Introduzione scomoda, ma necessaria.
L'anno scorso sono stata fin troppo vittima delle mode, complice l'account Instagram nuovo di zecca, mi sono fatta travolgere dalle letture altrui oltre che dai miei soliti ed amati autori fissi e già rodati.
È per questo motivo che ho bramato ardentemente, credo per la prima volta nella vita, leggere i libri vincitori di Premi prestigiosi come Strega e Campiello: tutti parlavano di entrambi in maniera entusiasta ed io non ho saputo resistere.
Avete già potuto leggere cosa penso del libro vincitore del Premio Campiello 2017: L'Arminuta. Romanzo che, ho creduto fino alla fine, non sono riuscita ad apprezzare quanto immaginavo, principalmente per gusti personali, anche se nessuno mi toglierà mai l'idea che non si tratta, di certo, di un capolavoro della Letteratura Italiana, come invece sostengono in molti.
Oggi decido di rovinarmi totalmente la reputazione facendo lo stesso con Le otto montagne.
Libro che sembra piaciuto a quasi tutti e che, in fin dei conti, non è dispiaciuto nemmeno a me, ma che mi ha convinta definitivamente di un fatto: leggere un libro solo perché ha vinto un Premio non è qualcosa da sperimentare nuovamente.
Ho iniziato Le otto montagne in un periodo nefasto: ogni lettura mi ispirava tantissimo prima di iniziarla e nemmeno una mi ha convinta quanto credevo, una volta letta. Ho vissuto una specie di blocco del lettore: la voglia di leggere c'era, ed era anche tantissima, ma non riuscivo ad apprezzare adeguatamente ciò che leggevo. Approcciandomi a Le otto montagne mi sono sentita nuovamente scoraggiata perché ho capito immediatamente che non avrei trovato nemmeno in questa lettura quello che ricercavo maggiormente: uno stile significativo, unico ed indimenticabile.
Penso che ogni tipo di lettore, più o meno esperto, ricerchi qualcosa in particolare in ciò che legge. Quel qualcosa può cambiare con il tempo, con l'umore, con il periodo. Io, come ho sempre dichiarato, ho il punto debole della scrittura: se l'autore mi conquista con la sua prosa, tutto il resto viene messo in secondo piano.
Allo stesso modo ci sono lettori che apprezzano maggiormente una trama intrigante o che ad un libro chiedono di farli emozionare, aspetti a cui generalmente io do un'importanza secondaria.
Tutti noi, ovviamente, ameremmo leggere libri che hanno tutto, questo però capita davvero di rado e, il compito del blog, è quello di darvi un'opinione più oggettiva possibile in modo da farvi capire, indifferentemente dalle priorità di ognuno di noi, se il libro in questione fa per voi. È per questo che in ogni mia recensione trovate tutti gli elementi che sono riuscita ad analizzare di un romanzo ed è per lo stesso motivo che libri come Le otto montagne, arcifamosi e letti dai più, potranno ricevere voti inferiori a quelli che darebbe qualcuno con gusti differenti dai miei.
Ciò che voglio credere e punto focale del lavoro che svolgo, è che anche chi ha gusti completamenti diversi dai miei, possa trovare le mie recensioni utili per decidere se un libro potrebbe piacergli o meno. Trovare il giusto connubio tra oggettività necessaria a raccontare un libro e soggettività adeguata per dare una spiegazione anche personale del voto dato, è sempre difficile, ci si lavora tanto per raggiungerla, perciò vi chiedo di non bollare una recensione come negativa o positiva a priori: non critico o esalto nulla senza spiegare il perché lo faccio.
Recensione vera e propria
Le otto montagne è il primo romanzo di Paolo Cognetti che leggo, non posso perciò paragonare la sua prosa con quella dei volumi pubblicati precedentemente. Lo stile di Cognetti è semplice ma volutamente evocativo. L'impressione che mi ha dato è stata quella di voler trasmettere più emozioni possibili, trascurando l'esercizio di stile puro e semplice. Lui stesso ha dichiarato sul suo blog di aver scritto Le otto montagne di getto, senza aver quasi cambiato nulla. Questa scelta io l'ho riscontrata maggiormente nella narrazione: ho trovato un libro scritto bene ma che non spiccava per questo elemento.
La trama del libro è fortemente autobiografica e l'autore stesso lo dichiara, ma al contempo non si tratta di una biografia ufficiale.
Cognetti ha preso quello che sapeva e sentiva e l'ha inserito in un romanzo, questo è un po' quello che dovrebbero fare tutti i bravi autori in ogni loro libro, il problema è che la forza di questo romanzo sta proprio nella veridicità di quanto raccontato.
Si tratta, infatti, di una storia priva di fronzoli, di suspense, di intrighi che mira puramente a raccontare qualcosa di vero, puro, sincero.
Trovo, dunque, che la via di mezzo che rappresenta non renda giustizia al libro. Se Cognetti avesse dato il proprio nome al protagonista oltre che a presentarla come "una storia che aveva già dentro di sé" penso che avrebbe meglio indirizzato i lettori del libro.
Infatti, se leggerete anche solo le recensioni su Amazon, è fortemente presente una divisione dei lettori sul libro proprio a "causa" della trama. Chi ha considerato maggiormente la parte personale e veritiera del romanzo l'ha amato: perché ha apprezzato il sentimento che ne scaturisce, più che l'intreccio.
Chi l'ha visto, invece, come un romanzo puro e semplice, si è chiesto dove fosse la trama vera e propria, dato che succede ben poco, e la focalizzazione non è certamente puntata sugli accadimenti in sé.
Personalmente non do una grande rilevanza alla trama, ma inizialmente non sono riuscita ad entrare nella parte sentimentale e, per questo, devo dire la verità, mi sono addirittura annoiata, leggendolo. Sono arrivata a metà solamente perché molti lettori del blog mi avevano chiesto di farne una recensione e, da quel momento in poi, l'ho divorato ed apprezzato, perché, finalmente, sono riuscita a percepire delle emozioni.
L'aspetto che, invece, dovrebbe riuscire a conquistarvi, specialmente se ricercate un romanzo di questo tipo è l'atmosfera.
Le otto montagne è un libro di ricordi, di legami perduti, un romanzo grandemente emozionale.
La storia raccontata non è tra le più toccanti possibili ma può raggiungere le nostra corde più profonde perché tratta di qualcosa di semplice, che noi tutti possiamo avere sperimentato. Un'amicizia di infanzia, il rapporto con il padre, quello con la madre, il riguardarsi indietro e constatare quanto non avessimo capito del nostro passato, nel momento in cui lo vivevamo.
Non a caso, infatti, è proprio quando il libro ha cominciato a guardarsi indietro che io, che con il rimpianto del passato ho un rapporto particolarmente importante, ho cominciato ad entrare nel romanzo e, finalmente, provare qualcosa durante la lettura.
È, per lo stesso motivo, che ogni lettore la pensa diversamente da un altro al riguardo: c'è chi dice che è meglio all'inizio e la fine meno e viceversa. Ad ognuno è piaciuto quello che a lui ricordava qualcosa e, di conseguenza il passaggio che gli ha fatto provare l'emozione più forte.
Sin dall'incipit comprendiamo alcuni dei temi principali del libro: la montagna e il rapporto con il padre. Si tratta di un inizio non particolarmente incisivo o significativo che svolge, però, il proprio lavoro: quello di introdurre la storia.
Un altro punto forte del romanzo è, indubbiamente, l'ambientazione.
Non solo la montagna, conosciuta perfettamente da Cognetti in ogni sua sfaccettatura è una location interessante e romantica, è anche l'amore dell'autore per lei che scaturisce dalla sua penna a renderla indimenticabile.
Le descrizioni sono meravigliose, ti fanno immaginare luoghi che non hai mai visitato. Io non ho grandi esperienze montanare da ricordare, eppure sono riuscita ad immaginarmi quei luoghi come se fossero a mia disposizione ogni giorno.
Se apprezzate le descrizioni o questa particolare ambientazione lo amerete molto. Se, al contrario, siete tra coloro che gradiscono poco le descrizioni prolungate e fini a sé stesse, penso che riuscirete a gradirlo meno.
Io do grande rilevanza all'ambientazione solo in particolari generi letterari che, secondo me, necessitano di questo aspetto in maggior misura, nella narrativa generale non la ritengo fondamentale ma la apprezzo.
In questo libro svolge un ruolo insostituibile, se non addirittura primario per l'autore.
Cominciò a piovere intanto: sentii una goccia sul dorso della mano e vidi che era acqua misto neve. Perfino il cielo sembrava indeciso tra l'inverno e la primavera. Le nuvole nascondevano le montagne alla vista e toglievano volume alle cose, ma anche in una mattinata del genere riuscivo a cogliere la bellezza di quel posto. Una bellezza cupa, aspra, che non infondeva pace ma piuttosto forza, e un po' d'angoscia. La bellezza dell'inverso.
Per quanto il libro sia breve, il ritmo di lettura che ho sperimentato è stato molto lento. Il motivo soggettivo è che il romanzo inizialmente mi annoiava, non mi intrigava sotto nessun punto di vista se non quello della stupenda ambientazione. Quello oggettivo, invece, è dovuto al fatto che, effettivamente, succede ben poco nella narrazione e, finché non si viene emotivamente coinvolti da ciò che viene raccontato, è difficile rimanerne stregati, a meno che le descrizioni non abbiano un ruolo fondamentale per il lettore.
Senza ombra di dubbio se lo stile dell'autore mi avesse particolarmente affascinata, il mio giudizio su questo aspetto sarebbe stato diverso.
Cognetti descrivendo questo libro lo spiega come una storia di due amici e una montagna. Il finale di questo libro è quanto di più coerente potremo trovare nel romanzo al riguardo di questa dichiarazione. Se leggerete il libro sotto l'ottica con cui l'ha descritto Cognetti (che è ufficialmente quella giusta, senza dubbio) probabilmente potrete trovare il finale particolarmente significativo. Quello che ho letto io nel romanzo è stato un po' diverso (non trovo che il tema dell'amicizia sia quello permeante, se non alla fine della storia l'incipit stesso, per me, lo dimostra) e proprio per questo il finale non mi ha folgorata. Non lo trovo né giusto, né sbagliato, semplicemente non approfondisce ciò che io, da lettrice, avrei preferito sapere: la profondità del rimpianto nei confronti di tutte le scelte del passato sbagliate, senza saperlo.
Per lo stesso motivo non ho amato l'introspezione del protagonista. Possiamo dire di conoscerlo profondamente perché Cognetti ci immerge proprio nei suoi pensieri, anche quelli nascosti e ci dà l'impressione di mostrarci la sua anima. Il problema è che, personalmente, ho percepito una grande freddezza in quanto veniva raccontato. Il protagonista si apre a noi, enuncia i suoi sbagli, ciò che lo fa soffrire ma io non sono riuscita a percepirne un vero dolore, quello che mi doveva colpire dritto al cuore. Ci ho letto anzi, un messaggio diverso: così è la vita, errare è umano, può capitare. Come se si volesse nascondere dietro ad una maschera. Come se si volesse dire che non si poteva far meglio. Non so dire se questa sarà l'impressione che avrete anche voi, probabilmente no, posso solo dirvi che quello che cerco in un romanzo è l'esatto opposto, perché di frasi come "ormai è andata così" la vita è già piena e ciò che ho bisogno di trovare è comprensione, struggimento, vera felicità, non una via di mezzo che mostri solo ciò che sappiamo già esistere.
Ho trovato Pietro, il protagonista, esageratamente egocentrico (e non solo egoista) ma mascherato da altruista. Ognuno di noi ha i propri pregi e i propri difetti, ma diventiamo interessanti come personaggi di un libro da leggere se, perlomeno, riusciamo a capirci nel profondo. Ho avuto come l'impressione che Pietro non si sia accorto del suo vero ruolo nella storia. L'ho trovato molto contraddittorio, e non perché umano, ma perché troppo superficiale al riguardo delle proprie responsabilità.
Probabilmente questo l'ho percepito solamente io, ma non potevo evitare di farne menzione perché, secondo me, questo cambia di molto la prospettiva di lettura del romanzo.
— E cosa fa? — chiesi, anche se in realtà volevo chiedere: come sta? Si ricorda di me? In tutti questi anni mi ha pensato quanto l'ho pensato io? Ma ormai avevo imparato a fare le domande degli adulti, in cui si chiede una cosa per saperne un'altra.
Gli altri personaggi sono raccontati dal punto di vista di Pietro. Alcuni lettori li hanno considerati piuttosto stereotipati, altri ottimamente approfonditi. Quello che ho percepito io è un'affinata capacità dell'autore nel descrivere aspetti salienti e rilevanti del carattere e della vita di ognuno di loro e la conseguente non volontà di arrivare fino in fondo, scavare sotto di essi per arrivare alla anima vera, quella che si può solo intuire. Come ho già detto, ho trovato il protagonista superficiale, e la mia idea è derivante anche da questo aspetto. Pietro è un grande osservatore, e si accorge di cose importanti, descrivendole con minuzia e destando il nostro interesse ma, una volta raccontato il dettaglio notato, invece di approfondire, scavare, spiegare, pensa di avere concluso con l'analisi e passa oltre, come se avesse capito tutto. Sono descrizioni che io ho percepito tronche, belle ma fanno vedere solo la prima parte, noi esseri umani siamo molto di più.
Lui emotivo, autoritario, insofferente, lei forte e tranquilla e conservatrice. Il modo rassicurante di far sempre la stessa parte sapendo che l'altro farà la sua: non erano vere discussioni le loro: ma recite di cui ogni volta prevedevo il finale, e in quella gabbia finivo per essere rinchiuso anche io.
In conclusione, questo romanzo non mi ha convinta per moltissimi aspetti ma è riuscito, involontariamente, a fare quello che molti altri libri stupendi non riescono a raggiungere: farmi emozionare, anche se solo da metà volume in poi. Penso che ciò sia dovuto più ai temi trattati che alla storia in sé, ma questo è necessariamente da considerare nella mia valutazione.
Consiglio il romanzo solo a chi lo vuole leggere per provare qualcosa di emotivamente coinvolgente che riguardi le vite di tutti noi o che apprezzi in particolare la montagna come ambientazione.
Non lo consiglio a coloro che cercano una trama coinvolgente o una ricercatezza stilistica pregiata.
Non leggetelo solo perché di moda e apprezzato dai più, non fate il mio errore.