Introduzione, con King ci vuole.
Ero al contempo esaltata e terrorizzata all'idea di leggere questo nuovo romanzo di Stephen King. Come il 99,9% delle persone che hanno acquistato il libro il giorno stesso dell'uscita, devo ammettere che, Richard Chizmar non lo conosco e, a dire la verità rischiava solamente di essere un terzo incomodo in questo momento di riconciliazione o di lite con il Re dell'Horror.
La lettura di Sleeping Beauties mi ha lasciato l'amaro in bocca e, solo con un'opera nuova King aveva l'opportunità di redimersi. La scatola dei bottoni di Gwendy, alla fine, non è riuscita del tutto a tranquillizzarmi ma, perlomeno, ha avuto un impatto positivo sul mio inconscio, riuscendolo a placare finche non uscirà qualcosa di serio e, quindi, di meglio valutabile.
Il motivo per cui mi azzardo a dire che La scatola dei bottoni di Gwendy non è sufficientemente serio per fare la differenza è semplice: si tratta di un racconto (non di un romanzo) troppo breve per spostare l'ago della bilancia da una parte o dall'altra. Si tratta di 240 pagine di romanzo cartaceo che, se impaginate diversamente, avrebbero potuto occupare lo spazio di 100. La lettura si termina in meno di due ore e, quello che lascia, non è certamente paragonabile a quello che può darti un romanzo. Aggiungo, inoltre, che lo stesso autore ha già creato racconti più corti ma più intensi e che non lo giudico a priori per la sua brevità ma anche per il contenuto.
Se questo racconto fosse stato inserito in un'antologia, avrei trovato il tutto più sensato, in questo modo King dimostra per l'ennesima volta di aver intrapreso la cattiva strada della "commercialata"; del pubblichiamo qualunque cosa, pur di vendere.
Quanto appena detto, ovviamente, fa a pugni con il voto finale: 7. Se, infatti, ho accusato Sleeping Beauties di essere una semplice trovata commerciale per innalzare la nomea del figlio, qui dovrei riservare il medesimo trattamento per questo romanzo scritto a quattro mani con Richard Chizmar, ma in realtà a parte la discutibile scelta di pubblicare questo libro come se fosse un romanzo, La scatola dei bottoni di Gwendy non mi ha fatto sentire raggirata o derisa; al massimo una spendacciona, una fan accumulatrice che non può fare a meno di acquistare tutto del proprio autore preferito; anche le commercialate.
La vera differenza, perciò, sta nel raggiro. Mentre nel primo caso mi sono sentita presa in giro da King che mi ha venduto qualcosa dove palesemente ha messo pochissima mano, nel secondo ho ritrovato parte di quello che avevo perso e, per questa volta, l'ho ritenuto sufficiente; una specie di caparra assicurativa che King mi doveva, per indurmi ad acquistare anche i prossimi due libri in uscita quest'anno.
Mentre con Sleeping Beauties non è possibile per il lettore poter capire prima della lettura la qualità intrinseca del libro, con La scatola dei bottoni di Gwendy è comprensibile, sin dalla prima occhiata, che la quantità del testo non è tale da giustificare una scrittura a quattro mani. Inoltre, l'editore ha lavorato molto sull'estetica dell'edizione italiana (non parlo di quella straniera perché non l'ho vista) e, quindi, riesce a compensare la mancanza di quantità con questo. Ultimo ma non per importanza, c'è il contenuto del testo: certamente non qualcosa di indimenticabile ma, perlomeno, ho trovato Stephen King, aspetto che mi è mancato quasi del tutto con il precedente romanzo.
Passiamo, ora, alla recensione vera e propria, dove cercherò di analizzare al meglio possibile il libro, facendovi capire il perché di quanto dichiarato in questa introduzione.
Recensione
Definirei La scatola dei bottoni di Gwendy come un romanzo horror per ragazzi. Non solo la protagonista è inizialmente una ragazzina (ha solo 12 anni) ma sia il contenuto, che il tipo di orrore rappresentato sono rivolti ad un pubblico più giovane. Per farvi un esempio, ho trovato La ragazzina che amava Tom Gordon molto più adulto, seppur sempre raccontato da un punto di vista bambino.
Nonostante il libro sia scritto a quattro mani il riferimento alle opere passate di Stephen King è chiaro ed evidente, rendendo ancora più ovvio il tentativo di vendere questo libro a tutti i costi. Sin dall'incipit comprendiamo che l'ambientazione della storia sarà Castle Rock, cittadina ideata dal Re dell'horror e luogo in cui si svolgono moltissime delle vicende da lui narrate. L'incipit, come del resto buona parte del libro, ha lo scopo di mostrare al Fedele Lettore il rimando, se non addirittura il tributo, che i due autori fanno alle opere passate di King. Se da una parte ne sono rimasta affascinata, dall'altra devo ammettere che, al di là di questo, l'incipit non mostra nulla di intrigante: chi non sa cosa sia Castle Rock si ritroverà semplicemente davanti ad una frase di senso compiuto introduttiva; niente di che, insomma.
Nella trama del libro riecheggiano storie già lette ma mai affrontate in questo particolare modo: una ragazza di dodici anni viene avvicinata da un losco individuo che le regala una scatola speciale, con dei bottoni e delle levetta magiche. Lascio a voi scoprire le sue funzioni.
Come in altri libri di King troviamo, dunque, la tematica del do ut des (Cose preziose) oltre che della grande responsabilità affidata ad una persona che nemmeno credeva potesse esistere qualcosa del genere (22/11/63 e molti altri). L'idea, seppur ricordi qualcosa di già letto, è interessante e fa venire voglia di continuare la lettura, per scoprirne i risvolti.
Lo svolgimento, in parte, è deludente. Questo è forse l'unico aspetto in cui saranno i lettori non abituati a questo tipo di lettura a poter apprezzare maggiormente quanto succederà perché, per coloro che sono cresciuti leggendo horror, ciò che accade è piuttosto semplice da indovinare. Nonostante questo, lo sviluppo mi è piaciuto e l'ho apprezzato, fermo restando che l'ho visto più come una lettura leggera e disimpegnata che potesse rievocare in me le emozioni provate con i precedenti romanzi e non come qualcosa di nuovo e irripetibile.
il finale è altrettanto semplice da indovinare, non ci sono colpi di scena, non rimaniamo stupefatti. In realtà, da King, mi sarei aspettata qualcosina di più, perché quello che ci presenta è veramente la versione "base" di sé stesso. Anche in questo caso mi ha dato l'impressione di mirare ad un pubblico più giovane: certo, alcune immagini crude ci sono (in fondo è un horror), ma gli aleggia intorno un'aura da "fascia protetta" che troviamo solamente in opere come "Gli occhi del drago". Si sa che l'autore non dà il massimo sulle conclusioni, qui però, non dà la solita impressione di essersi affrettato più del dovuto per terminare la storia, bensì quella di non aver avuto idee migliori di quella che leggerete.
Lo stile del libro è quello di King, ma gli autori hanno deciso di impostarlo con un tono quasi favolistico (terza persona al presente), che mi ha dato l'impressione del nonno che racconta la storia dell'orrore al nipotino che si appresta ad andare a dormire. Sicuramente un vecchietto all'avanguardia, ma pur sempre attento a non sconvolgere il nipote. Leggero, dunque, ma comunque piacevole. Non conosco Richard Chizmar perciò non so dirvi cosa ci sia di suo. Nonostante il narratore sia esterno e ci parli di Gwendy come qualcosa di estraneo, lui scompare quasi del tutto mimetizzandosi nella mentalità della ragazza, capiterà perciò di incappare (anche se non sempre) in un linguaggio più gergale e/o giovanile (e quei posti costano un botto).
Il ritmo è molto veloce. Come ho già anticipato il libro si termina in meno di due ore di lettura (rilassata). Questo è possibile perché è corto, lo stile è molto scorrevole (per ragazzi sì, ma comunque ben costruito) e piacevole. Sicuramente una lettura da fare Sotto l'ombrellone allo scopo di leggere qualcosa di semplice ma gradevole. Per le notti buie e fredde, La scatola dei bottoni di Gwendy potrebbe risultare un horror ben troppo solare.
I personaggi del romanzo non sono stati approfonditi; in parte ciò deriva da una scelta: Gwendy è la protagonista assoluta della storia e gli altri diventano semplicemente satelliti che le orbitano intorno.
La realtà è, però, che anche Gwendy non è stata oggetto di grande caratterizzazione; i suoi stati d'animo sono chiari, la sua personalità è credibile, le sue motivazioni sensate, ma l'animo della protagonista, al di là di ciò che concerne la scatola, ci rimane totalmente precluso. Immagino che la scelta di non approfondire di più i personaggi sia stata fatta per coerenza; il destinatario finale della storia e la trama si abbinano bene ad un approfondimento psicologico semplice ed immediato. King sa, però, che i suoi lettori più affezionati non hanno più 12 anni da lungo tempo e, comunque, ha già dimostrato in altri libri con ragazzini come protagonisti, la sua enorme capacità di rendere l'introspezione di ognuno di loro (persino di un cane, non dimentichiamocelo) in maniera ben più credibile ed interessante. Non ho gradito, perciò, la scelta che trovo riduttiva e semplicistica, quasi King stesso avesse deciso che questa storia non dovesse poi venire niente di che. In generale, è infatti, questo l'effetto che ho provato: come se questo non fosse altro che il prodotto del minimo sforzo dell'autore, ormai talmente navigato, da saper costruire con semplicità una storia horror interessante.
Nonostante la scarsa caratterizzazione dei personaggi, non ho avuto alcuna difficoltà a percepire l'atmosfera. Quest'ultima è resa sia dai pensieri della protagonista che dalla scelta accurata delle parole, volte ad inquietare il lettore. Non si tratta certamente di un horror puro, non è paragonabile ad opere più celebri di King, ma riesce comunque a trasmettere agitazione e un senso di oppressione. Il cattivo, che qui forse nemmeno potrebbe essere considerato tale, è come sempre il personaggio che rimane maggiormente impresso, nonostante sia poco presente nella vicenda e ricopra un ruolo fin troppo marginale.
Il libro è ambientato a Castle Rock dal 22 agosto 1974 al 1984. In un centinaio di pagine (effettive), dunque, la storia copre la bellezza di dieci anni. Nonostante mi siano piaciuti i riferimenti (anche se pochi) a ciò che già conosciamo della cittadina, non mi ritengo soddisfatta della resa dell'ambientazione. La storia avrebbe potuto essere ambientata lì o in qualunque altro posto e non avrebbe fatto alcuna differenza, non ritroviamo l'inquietante ma speciale cittadina dei nostri ricordi. Anche qui, sappiamo che il caro Stephen può fare molto di meglio, perciò, perché non rimanere delusi se non lo fa?
In conclusione, La scatola dei bottoni di Gwendy è un racconto che ho letto con piacere perché è carino e ha suscitato in me i ricordi delle letture passate. Questo romanzo mi serviva per poter ricominciare a credere in King, in parte c'è riuscito perché qui ho ritrovato un barlume di quello che so esserci in questo scrittore, dall'altra mi ha dimostrato nuovamente di non vergognarsi di promuovere trovate commerciali assolutamente poco consistenti, aspetto che comincia decisamente a stufarmi.
Penso che sia un libro che può deludere per diversi fattori: non vale sicuramente il prezzo a cui lo vendono, nonostante l'edizione sia molto bella e non capisco la necessità di scrivere una storia così semplice e lineare a quattro mani, perciò mi viene spontaneo pensare che, Richard Chizmar è riuscito a guadagnare molto in fama (perlomeno fuori dall'America, cioè dove è meno conosciuto), con pochissima spesa. Lo consiglio solo ai neofiti del genere che vogliono iniziare con qualcosa di soft, ancora meglio se giovani, oppure a quelli come me; i King-dipendenti che vogliono avere tutto ciò che pubblica, anche i prodotti commerciali che, effettivamente, non meriterebbero di essere pagati così tanto.
Se non avete iniziato con King e siete in dubbio sulle sue capacità, però, non iniziate da questo; ha scritto veri capolavori, questo non è il meglio che può fare!