La strada di Cormac McCarthy è il secondo romanzo che leggo di quest'autore. Come per Non è un Paese per vecchi, ho avuto la sfortuna di visionare prima il film, scelta che non faccio mai consapevolmente ma che con questo scrittore si è ripetuta più volte per diverse coincidenze.
Al contrario di Non è un Paese per vecchi, però, il film di La strada non mi è rimasto minimamente impresso (l'ho visto proprio per caso e non gli ho dato la giusta attenzione) perciò ho potuto godermi la lettura del romanzo senza ricordarmi nulla (o quasi) della trasposizione cinematografica. Ho, perciò, potuto analizzare la scrittura di McCarthy in maniera più oggettiva rispetto a quello che sono riuscita a fare in precedenza.
Prima di iniziare l'analisi degli elementi che solitamente rilevo in un romanzo mi fa piacere dire tre cose al suo riguardo.
- Questo è un romanzo per stomaci forti. Di scene crude ce ne sono molte e, se non amate leggerle, questo romanzo potrebbe non fare al caso vostro.
- Al contempo il libro è per gente profonda, non superficiale nella lettura. Per capire La strada bisogna andare ben al di là del primo grado di lettura e si deve ricercare qualcosa di più che una trama avvincente.
- Se avete letto Uomini e topi di Steinbeck e non vi è piaciuto, trovo veramente difficile che potrete apprezzare questo romanzo. I due autori sono diversi ma, in questi libri hanno trovato un punto in comune: entrambi sono difficili da digerire, in tutti e due ci vuole sentimento per poter comprendere tutto ciò che c'è dietro e sono due romanzi che rimangono dentro per sempre. Per chiunque avesse letto ed apprezzato uno dei due e non sapesse se leggere l'altro il mio consiglio è: fatelo, dubito che ve ne potrete pentire.
Lo stile di McCarthy è asciutto e, al contempo, descrittivo. Ci racconta ciò che succede mostrandocelo per quello che è, non aggiunge ciò che i personaggi provano compiendo un determinato gesto, non ci spiega cosa stiano pensando mentre ne fanno un altro. Eppure, dietro ad ogni singola parola c'è un significato che va ben oltre alla superficie di quanto stiamo leggendo. In questo romanzo, inoltre, ho trovato la scrittura di McCarthy più poetica. Non scrive in rima, non compone sonetti, eppure in alcuni punti, in alcuni frammenti, ciò che fa McCarthy non è "semplice" prosa.
Rimase ad ascoltare lo sgocciolio dell'acqua nei boschi. Era roccia fresca, quella. Freddo e silenzio. Le ceneri del mondo defunto trasportate qua e là nel nulla da lugubri venti terreni. Trascinate, sparpagliate e trascinate di nuovo. Ogni cosa sganciata dal proprio ancoraggio. Sospesa nell'aria cinerea. Sostenuta da un respiro, breve e tremante. Se solo il mio cuore fosse di pietra.
I dialoghi sono ciò che più dividerà i lettori. Sono semplici, a prima vista possono apparire anche banali con i loro "Ok" ripetuti. Eppure dicono molto, dicono tutto. Mi sono piaciuti tantissimo perché, grazie a loro, sono riuscita a capire le emozioni di entrambi i personaggi senza che loro avessero bisogno di aggiungere nulla più di quelle poche parole sussurrate prima di dormire. Io, amante delle tante parole e a mia volta prolissa non posso che apprezzare la capacità di McCarthy di racchiudere tutto un mondo in un'unica parola, detta al momento giusto.
E dopo un po', nel buio: Ti posso chiedere una cosa?
Sì, certo che puoi.
Tu cosa faresti se io morissi?
Se tu morissi vorrei morire anch'io.
Per poter star con me?
Sì. Per poter stare con te.
Ok.
Trattandosi di un romanzo post apocalittico il lettore potrebbe aspettarsi una trama particolarmente avvincente e spettacolare. L'idea da cui parte tutto è, in effetti, quella da cui partono molti libri del genere: pochissime persone rimaste vive, i sopravvissuti viaggiano da una parte all'altra del mondo per riuscire a trovare il modo di sopravvivere e, magari, ricostruire una qualche forma di società. Una storia, insomma, che si vende da sola e che, proprio per questo, può creare aspettative diverse da quello che, effettivamente, succederà.
Ciò che succede nello svolgimento, infatti, non si può considerare un evoluzione dell'idea iniziale. Non è altro che un continuo ripetersi delle situazioni vissute dai personaggi: hanno fame, hanno sete, sono in pericolo. La strada non è un romanzo d'azione, non è un thriller psicologico, non è un libro d'avventura, è introspezione, significato, profondità. Si tratta di una metafora della sopravvivenza; qualcosa che ci fa vedere l'uomo puro, quello che deve scegliere tra ciò che è giusto e ciò che serve e che, forse, non ha neppure questa scelta.
Proprio per questo motivo il messaggio che se ne desume è importante e vi lancia una domanda a cui è difficile rispondere con consapevolezza: Fino a che punto arrivereste, voi, per sopravvivere?
Il padre in questa storia è colui che simboleggia la praticità, ciò che dice esprime un unico concetto: va fatto quel che va fatto. Il figlio, invece, simboleggia il sentimento: Bisogna proprio farlo? Non c'è un altro modo? I due si bilanciano mandando un messaggio chiaro: è importante sopravvivere, ma forse non al prezzo della propria anima.
L'ambientazione del romanzo è ottimamente resa per quanto riguarda la geografia dei luoghi visitati dai due protagonisti: le immagini descritteci dall'autore sono talmente vivide da riuscire a fare male al lettore più sensibile. Non ci viene detto dove e quando sta succedendo ciò che leggiamo. Anche la motivazione stessa dell'apocalisse avvenuta è solamente accennata.
Le descrizioni, da sole, bastano a dare i brividi. Anche in questo caso possiamo cogliere tantissimo sentimento dietro ad ogni immagine; ciò che leggiamo non è solo pura ambientazione ma è anche la spiegazione di ciò che sta accadendo ai due personaggi, fuori e dentro loro stessi.
Per questo motivo credo che La strada sia uno dei libri che mi ha fatto percepire maggiormente l'atmosfera. Forse il lettore non si dispererà per il loro destino, che sembra talmente segnato da non indurre a sperare che accada un miracolo, ma di certo sentirà dei continui pugni allo stomaco davanti alle scene che avrà davanti agli occhi e non a causa della loro crudezza, ma della loro forza emotiva. L'umanità di questi personaggi colpisce proprio perché fuoriesce in un momento in cui noi tutti vorremmo non considerarli più appartenenti a quella che, noi, consideriamo umanità. Privi delle leggi del vivere sociale e dediti alla sopravvivenza li potremmo supporre più animali che uomini, invece loro, con due semplici parole ci mostrano come tutto ciò che gli sta intorno non sia riuscito, alla fine, a scalfire la loro anima. Persino il bambino, nato quando già la catastrofe era avvenuta e cresciuto, dunque, in una realtà diversa dalla nostra, risponde a dei dettami morali che nessuno gli può aver mai insegnato.
Quanto ho appena detto è stato vero e percepibile, per me, in qualunque punto del romanzo. L'incipit da solo dà già un'ottima idea al lettore fugace di ciò che potrà aspettarsi da questa lettura. Al suo interno troviamo un unico gesto, ma con un significato che va ben oltre quanto detto. Il lettore superficiale può leggere semplicemente che l'uomo tocca il bambino, quello che mira al profondo si chiede il perché e immagina il padre, ogni notte della loro vita, allungare la mano, sempre più magra, per toccare quello che per lui è fonte di vita: suo figlio. Capisce che lui vuole rendersi conto che il figlio ci sia ancora e che stia bene, al contempo non vuole svegliarlo e, così, lo tocca e basta, per potersi tranquillizzare e poter dormire a sua volta. Una frase che ne significa tre o quattro e che solo chi vorrà potrà leggere dentro di sé.
In questo incipit comprendiamo già anche il forte ruolo della descrizione ambientale e della durezza del linguaggio oltre che della storia, che incontreremo lungo il percorso.
Penso che questo libro vada letto velocemente, se possibile tutto d'un fiato. È difficile, una volta entrati, uscirne. Io ho dovuto interromperne la lettura la prima sera e l'ho fatto davvero a malincuore e non solamente perché la lettura mi piaceva: sentivo che quell'empatia rischiava di non crearsi più se l'avessi letto nel momento sbagliato. Penso che il ritmo di questo romanzo possa essere considerato lento solo da coloro che lo leggeranno senza intuirne il livello interpretativo più nascosto e che, dunque, si annoieranno a leggere passaggi che, per loro, vorranno dire ben poco. Il mio consiglio è di leggerlo in un momento in cui siete liberi e potete dedicare a questo libro tutto il tempo che merita.
I personaggi, sono umani, non hanno nome, hanno solo il loro ruolo: padre e figlio. Tutti gli altri non sono altro che comparse nella loro vita a due: potenziali pericoli da considerare privi di umanità, in caso fosse poi necessario eliminarli o lasciarli morire. Proprio per il fatto che quello che rappresentano è un ruolo, non posso dire che l'introspezione dei personaggi sia approfondita. L'uomo ha lasciato sé stesso indietro, insieme al vecchio mondo, il bambino non è mai stato altro che quello che è. D'altro canto non possiamo certamente definire questo aspetto come negativo: tutto deriva da una scelta dell'autore, completamente coerente con il messaggio mandato dal libro.
Il finale è ben fatto e forse anche facile da immaginare. Io l'avrei preferito diverso ma si tratta di pura soggettività. McCarthy non sbaglia nemmeno qui, mostrandoci qualcosa di credibile e realistico. È davvero un peccato che questo romanzo sia finito, l'avrei continuato a leggere ancora a lungo.
In conclusione, La strada è un libro molto bello e significativo. È di semplice lettura ma per comprenderlo appieno bisogna dargli la giusta attenzione, oltre che essere predisposti a sentire ciò che lui ci racconta tacitamente, tra una riga e l'altra.
Lo consiglio a tutti perché è un ottimo romanzo, imprescindibile per chi cerca un'ottima scrittura abbinata a qualcosa che lasci il segno.
Presto visionerò anche il film e vi farò un articolo apposito dove li metterò a paragone.