Il giorno della civetta

Di Leonardo Sciascia

Adelphi

137 pagine

6/10

Consigliato: Ni

Film/Telefilm

Classico

Italiano

Giallo

Sociale

TRAMA IN BREVE

Un assassinio in pieno giorno con molti testimoni. Eppure, nessuno ha visto, nessuno sa. La Mafia esiste o è soltanto una Voce? 

INCIPIT

L'autobus stava per partire, rombava sordo con improvvisi raschi e singulti. La piazza era silenziosa nel grigio dell'alba, sfilate di nebbia nei campanili della Matrice: solo il rombo dell'autobus e la voce del venditore di panelle, panelle calde panelle, implorante ed ironica.

RECENSIONE

Ultimamente sono molto orientata verso le riletture e, così, ho deciso di dare una nuova possibilità anche a Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia.

La mia prima lettura di questo romanzo risale al primo anno di superiori (Liceo classico, indirizzo Linguistico) in cui, la professoressa di italiano decise bene di darci questo libro come lettura obbligatoria, senza spiegarcelo in alcun modo. Come tutti coloro che si sono ritrovati davanti ad una lettura obbligata sapranno, è molto più probabile non apprezzare ciò che si legge, se lo si fa perché ci viene imposto, per giunta da una persona che non stimiamo affatto, perciò, posso tranquillamente affermare che, alla ragazzina quindicenne di allora, Il giorno della civetta non sia affatto piaciuto, anzi, sarebbe stata pronta ad annoverarlo tra le sue peggiori letture di sempre.
Bisogna aggiungere che, già allora, io leggevo moltissimo e che i libri seri non fossero affatto una novità per me, ma ritengo che un romanzo come Il giorno della civetta di Sciascia vada contestualizzato per poterlo apprezzare pienamente e, sinceramente, penso che a quell'età io non fossi affatto pronta per capire ciò che rappresentava, sicuramente non da sola, senza la spiegazione che, invece, l'insegnate avrebbe dovuto darci.

È questo il motivo per cui oggi sono qui a parlarvi del libro: negli anni non ho più ripreso in mano un'opera di Sciascia perché lo scotto della prima lettura è stato grande ma, mi sono resa conto che, se non l'avessi riletto con il senno di poi e con la giusta testa per comprenderlo, non avrei mai saputo dire con cognizione di causa qualcosa al riguardo di questo autore e della sua opera.

Ad oggi, perciò, ve lo recensirò tenendo conto di tutti i fattori determinanti ma, premetto già, che agli amanti di Sciascia e della Letteratura italiana, probabilmente questa recensione non piacerà, perché non apprezzare Sciascia in Italia è un po' come disegnarsi una lettera scarlatta sul petto.

Partiamo dal presupposto che ritengo che tenere conto del contesto in cui il romanzo è stato scritto è per me sempre fondamentale e che in questo caso, se possibile, lo è ancora di più, perché lo stesso identico libro se scritto al giorno d'oggi, non avrebbe la presa che, invece, ha avuto sui lettori nel 1961. È questo il motivo per cui, pur non trattandosi di un romanzo antico, io l'ho inserito nella tag classici perché, passatemi il termine forte, se considerato come contemporaneo potrebbe essere considerato obsoleto. So di aver fatto una dichiarazione forte, ma ora cercherò di spiegarvi il perché di quello che dico.

Il tema fondamentale del libro è, senza dubbio, la Mafia, raccontata per come veniva vista, o più che altro non vista, nel periodo in cui è ambientato il romanzo. Questo argomento è piuttosto delicato da trattare perché, se non ci si spiega bene, si rischia di dare un messaggio totalmente distorto. Partiamo dal presupposto che io, fortunatamente, posso parlare di Mafia solo come concetto astratto, non perché lo sia, ma perché non l'ho vissuta sulla mia pelle e non posso nemmeno lontanamente capire cosa si provi ad esserne assoggettati, ma so che, in generale, ciò non corrisponde alla realtà di molte altre persone italiane che, tuttora, vivono una vita fortemente determinata dalla sua esistenza. Non voglio, perciò, asserire con la mia recensione che non sia utile parlarne perché la situazione è rosea ovunque, ma semplicemente ribadire che, sempre fortunatamente, riguardo all'argomento, almeno dal punto di vista dell'informazione, la società abbia fatto passi da gigante e che ciò che era innovativo e pericoloso nel 1961 non è ciò che è impossibile da dichiarare nel 2017, nonostante si tratti sempre di un argomento scottante e delicato e che il problema esista ancora.
Trovo, perciò, che Il giorno della civetta, abbia un messaggio notevole, se consideriamo il contesto in cui è stato pubblicato, ma che non potrebbe avere la stessa risonanza se giudicato con le consapevolezze del mondo moderno. Perciò, mentre apprezzo totalmente il messaggio mandato dall'autore, non posso asserire che, ad oggi, la lettura di questo romanzo possa avere un'utilità pratica: lo vedo più come un'opera giornalistica: è una fotografia della realtà di quel momento e, come tale, ha grandissimo valore, ma non si tratta di un'opera senza tempo che potrebbe essere traslata ai giorni nostri. Ripeto, sto parlando del piano dell'informazione, perché all'epoca nemmeno si ammetteva la sua esistenza.

Penso, per quanto appena detto, che il lavoro di Sciascia fosse, perciò, meritevole di rispetto e, da questo presupposto, devo però partire per dirvi che, oltre a questo, per gusti personali, sono riuscita a trovare poco altro.

Non mi ritengo una persona presuntuosa e, tantomeno, sufficientemente acculturata e qualitativamente preparata per poter giudicare lo stile di uno scrittore italiano rinomato sotto un punto di vista oggettivo, ciò che dirò, perciò, sarà esclusivamente frutto di un parere personale che deriva da gusti che appartengono a me che, come tutti, posso amare una particolarità e detestarne un'altra, senza che ciò detti discredito su quella che odio, o renda appetibile quella che amo.
Ho faticato moltissimo a leggere questo romanzo, sebbene sia piuttosto breve, perché lo stile dell'autore è totalmente l'opposto di ciò che si confà al mio gusto personale. La sintassi è molto differente dal mio modo di pensare, in parte ciò è dovuto al fatto che si rifaccia in parte al modo di parlare siciliano, ma non credo che ciò sia particolarmente rilevante perché ho letto molti altri stili similari sotto questo aspetto, e non ho avuto affatto problemi a calarmi nell'idea e in quegli stili. Se mi chiedeste di scrivere una frase di Sciascia dicendomi solamente l'ordine delle parole, ma facendomi aggiungere le virgole a piacimento, non ce ne sarebbe una scritta nello stesso modo. Ovviamente in parte deriva sicuramente da una mia inferiorità stilistica; non sono una scrittrice e, tantomeno, una giornalista ma, in buona parte, ciò deriva dal fatto che l'autore dà importanza a parole diverse dalle mie, le pause sono differenti da quelle che potrei mai immaginare, l'accento di un discorso non è mai dove potrei credere di trovarlo.
Persino le ripetizioni che, come vi ho già detto più volte, amo incredibilmente, qui mi lasciano stupefatta: vanno ad evidenziare parole che per me non suonano, davanti ad alcune frasi sono dovuta tornare indietro e rileggere tutto più e più volte per capire il significato di ciò che avevo letto. Ho trovato una completa incompatibilità per quanto riguarda il modo di spiegarsi ed esprimere i concetti. 
Non mi è mai capitato di ritrovarmi davanti ad un autore così rinomato ed essere totalmente incapace di capirlo, di ritenere la sua scrittura qualcosa di estraneo; come se nemmeno scrivesse nella mia stessa lingua. Non si tratta di un problema linguistico: conosco perfettamente le parole scritte all'interno del romanzo e, sebbene ve ne siano alcune di uso non comune o dialettale, non c'è stata una difficoltà nel comprendere la singola parola: è stato il senso generale di alcuni paragrafi a sfuggirmi, proprio per come veniva imbastita la struttura di ciò che veniva scritto.
Questo non significa che io non abbia apprezzato i concetti esposti all'interno del libro; non solo ritengo il messaggio stimabile ma ho trovato al suo interno tantissimi spunti di riflessione, anche estranei al tema Mafia, che ho apprezzato tantissimo.
Vicino ad alcune frasi ho messo l'appunto è una poesia, ma non mi arriva, perché mi sono resa conto dall'inizio alla fine dei pregi dell'autore ma mi sono altrettanto accorta che non facevano per me, non riuscivo a sentire, a volte persino a capire, finché non rileggevo due o anche tre volte.

L'incipit del romanzo non mi ha particolarmente colpita per questo motivo: troviamo una descrizione, aspetto in cui ho apprezzato di più lo stile dell'autore, ma le ripetizioni (panelle) e le azioni, sfuggivano via.

La trama del libro è ispirata ad un omicidio realmente avvenuto nel 1947; l'autore non ha riportato nomi o fatti incriminanti, per ovvie ragioni. Se vista da un punto di vista esterno e più superficiale, non si tratta altro che di un giallo, un poliziesco relativo ad un omicidio, di cui si deve scoprire l'assassino.

Nello svolgimento è, però, assolutamente chiaro che ad avere importanza non è la dinamica dell'assassinio in sé ma tutto quello che c'è dietro ad avere importanza per i personaggi coinvolti e, soprattutto, per l'autore del romanzo. Come già detto, ho apprezzato l'intento di Sciascia ma, personalmente, non sono riuscita a farmi coinvolgere dalla storia in sé. Il messaggio è così forte da oscurare il resto, non viene dato sufficiente spazio alla storia "superficiale" per darle modo di renderla appetibile indipendentemente dal suo significato intrinseco.

Il finale è rimasto in linea con tutto il resto; sempre fedele al concetto che si voleva esprimere, conclude la storia senza colpi di scena particolari. Sono le riflessioni qui a contare, non la suspense e il mistero. C'è grande coerenza all'interno del libro, in ogni elemento nulla stupisce, una volta compresa la direzione presa dall'autore, il problema è che, se non ci si ritrova da subito, si continuerà a sperare in qualche appiglio che mai arriverà.

L'ambientazione è chiara e importantissima. Non solo è evidente che ciò che accade sia ambientato in Sicilia, ma la regione è oggetto di dibattito tra i personaggi e viene raccontata sia da un punto di vista interno (i siciliani di nascita) sia da quello esterno (un personaggio venuto dal Continente). Questo aspetto mi è piaciuto molto e ritengo che sia uno dei punti forti del libro. La storia non si svolge solamente in Sicilia ma prevede qualche scena anche a Roma e a Parma: non è difficile comprendere, però, che queste ultime abbiano una rilevanza minore; sono utili solamente per spiegare al meglio i concetti introdotti.

Il forte messaggio e l'eccellente ambientazione hanno, in parte, oscurato i personaggi: ricoprono dei ruoli prestabiliti, li conosciamo più per ciò che rappresentano che per ciò che sono indipendentemente da tutto. Si capisce che l'intento di Sciascia è quello di farci vedere una situazione generale; poco importa se vi sia coinvolto Pinco Pallo o Pallo Pinco. Inoltre, l'autore aveva la necessità di salvaguardarsi, e dare una particolare personalità a qualcuno di loro avrebbe potuto causargli problemi. Lo stesso Sciascia ammette che:

Ma è certo, comunque, che non l'ho scritto quella piena libertà di cui uno scrittore (e mi dico scrittore soltanto per il fatto che mi trovo a scrivere) dovrebbe sempre godere. 

E questo si nota necessariamente in molti aspetti del romanzo.

Alcuni dei dialoghi sono particolarmente forti e rilevanti, se fosse solamente per il loro contenuto li avrei, certamente, considerati un punto a favore del libro. Purtroppo, però, la mia incapacità di approcciarmi alla sintassi dell'autore mi ha colpita profondamente anche davanti ai dialoghi: non mi piacevano i continui puntini di sospensione, mi soffermavo sui cosa ripetuti, non capivo chi dicesse cosa. Eppure ritengo ancora che, gran parte di ciò che il libro ha da dare, sia racchiuso proprio al loro interno.

Un aspetto che sono stata, invece, in grado di apprezzare è l'ironia. L'ho gradita molto e, diversamente da tutto il resto, son entrata in sintonia da subito con essa.

Sapete bene che l'atmosfera è uno dei fattori che fatico di più a percepire e ad apprezzare in un romanzo. In questo caso, sebbene l'argomento fosse importante e, perciò avvertissi una certa gravità durante la lettura, non sono riuscita a sentire altro, per me è stata una lettura faticosa e questo mi ha impedito di poterci entrare pienamente.

Si tratta, ovviamente, di un romanzo breve che si legge in pochissimo tempo. Dato che penso che la mia difficoltà possa derivante esclusivamente da un gusto personale, ritengo che per moltissimi altri lettori sarà più semplice terminarlo rispetto a ciò che ho provato io, perciò, valuto il ritmo di lettura un elemento medio; né troppo lento né troppo veloce.

In conclusione, si tratta di un romanzo importante dal punto di vista sociale ma che, su di me, non ha avuto appeal dal punto di vista letterario. Il voto che gli ho dato, perciò, dipende da ambedue gli aspetti. 

Non lo ritengo un romanzo di pura intrattenimento perciò lo consiglio solamente a chi è interessato al suo messaggio e a capire come si viveva in un'epoca contemporaneamente così vicina e così lontana alla nostra.

CITAZIONI

...ebbe il senso che qualcosa stesse fuori posto o mancasse: come quando una cosa viene improvvisamente a mancare alle nostre abitudini, una cosa che per uso e consuetudine si ferma ai nostri sensi e più non arriva alla mente, ma la sua assenza genera un piccolo vuoto smarrimento, come una intermittenza di luce che ci esaspera: finché la cosa che cerchiamo di colpo nella mente si rapprende.

Niente è la morte in confronto alla vergogna.

Il capitano era giovane, alto e di colorito chiaro: dalle prime parole che disse i soci della Santa Fare pensarono 'continentale' con sollievo e disprezzo insieme; i continentali sono gentili ma non capiscono niente.

«È come spremere una cote, non esce niente» disse, alludendo ai fratelli Colasberna e soci, e a tutto il paese, e alla Sicilia intera.»

«Se non sono comunisti, basterà che il papa dica quello che deve dire, ma che lo dica chiaro e forte, e resteranno imbalsamati.»

La paura gli stava dentro come un cane arrabbiato: guaiva, ansava, sbavava, improvvisamente urlava nel suo sonno; e mordeva, dentro mordeva, nel fegato nel cuore.

La sola cosa umana che avessero era questa agonia in cui, per la loro stessa viltà, si dibattevano; per la paura di morire ogni giorno affrontavano la morte: e infine la morte scoccava, finalmente la morte, ultima, definitiva, unica morte, non più il doppio giuoco, la doppia morte di ogni ora.

Che la legge fosse immutabilmente scritta ed uguale per tutti, il confidente non aveva mai creduto, né poteva: tra i ricchi e i poveri, tra i sapienti e gli ignoranti, c'erano gli uomini della legge; e potevano, questi uomini, allungare da una parte sola il braccio dell'arbitrio, l'altra parte dovevano  proteggere e difendere.

Così, lacerato dalla paura, a vagheggiare la sua pace futura, fondata sulla miseria e l'ingiustizia, un po' si consolava: e il piombo della sua morte intanto colava.

«Questa distinzione voi la fate sempre: siete testardo, amico mio, lasciatemelo dire. Comunista, socialista: e che differenza c'è?»

La Sicilia è tutta una fantastica dimensione: e che ci si può star dentro senza fantasia? Niente: soltanto i fatti.

La giornata era fredda ma luminosa, il paesaggio nitido: gli alberi, i campi, le rocce davano l'impressione di una gelida fragilità, come se un colpo di vento o un urto potesse frantumarli in un suono di vento.

Il brigadiere guardava inquieto la strada e pensava stipendio e spese, moglie e stipendio, televisione e stipendio, bambini ammalati e stipendio.

'Ma chi crede di essere, Arsenio Lupin?' Pensava il maresciallo, nei suoi lontani ricordi di lettore scambiando per poliziotto un ladro.

Non credere che uno è cornuto perché le corna gliele mettono in testa le donne, o si fa prete perché ad un certo punto gli viene la vocazione: ci si nasce. Ed uno non si fa sbirro perché ad un certo punto ha bisogno di buscare qualcosa, o perché legge un bando d'arruolamento: si fa sbirro perché sbirro era nato.

«La voce pubblica... Ma che cos'è la voce pubblica? Una voce nell'aria, una voce nell'aria: e porta la calunnia, la diffamazione, la vendetta vile... E poi: che cos'è la mafia?... Una voce che la mafia: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessuno lo sa... Voce, voce che vaga: e rintrona le teste deboli, lasciatemelo dire...»

«La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna: a se si butta giù non c'è più né sole né luna, c'è la verità»

QUARTA DI COPERTINA

Di questo romanzo breve sulla mafia, apparso per la prima volta nel 1961, ha scritto Leonardo Sciascia: "... ho impiegato addirittura un anno, da un'estate all'altra, per far più corto questo racconto. Ma il risultato cui questo mio lavoro di 'cavare' voleva giungere era rivolto più che a dare misura, essenzialità e ritmo, al racconto, a parare le eventuali e possibili intolleranze di coloro che dalla mia rappresentazione potessero ritenersi, più o meno direttamente, colpiti. Perché in Italia, si sa, non si può scherzare né coi santi né coi fanti: e figuriamoci se, invece che scherzare, si vuole fare sul serio".

PRO / INDIFFERENTE / CONTRO
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