Con il Gruppo Di Lettura #LibriDiCoe (potete seguire l'hashtag su Instagram per vedere tutte le nostre statistiche) stiamo leggendo tutta la bibliografia di Jonathan Coe. Era inevitabile incappare, prima o poi, in un libro che, rispetto agli altri, non ci avrebbe convinto del tutto e, purtroppo, eccoci arrivati.
Questa notte mi ha aperto gli occhi, terzo libro pubblicato dell'autore, infatti ha lasciato perplessi tutti i membri del gruppo. È un romanzo che mostra moltissime delle caratteristiche dello scrittore inglese, ma le nasconde dietro aspetti non del tutto convincenti e assimilabili ad un tipo di letteratura decisamente meno alta rispetto a quella a cui ritengo appartenga Coe.
Parto con il descrivervelo dalla struttura.
- Il testo si apre con una prefazione di Jonathan Coe (non presente in tutte le versioni, perciò vi consiglio di acquistarne una nuova edita Feltrinelli) in cui l'autore svela alcuni aspetti della propria esistenza e di come è nata la storia che leggeremo successivamente. Dalle sue parole evinciamo che il suo vero sogno fosse quello di diventare un musicista di successo e che questo libro sia nato ripensando al suo passato e alle esperienze avute in questo campo. L'autore aggiunge anche che si fida più della musica che delle parole, per le quali prova diffidenza e irritazione e che se avesse capito sin da ragazzo l'importanza dello studio anche nel campo musicale, avrebbe potuto avere un'esistenza completamente differente.
Per il resto dei miei anni di scuola, la musica diventò come il sesso: qualcosa a cui pensavo costantemente, ma che praticavo poco. Non con gli altri, almeno.
- Nel corpus centrale troverete il romanzo vero e proprio: i capitoli sono divisi e intitolati come se fossero pezzi di un'opera musicale (Intermezzo, Assolo ecc...) , al loro interno troverete non solamente parti di testo ma anche qualche frammento di pentagramma.
- Alla fine, nel capitolo V.O. (anche questo non presente nelle edizioni più vecchie), troverete un ulteriore capitolo con il medesimo protagonista, William, ma spostato molto avanti nel tempo.
Lo stile di Coe è ben riconoscibile e apprezzabile anche in questo volume; il narratore si rivolge direttamente a noi, consapevole della nostra presenza e utilizza un linguaggio al contempo ricercato e realistico. Spesso indugia su concetti legati alle proprie conoscenze musicali non semplici da capire per chi non è ferrato in materia e questo può creare problemi ad alcuni lettori. Personalmente non ho provato alcun tipo di fastidio o disagio nel leggerlo, ma ho trovato evidente come l'autore, esclusivamente in questo caso, non abbia desiderato scrivere un testo alla portata di tutti. Questo è stato il secondo indizio (il primo è stato in contenuto della prefazione dell'autore) che questo testo sia stato scritto più per esigenze personali che per il pubblico.
La trama ci parla di William, ragazzo che cerca di sfondare nel mondo della musica, che al momento si mantiene lavorando come commesso in un negozio di dischi. Le sue principali preoccupazioni sono il suo gruppo e la sua ragazza, Madeline, con cui sembra non riuscire a trovare la giusta connessione.
Per questo non mi preoccupavo un granché se la nostra attesa non era delle migliori. Litigare con Madeline era meglio che scopare con qualsiasi altra donna al mondo.
Se nella prima metà del romanzo ciò che ci viene raccontato, seppur alternato nei tempi, appare piuttosto lineare, facilmente comprensibile e anche piacevole, nella seconda metà troveremo uno svolgimento decisamente differente. L'anima gialla del testo, già comprensibile dalle prime pagine del volume, diventa quasi quella di un thriller americano (di quelli più sbrigativi ed eclatanti), in cui si susseguono verità non sospettabili e scene d'azione che, difficilmente, si considereranno inserite a proposito.
Per l'ennesima volta le circostanze mi trascinavano lontano, portandomi oltre il regno dove si possono prendere decisioni ed esercitare la propria volontà.
Il finale, seppur eclatante, non è conclusivo come quello di altre opere dell'autore, che solitamente si distingue per la sua capacità di riuscire a creare grandi costruzioni e a inserire al loro interno ogni piccolo dettaglio, anche quelli più insignificanti e ormai dimenticati dal lettore. In questa conclusione, invece, sono pochi e piuttosto grossolani i collegamenti con il testo precedente.
Il finalissimo, cioè il capitolo V.O. l'ho voluto prendere come un estratto aggiunto successivamente e esclusivamente legato al precedente per la presenza del medesimo protagonista. Non aggiunge niente al racconto e, anzi, crea un po' di confusione.
Il ritmo di lettura è veloce; nella parte iniziale non è frenetico ma si procede molto volentieri anche davanti alle scene più statiche (che, personalmente, ho trovato quelle meglio riuscite), nella seconda parte cresce sempre di più, rischiando di diventare anche eccessivamente sbrigativo e, per questo, meno credibile.
In conclusione, il testo presenta moltissimi aspetti che un lettore esperto di Coe associa naturalmente a lui: l'importanza della musica e i riferimenti musicali più o meno alti, il cinema, il giallo, il finale eclatante e, ovviamente, lo stile ironico ma curato. La storia che dovrebbe fare da collante per il tutto, però, è decisamente meno convincente e approfondita rispetto a ciò a cui lo scrittore ci ha abituati e, questo, ci porta a non apprezzare particolarmente la lettura.
Non mi sento di consigliarlo a tutti. Non si tratta affatto di un brutto libro perché la scrittura di Coe rimane ottima e, questo, basta ed avanza per fare un buon libro (almeno per i miei canoni), ma trovo che leggendo questo testo piuttosto che un altro si rischi di non comprendere il valore di un grande autore che, invece, dovrebbe assolutamente essere conosciuto. Solamente nel caso siate dei fan dello scrittore, o dei patiti di storie legate alla musica, vi esorto a leggerlo per farvene un'idea maggiormente completa.
Essendo il romanzo che ho meno gradito, ho pensato a lungo alla valutazione da dargli, in modo da rendere giustizia alle altre opere, allo stesso tempo però ritengo che lo stile di questo autore, al di là di tutto il resto, non possa in nessun modo (o almeno non per ora) giustificare le 3 stelline.
Aggiungo un'ultima riflessione, personalissima e non richiesta. Nella premessa Coe ci presenta questo libro come "comico", mentre molti dei temi al suo interno (ne ho in mente particolarmente uno, ma non voglio anticiparvelo) sono tutt'altro che divertenti. Anche lo stile, seppur ironico come sempre, non mi sembra affatto direzionato verso la comicità. È assolutamente vero che all'interno del testo sono presenti spezzoni comici (ad esempio la riflessione sul riuscire a prendere l'autobus di domenica mattina, che ho apprezzato tantissimo!) ma non ritengo che il libro, analizzato interamente, possa essere etichettabile come comico. Questo mi ha fatto ripensare alla mia valutazione del finale: non è che abbiamo preso sul serio una conclusione volutamente ridicola/americanata/esagerata? Che Coe sappia fare di meglio è indubbio, perciò l'ipotesi che ci sia una motivazione dietro a quella che sembra una semplice caduta di stile non sembra così improbabile. Forse l'autore ha cercato di esprimere a parole la musica ma, purtroppo, il suo tentativo ha creato qualcosa di non completamente riuscito e di ben lontano da ciò a cui lo scrittore ci ha abituati.
Aspettare a una fermata la domenica mattina è come andare a messa: è un atto di fede, l'espressione di una fede irrazionale in qualcosa che desidereresti mostruosamente che esistesse, anche se non l'hai mai vista con i tuoi occhi.