Assurda sarà l'estate che rimarrà estate, assurdo che non si alzerà un vento a bruciare tutto.
Il nome della madre è il secondo romanzo di Roberto Camurri ed esce oggi, 28 maggio 2020, per NN Editore.
Si tratta di un romanzo intimista che, attraverso alcune scene di vita quotidiana, ricostruisce dinamiche familiari e, soprattutto, i sentimenti a loro legati.
Ciò che succede non è straordinario, dunque, ma è speciale per i protagonisti delle vicende e lo diventa anche per il lettore, così come lo sono ricordi della nostra infanzia che per gli altri potrebbero non significare niente ma che per noi sono indimenticabili.
All'inizio del libro troviamo Ettore e Pietro. Un padre ed un figlio di pochi mesi che sono stati abbandonati da lei, moglie per poco e madre a mala pena conosciuta.
Il primo punto di vista che incontriamo è quello di Ettore, il padre. L'uomo è già stato lasciato da lei ma, mentre si occupa del figlio Pietro, ripercorre con la mente gli ultimi momenti passati insieme alla moglie, ricordando la sua bellezza e sperando in un suo ritorno.
Resta fermo così per qualche istante, vuole sentire ancora la voce di lei, ancora quel sussurro. Non si volta a cercarla con gli occhi, non allunga le mani, resta fermo, in attesa, mentre Pietro ancora piange, più forte; la voce di lei non arriva, Ettore inizia a immaginarsela accoccolata, spettinata, imbronciata, se la immagina bella, arrabbiata, stropicciata e profumata, si immagina il segno del cuscino sulla sua faccia.
Questi avanti/indietro della memoria inizialmente potranno confondere il lettore, che potrà impiegare un po' di tempo ad orientarsi nella struttura del testo ma che, una volta abituatosi, non avrà più problemi a comprenderlo.
Passano gli anni e il lettore continua a vedere spezzoni di vita: accadimenti semplici, che segnano però il percorso dei due personaggi, che li rendono ciò che sono, che mutano il loro rapporto e che mostrano, senza mai doverlo esplicitare, ciò che loro provano.
Quando aveva finito aveva annusato l'aria, aveva sentito il profumo del caffè svanire, quello dei detersivi attenuarsi, quello dell'officina ancora lì, presente.
Non voleva che se ne andasse, perché quello era l'odore di suo padre, quello che avrebbe voluto avere addosso anche lui da grande.
Il punto di vista del padre sfumerà via via in altri tre: quello di Pietro, il figlio che cresce sempre più velocemente, di Livio, il suocero e di Ester, la suocera. Tutti loro condividono lo stesso dolore e vuoto, che si estrinseca in mancanze completamente differenti, ma che incide sul loro comportamento e sulla loro vita.
L'ambientazione è principalmente legata ad un paesino dell'Emilia: Fabbrico. Di esso vengono descritti i paesaggi, la vita, ma anche il modo di vivere tipico della campagna.
Fondamentali sono sia le differenze con la vita di città, vissute principalmente da Pietro, sia quelle generazionali, sentite da tutti i personaggi.
Fabbrico è più bella del solito, lo sono i colori delle case, quelli del cielo sopra le loro teste, l'asfalto che luccica di una luce diversa, a Pietro viene in mente suo nonno che gli dice che è in giornate come quelle che arriva il terremoto.
Tutto si sa, tutto si capisce e solo un elemento ci manca fino alla fine: il nome della madre. Lei che nel romanzo è l'eterno fantasma, la più nominata, la più pensata, eppure sempre assente.
Hai le labbra tutte screpolate, gli aveva detto la maestra a scuola durante l'intervallo. Sono cose che vede una mamma, gli aveva detto.
Raccontare questo libro in modo esclusivamente oggettivo non riuscirebbe a mostrarne la vera forza: la realtà è che mentre lo si legge lo si vive, le scene raccontate entrano di prepotenza nella nostra memoria e ce ne appropriamo, come se le avessimo vissute noi in prima persona. Come se, a ripensarle, facessero ancora male, ci ricordassero l'eco di un sentimento provato da noi stessi.
Inoltre, per me che vivo e sono cresciuta in piccoli paesi della Romagna, i rimandi alla mia vita, seppur con tante distinzioni, sono stati talmente tanti da riuscire a farmi ripercorrere allo stesso tempo anche scene della mia realtà, che grazie a questo libro sono riaffiorate anche contro la mia volontà.
Nonostante il punto di vista cambi e sia maschile, io che sono stata solamente figlia non sono più riuscita a staccarmi da quello di Ettore: ho visto Pietro crescere e ho avuto più di un colpo al cuore accorgendomi che lo stava facendo e si stava allontanando da "me". Mi sono ritrovata in un ruolo molto lontano da quello che generalmente mi assegno, insomma, e sono stata completamente catturata emotivamente, accadimento più unico che raro, dato che solitamente, anche nelle letture, tendo ad aggrapparmi alla mia razionalità.
In conclusione, potrei dirvi che questo libro va letto perché è scritto bene, perché l'ambientazione è reale ed è stata condivisa da moltissimi di noi, perché Camurri riesce a interpretare più punti di vista (il padre che è stato lasciato e vede in suo figlio l'amore perduto, il figlio cresciuto senza madre che ha bisogno di tenerezza, il nonno che vorrebbe mostrare i cavalli al nipote disattento) riuscendo a farvi entrare in tutti e anche perché racconta delle scene che forse avete vissuto anche voi o che ve ne ricorderanno altre vostre. Questa volta, però, voglio contravvenire alla mia stessa regola e ve lo consiglio anche solo per ciò che lui ha trasmesso a me. Perché se succederà anche a voi sarà bellissimo, e ve lo auguro con tutto il cuore.