Guardiamo in fondo ai nostri cuori: che cosa vi troviamo? Una passione che il tempo ha soltanto attutito senza riuscire a estinguerne le braci.
Era da tempo che desideravo leggere il famosissimo Le braci di Sándor Márai e, grazie ad un'amica che mi ha regalato la sua copia, ho finalmente potuto leggerlo. Ho scoperto solamente in seconda battuta che, in realtà, questo libro è divenuto famoso molto dopo la sua prima pubblicazione e che l'autore stesso ha dichiarato di non apprezzarlo particolarmente perché "troppo romantico".
Il primo aggettivo che ho mentalmente attribuito a questa lettura è stato elegante.
Ogni aspetto del romanzo, sia quelli che ho apprezzato che quelli che non mi hanno avvinta, è effettivamente ascrivibile al concetto di eleganza e, in base a questo, strutturerò la mia recensione.
Primo su tutti lo stile.
Si tratta di un romanzo pubblicato originariamente nel 1942 e, difatti, non manca nella scelta delle parole e nella sintassi delle frasi, quel sapore classico che, inevitabilmente si cerca in un libro di quel periodo.
Le descrizioni sono tante e dettagliate, sempre raffinate ed inserite con attenzione.
Sono innumerevoli le frasi che, anziché parlare specificatamente della vicenda narrata del libro, descrivono qualcosa di generale, vero per tutte le persone o, comunque, per molti di noi. Queste riflessioni mi sono apparse molto profonde e significative e ritengo che possano essere fruibili ed interessanti anche se lette in maniera sé stante.
Ecco il perché delle numerosissime citazioni che ho scelto per voi e che troverete qui e nello spazio apposito.
«Secondo te le parole non hanno importanza? Io non oserei affermarlo con tanta sicurezza. Certe volte mi sembra che le parole, quelle che uno pronuncia, quelle che evita di dire o quelle che scrive al momento giusto, abbiano un'importanza grandissima, forse addirittura decisiva».
Elegante è anche l'ambientazione che, dal punto di vista temporale, compie un balzo a ritroso di ben 41 anni.
In quello spaziale, i luoghi raccontati sono principalmente Vienna (molto approfondita e considerata da me come la chiave di lettura con cui leggere questo libro) e i Tropici (descritti come qualcosa di esterno, raccontato da chi c'è stato a chi non li vedrà mai) ma, alla fine, è la casa di uno dei due protagonisti, rimasta immutata nel tempo, ad essere vero e proprio luogo focale della storia.
«Vienna» dice. «Sai, mentre ero lontano, quella città rappresentava per me il diapason del mondo. Pronunciare il nome "Vienna" era come far vibrare quel diapason. Osservavo la persona con cui stavo parlando per vedere come reagiva. Era il mio modo di mettere le persone alla prova. Chi non aveva alcuna reazione non faceva al caso mio. Perché Vienna non è soltanto una città, il suo nome ha un suono che alcuni sentono vibrare in fondo all'anima per sempre e altri no».
Le descrizioni aiutano non solo a visualizzare perfettamente la scena, ma anche a percepire l'atmosfera.
Quest'ultima, infatti, più che generata dall'incontro dei due personaggi protagonisti della vicenda e dalle loro emozioni, sembra essere penetrata in ogni mobile, soprammobile e antro della casa. Ogni cosa è impregnata di quella sensazione di ineluttabilità che spiegherà tutto ciò che accadrà nel libro e lo renderà credibile, anche se solo nel mondo ideato nel romanzo.
Konrad sapeva che un giorno sarebbe tornato in quel luogo, e il generale sapeva che un giorno sarebbe giunto quel momento. Era stato questo a mantenerli in vita.
La trama è basata su un incontro molto particolare; due amici di vecchia data, dopo ben quarantun anni di distacco reciproco causato da qualcosa che viene specificato dettagliatamente solamente in un secondo tempo, stanno finalmente per rincontrarsi e chiarire. Questo appuntamento, mai realmente prefissato, è considerato da entrambe le parti come qualcosa di inevitabile che, una volta avvenuto, definirà finalmente le vite dei due, ormai anziani, uomini.
Immobile, con volto inespressivo, rimase a guardare la vettura che si avvicinava, quindi socchiuse un occhio, come fa il cacciatore quando prende la mira.
Nell'incipit incontriamo uno dei due protagonisti e lo vediamo scoprire che il momento tanto atteso è finalmente giunto e prepararsi per accogliere l'ex amico nell'ultimo luogo in cui l'ha visto.
Nello svolgimento più che trovare ciò che ci si aspetta davvero, cioè il confronto tra i due amici/nemici, si ripercorrerà tramite lunghi flashback la loro amicizia.
Grande importanza viene data nel rapporto tra i personaggi.
Márai riserva parole molto importanti per descrivere il loro legame di un tempo, soffermandosi a riflettere anche sull'amicizia in generale.
Ancora più significativo, ma poco descritto, è il rapporto amorevole di uno dei due uomini con Nini, sua ex bambinaia e donna che gli è stata accanto tutta la vita, come una madre amorevole.
Ma al di là delle donne e del mondo balenava un sentimento più forte di tutto il resto. Un sentimento, noto soltanto agli uomini, che si chiama amicizia.
Il finale vero e proprio è inaspettato e difficile, se non impossibile, da indovinare in prima battuta.
È inevitabile che alcuni elementi introdotti dall'autore a inizio libro portino il lettore a pensare ad una determinata conclusione, invece, ciò che accadrà, sarà ben diverso.
Proprio per questo il lettore potrà inizialmente rimanere attonito davanti a questa chiusura, anche se con il senno di poi, è difficile immaginarne un'altra altrettanto coesa con l'anima (elegante, appunto) del libro.
La storia non presenta enormi colpi di scena, tutta la bravura nel rappresentarla sta nell'autore che comprende come attirare l'attenzione del lettore svelando tutto a poco a poco. Il ritmo di lettura è crescente; se avrete difficoltà iniziali ad entrare nella storia, vedrete che, una volta terminato il flashback, non riuscirete più a fermarvi.
Credo che sia un libro che andrebbe letto con pazienza e attenzione, con una grande cura ed amore del dettaglio, cosa che io non ho fatto e che, ammetto, faccio raramente.
Il mio apprezzamento, infatti, è stato buono, ma superficiale, più basato su ciò che mi aspettavo di trovare e non ho ottenuto, piuttosto che su ciò che Márai mi aveva già offerto e io avevo sorvolato velocemente.
È solo riguardandolo nelle sue citazioni e rileggendolo a spezzoni, per creare questa recensione, che mi sono accorta del suo valore intrinseco, al di là del contenuto più facilmente comprensibile e fruibile con una lettura veloce.
Il mio consiglio, perciò, è quello di leggerlo lentamente, assaporandolo, oserei dire che, anche nella lettura, questo libro richieda eleganza e raffinatezza.
È uno dei rarissimi casi in cui ritengo che il detto "il viaggio vale molto di più della destinazione" sia realmente sensato.
In conclusione, Le braci di Sándor Márai è un libro di qualità che vale la pena di essere letto (attentamente) da chiunque.
Il messaggio mandato, seppur positivo, diverge totalmente da ciò che io ricerco nella vita in questo momento.
Questo è il motivo per cui, pur apprezzandone la qualità, non riesco a sentire questo libro come "mio". Mi sono già ripromessa di leggerlo fra molti anni, perché penso che potrò riconsiderarlo in maniera molto differente.
Alle domande più importanti si finisce sempre di rispondere con l'intera esistenza. Non ha importanza quello che si dice nel frattempo, in quali termini e con quali argomenti ci si difende. Alla fine, alla fine di tutto, è con i fatti delle propria vita che si risponde agli interrogativi che il mondo ci rivolge con tanta insistenza.
Penso che in Le braci, Sándor Márai racconti della vita, e dia un grande insegnamento, che potrà anche essere utile per molti lettori.
Si tratta di un libro ben scritto che può far riflettere, perciò non posso che consigliarvelo.