Spesso sono altrove, quando sono qui.
Qualcosa che s'impara di Gian Luca Favetto è il terzo volume della collana CroceVia di NN Editore.
Questa collana, di cui ho recensito anche il primo volume, Di ferro e d'acciaio, nasce dall'idea di creare dei testi dedicati ad interpretare ed approfondire il significato di alcune parole. Nel caso di Favetto, la parola prescelta era perdono/dono.
L'autore decide di affrontare il compito non attraverso un testo di narrativa, ma con un saggio/memoir che parlerà del perdono a tutto tondo.
All'interno di Qualcosa che s'impara, dunque, leggeremo del perdono in letteratura, della concezione che ha avuto nella vita dell'autore e nelle vite delle persone che ha conosciuto, interrogate appositamente sull'argomento.
«Perdono è una di quelle parole che fanno del bene».
Ha qualcosa di angelico, mentre lo dice. Di puro e vizioso.
Un lavoro vario e completo che mostra prima di tutto l'enorme cura e dedizione impiegate da Favetto per poter rispondere al tema, ma che, al contempo, ha anche generato da parte sua profonde riflessioni che, al di là del concetto in sé, permettono al lettore di ritrovare nello stesso testo due componenti che, spesso, vengono separate: l'utilità e l'empatia.
Se, infatti, i riferimenti letterari e cinematografici ci permetteranno di scoprire nuove opere, di conoscerle in maniera più approfondita o anche di rivederle e rileggerle grazie alla chiave di lettura fornitaci dall'autore, le storie personali contenute nel testo ci aiuteranno a contestualizzare le conoscenze acquisite e renderle reali; chiamandoci non solo a comprendere meglio la parola trattata, fine ultimo della collana, ma anche a conoscerne meglio i risvolti psicologici che le si potrebbero associare. Sarà anche inevitabile dare una propria risposta a quanto si leggerà.
Altri argomenti fondamentali nell'opera sono la scrittura e la lettura; i lettori amano, in genere, le riflessioni riguardanti la loro attività preferita e in Qualcosa che s'impara, potranno trovare tantissime frasi sul tema.
Perché leggere, e dunque scrivere, è un modo di praticare una diaspora, un allontanamento, una fuga dei molti io e dei molti sé che ci abitano dall'Io e dal Sé che si vorrebbero unici, monolitici, intaccabili. In fondo, è un liberarsi, lasciarsi andare, abbandonarsi. È un abbandono. Un dono. Una possibile abbondanza di doni.
La storia personale dell'autore non verrà completamente trattata; come nei memoir ciò che ci verrà raccontato spazierà nel tempo (con un salto temporale di trentanni) e nello spazio (da Lione, Francia a Roma in Italia).
Lo stile dell'autore è evocativo, personale e ricco: non il più semplice da comprendere di primo acchito ma perfetto per il testo; anche lo stile, infatti, riesce a coniugare perfettamente l'anima dotta e al contempo emozionale di ciò che leggeremo.
Favetto non solo si mostra e si racconta ma parla anche direttamente con noi in più di un'occasione, coinvolgendoci e facendosi sentire direttamente coinvolti in ciò che ci viene raccontato.
Accadde molti anni dopo Lione, praticamente ieri per te che sei su questa zattera di parole insieme con me ora, e ci lasciamo andare alla corrente.
Altra scelta stilistica che ho apprezzato è la decisione di raccontare al lettore anche dei dialoghi e delle riflessioni avute una volta saputo del tema di questo libro.
Questo ho buttato lì a Lea, quando le ho detto che avrei dovuto cominciare un libro con dentro il perdono, un libro che deve fare tutto un viaggio con il perdono a bordo e, al tempo stesso, lo deve attraversare e circumnavigare, lo deve assaggiare, digerire, deve perderlo... ma ci vogliono ancora mesi prima che inizi, ho detto.
I titoli dei capitoli sono seguiti dai macroargomenti (specialmente quelli letterari) che verranno affrontati al loro interno.
Questa struttura renderà possibile per il lettore consultare il testo anche successivamente, in caso volesse rileggerne alcuni passaggi, magari ritrovando i riferimenti ad opere che desidera consultare.
Il libro è ricco di spunti di riflessione, le citazioni che ho sottolineato e che avrei voluto riportarvi erano talmente tante da obbligarmi a farne un'ulteriore selezione: anche solo se riviste in un secondo momento ed estrapolate dal contesto potranno essere interessanti da rileggere.
L'incipit del libro si apre immediatamente con un riferimento letterario/teatrale: quello di Macbeth.
La mancanza di un riferimento personale/narrativo all'inizio del libro potrà confondere il lettore, che imparerà a capire completamente questa apertura una volta entrato nel testo e il finale la renderà ancora più apprezzabile.
In conclusione, Quello che s'impara è un libro che ci parla della parola perdono sia dal punto di vista letterario, sia da quello culturale, che da quello emotivo/sentimentale. È un'opera che insegna molto e che va letta con attenzione e con cura.
Lo consiglio perché è un libro da leggere e anche da rileggere.
Io mi sono appuntata molte cose da riguardare e penso che questa lettura potrà arricchire ognuno di voi: per questo lo consiglio.