"Ci provi mai a pensare a com'era prima che nascessi?'
La banda dei brocchi di Jonathan Coe è secondo libro dell'autore che leggo.
In vista dell'uscita di Middle England, ultimo libro pubblicato dell'autore, ho deciso di leggere i due romanzi che presentano al loro interno i medesimi personaggi.
Presto, perciò, troverete anche una mia recensione di Circolo chiuso, secondo volume della serie.
Di Coe ho letto poco tempo fa La casa del sonno, romanzo che mi era stato consigliato per la sua particolarità. Se con la mia prima lettura ho scoperto un autore unico nel suo genere, con questa seconda opera ho riconfermato l'opinione positiva avuta con la prima impressione.
La struttura del libro è meno pazza rispetto a quella del precedente ma comunque varia e ben curata.
La storia vera e propria è incorniciata da un incipit e da una conclusione ambientati nel 2003. All'inizio, infatti, troviamo due ragazzi intenti a cenare che decidono di rievocare la storia dell'infanzia dei propri genitori. La maggior parte del testo, dunque, sarà relativa al racconto e sarà ambientata negli anni 70.
Questo escamotage letterario rende più interessante la lettura senza rendere la sovratrama invadente: se all'inizio si nota la voce della giovane Sophie narrare eventi passati, con il passare del tempo Coe ci fa dimenticare di lei e ci immerge totalmente nell'ambientazione.
Sai, io questa storia te la posso anche raccontare, ma potrebbe deluderti. Non ha una vera fine. Si interrompe e basta. Non lo so come finisce.
La struttura, inoltre, presenterà alcuni capitoli in prima persona (la maggior parte del romanzo è in terza) dove avremo l'opportunità di leggere alcuni testi, diari, discorsi dei personaggi relativi agli stessi anni. Anche in questo caso perciò potrà capitare di leggere qualcosa di ambientato in un determinato anno ma relativo ad un periodo precedente. Non si rischia mai di non capire ciò che sta succedendo perché l'autore ci specifica costantemente tutto.
Fatemi spiegare, vi dico questo un po' per chiedervi scusa; infatti sto per cominciare a raccontare una storia senza sapere come finisce.
L'ambientazione è, sicuramente, il fiore all'occhiello del romanzo. La storia non si limita a capitare nell'Inghilterra degli anni '70, ma vive proprio grazie a questo. Ci verranno raccontate, dunque, tutte le maggiori componenti di quegli anni: la musica, le lotte sindacali, la letteratura (troverete tantissimi riferimenti tra cui Harper Lee con Il buio oltre la siepe, libro che recensirò in settimana) e le idee che, in quel momento, dettavano legge su ciò che era giusto e ciò che era sbagliato.
Non solo Coe ci fa immergere in un'ambientazione a noi del tutto estranea riuscendo a farcela respirare e vivere ma ci informa continuamente (solitamente ad inizio capitolo) di quanto tempo sta scorrendo e delle date degli eventi principali. Perciò, per quanto vi sia una complessità di situazioni il lettore riuscirà sempre a rimanere in contatto con la narrazione.
Anche le descrizioni non mancano, si spazia da Birminghan (cittadina "principale" per la narrazione) alla Danimarca con semplicità. Ogni nuovo luogo è ben descritto e accompagnato da qualche immagine indimenticabile.
Altro motivo per cui si percepisce così bene l'ambientazione è la caratterizzazione dei personaggi che, grazie ai loro pensieri, riescono a farci comprendere come poteva essere vivere in quei tempi ed in quel luogo. Sono molti i punti di vista raccontati e, perciò, inizialmente potreste avere qualche problema a riconoscerli e ad entrare nella storia ma, una volta riusciti ad inquadrare bene i protagonisti, le loro personalità ed aspirazioni saranno totalmente differenti e li renderanno chiaramente distinguibili.
L'effetto che riesce a creare l'autore è quello di stare vivendo a nostra volta in quegli anni; è come se venissimo a conoscenza delle storie di nostri compagni di classe.
Io non sono bravo a fare pronostici," sbraitò, e Barbara sospirò dentro di sé perché a quella frase, senza eccezioni seguiva sempre un pronostico.
Allo stesso tempo, però, non sentiamo altrettanto bene le emozioni su di noi. Gli eventi ci trascinano e ci portano anche a trasalire riconoscendo momenti di vero struggimento, ma difficilmente proveremo effettivamente un'emozione forte comparabile a quella che provano i personaggi.
Non mancano le scene indimenticabili, ma continuiamo a vederle attraverso uno specchio; ci dispiace che accadano ma siamo consapevoli che non è la nostra vita a cambiare a causa di quell'evento. L'atmosfera, dunque, non è uno dei temi da ricercare in particolare, sebbene non manchi.
Dormire sotto lo stesso tetto. Essere insieme, anche nelle avversità.
Sembra una cosa sciocca da dire, ma penso che fosse proprio vero. Le cose sono così quando si è giovani.
La trama racconta principalmente delle vite di alcuni ragazzi (chiamati brocchi, schiappe, nullità dagli "altri") e dei loro genitori. Le vite di figli e genitori, come succede nella realtà, si intrecciano in alcuni punti e si dividono completamente in molti altri. È bello riuscire a conoscere da una parte la situazione del genitore, dall'altra quella del figlio e il vedere poi come i due si relazionano inconsapevoli, in totalità o in parte, di ciò che accade esattamente all'altro.
Lo svolgimento ha diversi colpi di scena, in particolare ce n'è uno che non vi aspetterete e che, di sicuro, vi colpirà. I ragazzi crescono, gli anni passano, noi li seguiamo e vediamo come si estrinsecano i loro sogni. Unico peccato è quello di lasciare indietro un po' la parte "genitoriale" che, anche a causa dell'età avanzata, evidentemente non compie evoluzioni abbastanza evidenti da essere sottolineate quanto quelle dei ragazzi.
Bello anche il finale (prima del ritorno al 2003) dove ci viene raccontato sinteticamente cosa succede ad ognuno di loro. Se non avessi saputo che in Circolo chiuso ritroveremo alcuni di questi personaggi, l'avrei considerato adeguatamente conclusivo. Per quanto io sia riuscita a essere distaccata da quanto mi veniva raccontato, mi sono resa conto di essermi affezionata a loro. Non vedo l'ora di accompagnarli ancora per un altro decennio con il volume successivo.
Coe ha uno stile unico, e credo che sia anche ottimamente reso dal traduttore. Le parole che utilizza non sono sempre le più semplici, anzi, spesso anche il lettore più erudito viene costretto a cercare un determinato significato, eppure suonano sempre bene, come se fossero le uniche giuste per esprimere quel concetto. L'autore gioca con le parole e fa giocare anche i suoi personaggi nello stesso modo; troverete perciò alcune scene molto divertenti proprio legate a questo aspetto.
Il libro non è corto ed è scritto anche in modo piuttosto fitto, sebbene i capitoli non siano mai eccessivamente lunghi. Questo di solito può portare ad un rallentamento del ritmo di lettura che, invece, io non ho sperimentato. Coe riesce a farti dimenticare di stare sfogliando le pagine di un libro e, anche se ci vuole del tempo per terminarlo, il lettore non si accorgerà di impiegarlo.
In conclusione, trovo che Coe sia un autore geniale che, non pago di avere un'immaginazione incredibile e una dimestichezza stilistica invidiabile, farcisce ogni suo testo di nozioni, citazioni e informazioni derivanti da studio e ricerca ben riconoscibili.
Si tratta di testi forse non per tutti, perché ci vuole concentrazione e una buona predisposizione ad entrare in qualcosa di non fatto di misura per noi, ma il risultato finale lo continuerete ad avvertire anche molto tempo dopo aver terminato la lettura.
Lo consiglio a tutti perché i libri di Coe sono diamanti in incognito. Sfido chiunque a terminare un suo libro, amandolo od odiandolo, senza aver immagazzinato qualcosa che porterà con sé per sempre.
Mi domando se l'esperienza possa veramente essere distillata e ridotta a pochi momenti straordinari, forse sei o sette, che ci vengono concessi in una vita intera: e per di più ogni tentativo di scoprire un nesso tra loro è futile.