagonista cambierà da quel giorno, perciò possiamo dire che la storia sia degnamente introdotta.
La trama del romanzo è davvero interessante: l'età della pensione è stata spostata a 60 anni, ma una volta compiuti i 70 ogni bravo cittadino dovrà assolvere il suo compito ed accettare serenamente la morte di Stato; morirà per poter favorire il ricambio generazionale e non pesare sulla cittadinanza giovane. Sono stata subito colpita dall'idea, che mi ha rimandato immediatamente agli antichi romani e alla loro pratica, mai realmente confermata, di far "suicidare" i più anziani.
Quello che ho apprezzato maggiormente è, senza dubbio, la spiegazione della nascita del mondo distopico. Si tratta di un aspetto difficilissimo da presentare perché deve essere credibile ed interessante e su questo moltissimi autori, anche quelli arcinoti, fanno scivoloni giganteschi.
Per fare un esempio impopolare ma, per me, assolutamente calzante Margaret Atwood in Il racconto dell'ancella non riesce affatto a colpire nel segno come, invece, è riuscito Trasatti.
Ero piuttosto curiosa di conoscere lo svolgimento perché la trama mi intrigava particolarmente ma non sapevo proprio come si sarebbe potuta ampliare senza renderla troppo prevedibile. In verità, l'autore non parla all'interno del libro di un'evoluzione dal punto di vista del sistema, ma perlopiù si riferisce alla storia personale del protagonista. Sono le vicende di quest'ultimo, perciò, a cambiare radicalmente rispetto all'inizio, e non la società intorno a lui, come succede del resto nella stragrande maggioranza di romanzi del genere. Ho trovato lo sviluppo della storia piuttosto lineare anche se pieno di input inaspettati che esulano completamente, o quasi, dalla distopia vera e propria.
Nonostante io fossi interessata principalmente allo sviluppo distopico della vicenda (come vi ho ripetuto anche troppo, me ne rendo conto), ho apprezzato i flashback della vita del protagonista e, a fine lettura, ho considerato romanzo più completo, più pieno di quanto sarebbe stato senza questi aspetti.
Il finale non è banale, ma da un certo punto in poi si può sospettare. Mi è piaciuta l'idea originale e anche lo sviluppo, anche se, per gusti personali, avrei preferito qualcosa di più eclatante.
La credibilità del romanzo è mantenuta per l'intera storia, alcuni progetti dei personaggi li ho trovati un po' incauti, nel senso che si basavano su certezze che, nella vita reale, non avrei mai considerato abbastanza solide da agire di conseguenza. Non si trovano, però, errori o incomprensioni di alcun genere, anzi come ho già detto, l'autore si premura di non lasciare buchi narrativi che, di fatto, non ci sono.
Il ritmo di lettura per me è stato velocissimo; sia strutturalmente che per i contenuti, il romanzo si fa leggere rapidamente. Non ho nemmeno notato le pagine che scorrevano. Se ne avessi avuto il tempo, l'avrei terminato la prima sera (l'ho iniziato appena mi è arrivato perché mi incuriosiva davvero molto) e solo la consapevolezza dell'ora tarda me lo ha fatto momentaneamente abbandonare. Vi dirò di più; non avendo potuto leggerlo immediatamente il giorno dopo, in tutti i giorni in cui non l'ho letto, mi chiedevo come proseguisse ed avevo voglia di riprendere la lettura il più presto possibile.
L'introspezione dei personaggi principali c'è e solo per mancanza di empatia dovuta a ciò che vi ho già spiegato, non l'ho sentita pienamente. Sono interessanti, diversi tra loro e ben caratterizzati. Le motivazioni dei loro comportamenti non hanno trovato il mio accordo; è facile comprendere chi siano i buoni e chi siano i cattivi ma alcuni atteggiamenti dei buoni vengono spiegati come a scusarli, quando avrei maggiormente preferito che si sottolineasse, come è giusto che sia, che anche i buoni sbagliano perché sono esseri umani.
I dialoghi tra di loro sono principalmente finalizzati a spiegare le loro ragioni e, soprattutto, le loro azioni. Alcuni spunti interessanti di riflessione si trovano anche qui, anche se in maniera inferiore.
Il protagonista mi ha lasciata basita perché ha subìto una trasformazione psicologica talmente velocemente da non darmi il tempo di interiorizzarla. Non sono riuscita a capire se vi sia stato un cambiamento repentino o se fosse tutto così da subito e non fosse stato semplicemente detto. Ho apprezzato le sue riflessioni che, al di là del mondo fittizio del romanzo, sono interessanti anche da applicare alla nostra realtà.
In conclusione Morte di Stato è un romanzo che deriva da un'idea ottima e ben sviluppata, esteticamente, graficamente, strutturalmente e riguardo ai contenuti è molto curata, si nota grandemente il lavoro sottostante dell'autore e di coloro che hanno partecipato alla realizzazione dell'opera.
È un romanzo che consiglio e che io stessa avrei comprato; non escludo di cominciare a regalarlo ai pochi lettori che conosco ora che si avvicina il Natale!
Ruben Trasatti è un autore dalle buone potenzialità e un gran lavoratore, questi aspetti si notano e penso che, se aggiunti ad una maggiore esperienza, lo porteranno a scrivere romanzi ancora più belli!
Un'ultima cosa: Morte di Stato, come vi ho già detto, è il primo libro di una serie chiamata Europa Series ma è perfettamente autoconclusivo e sarà legato ai successivi romanzi (che non sono ancora stati pubblicati) soltanto in maniera marginale; sarà possibile, perciò, leggerlo senza avere lo sconforto di non conoscere il seguito!
Sotto alla sinossi potrete anche leggere un estratto del giudizio a riguardo della partecipazione del libro alla 30^ edizione del Premio Italo Calvino!