Tutti abbiamo rubato a qualcuno, venduta una madre, tirato un grilletto, spezzato un cuore. L'innocenza non esiste.
Venti giornate al rogo è il secondo libro che leggo dell'autore emergente Flavio Carlini.
Dopo la lettura del suo La corte dei miracoli devo ammettere che ho iniziato la lettura con alte aspettative perché lo trovo un autore molto promettente. La prefazione, invece, sebbene ben scritta e intrigante, mi aveva lasciato un'idea non del tutto positiva (perché non la condivido pienamente). Alla fine, però, mi trovo molto soddisfatta di quello che sono riuscita ad arguire dal testo.
Passiamo al libro in sé: ciò che sicuramente è da menzionare immediatamente, per spiegarlo e farlo capire a voi lettori è la sua struttura.
Il volume è diviso in capitoli che possono essere demandati a tre categorie che si alternano in schemi sempre diversi: i sogni, la narrazione principale e i racconti.
La parte dei sogni è sempre breve e allegorica, serve come pausa riflessiva sia al protagonista che al lettore, è caratterizzata ogni volta da un titolo che contiene all'interno "la Moldava" perché è proprio questo fiume ad essere l'ambientazione di ogni frammento.
Quella dei racconti varia a seconda della storia e contiene al suo interno più generi letterari, è senza dubbio ciò che mi ha colpita maggiormente. I titoli sono diversi e non lasciano sempre intuire il risvolto letterario che celano al loro interno. Sono brevi (al massimo qualche pagina) ma molto incisivi.
La narrazione principale è quella che occupa la maggior parte dello scritto e che dà un senso allo stesso, donando al romanzo non solo una trama portante ma, soprattutto, un filo conduttore che ci fa capire come tutto si collega. I titoli di questi capitoli sono presi da canzoni realmente esistenti.
Il messaggio non sempre è oggettivo e, in questo caso, quello che vi dirò probabilmente non lo è. Io ritengo, però, che sia diritto di un lettore desumere ciò che gli si confà maggiormente di una lettura e non ciò che gli viene detto di comprendere.
In Venti giornate al rogo possiamo trovare il protagonista Jan e, dall'altra parte, tutti gli altri. Si tratta di un uomo intelligente e capace, molto consapevole di queste sue qualità. Ciò che dimostra al lettore, inizialmente, è di sentirsi superiore alle persone che gli scorrono davanti agli occhi, giorno dopo giorno, è il primo a giudicarli, pensando di aver capito tutto di loro. La verità, però, è che Jan nel corso del romanzo avrà la possibilità di scoprire quello che all'inizio del libro sembra non capire: anche lui è umano e, perciò, debole e fallibile e in un modo completamente diverso da quello che avrebbe mai potuto immaginare.
Ciò che ne ho arguito io è, perciò, che nessuno di noi si salva automaticamente dallo stereotipo. Tutti, volenti o nolenti, potremmo essere un personaggio di una serie TV e questa consapevolezza può bruciare tutte le altre certezze.
... non capisco se le serie tv prendono spunto dalla realtà o è la realtà degli umani a piegarsi a ciò che gli viene dettato dalla fantasia degli sceneggiatori di film e telefilm.
Oltre a questo l'autore ci mostra, sia nei racconti che nella storia principale, alcune categorie emarginate dalla società, facendocene vedere la forza, il valore, l'essere a loro modo dei veri eroi. Lo stesso Jan pur trattandosi di un personaggio scomodo e difficile da non giudicare, ha un'ironia che ci coinvolge da subito e un ci fa automaticamente provare simpatia nei suoi confronti, dimostrandoci quanto è facile cambiare opinione su qualcuno se ci si preoccupa di conoscerlo meglio e non solo per le evidenze che, nel 100% dei casi ci mostrano solo una piccola parte di quello che una persona è.
– Buongiorno – sono di pessimo umore: questo mi rende particolarmente socievole.
Lo stesso, però, non si può dire di lui: è così capace ad inquadrare le persone da non riuscire più a discostarle dallo stereotipo che rappresentano. Jan si stupisce ogni volta che il suo interlocutore gli dimostra di essere qualcosa di più della maschera che il proganosita gli aveva istintivamente cucito addosso.
Per questo motivo gli altri personaggi lasciano il segno ma non danno l'impressione di essere approfonditi al massimo: quelli positivi hanno certamente una caratterizzazione tridimensionale ma tutti gli altri rientrano nei loro ruoli con troppa comodità. Questo avviene perché Jan, scopre nei primi, quella scintilla di umanità che li fa uscire da quello che lui considera ovvio e banale, per i secondi, invece, non è data chance di redenzione.
Ciò che viene dimostrato dall'autore in questo libro è coerente con la sua scelta, non si tratta perciò di un errore. Io, però, quando penso che uno scrittore abbia grandi capacità sotto questo aspetto, non mi accontento mai e, in questo caso, vorrei da Flavio Carlini ancora di più, perché tutti, anche il cattivo più meschino, è molto di più di quello che si può vedere in superficie e, se si parla delle persone in tutte le loro sfaccettature, non bisogna lasciare indietro nessuno. Persino la turista scemotta da 'una botta e via' potrebbe nascondere qualcosa di inaspettato che la possa rendere un'eroina.
Scoppio a ridere, la studentessa è tanto bellina quanto scema e sappiamo tutti e due dove vuole andare a parare con questo approccio adulatorio da quattro soldi. Tanto vale smetterla di tirarmela ed evitare di deluderla.
L'incipit del libro comincia con una parte onirica, la natura esplicita di contenuto e linguaggio è chiaramente desumibile dando al lettore la possibilità di capire se la scelta lessicale fa per lui. Io testo sempre sui social l'appetibilità di questo elemento tra i followers (si ottengono spesso risultati curiosi ed interessanti) e i due terzi dei votanti non l'ha apprezzato. Si tratta di un risultato che si ottiene davvero di rado, perché, generalmente, davanti ad una prima impressione la maggior parte delle persone tende, in questi casi, a dare il beneficio del dubbio. Questo significa che Flavio Carlini lascia il segno, niente vie di mezzo. Se spiccherà in positivo o in negativo spetterà a voi deciderlo.
Le parole utilizzate dall'autore sono difficili da digerire, possono offendere e marchiare indelebilmente la sensibilità di qualcuno ed il loro scopo è proprio questo: sfregiare, torturare, raschiare, qualunque cosa pur di non essere di semplice lettura, dimenticabile. In molte cose il protagonista e ciò che egli dichiara è esagerato, portato all'esasperazione, in totale coerenza con il suo modo di vivere e di pensare.
Io apprezzo molto lo stile di Carlini, perché dimostra una capacità lessicale interessante: chiunque saprebbe inserire parolacce e frasi forti in un testo, solo i bravi scrittori riescono a farlo senza sembrare dei semplici provocatori privi di costrutto ma, anzi, di rendere la narrazione più realistica.
La forza e la potenza di quanto viene detto potrà far sì che il testo non piaccia a tutti, ma la competenza dell'autore, per me, è oggettiva.
La trama del romanzo nasce da un'idea insolita: un personaggio con una vita precaria e difficile da immaginare. Jan scrive poesie ai turisti di passaggio sul ponte Carlo e si diverte a sbeffeggiarli, sentendosi superiore e immune da ciò che li rende deboli e mediocri. La sua vita, però, sta per essere messa al rogo.
Il finale mi ha colpita; così coerente da essere inaspettato. Non aggiungo nulla perché rischierei di anticipare qualcosa.
Dopo la resa dell'ambientazione de La corte dei miracoli era assolutamente impossibile per l'autore superarsi, forse anche eguagliarsi. In questo volume il luogo in cui si svolgono le vicende cambia nel corso della narrazione; prima Praga, poi l'Italia e Roma in particolare. Non è tanto il luogo prescelto ad avermi stupita, questa volta, ma la capacità dell'autore di descrivere ogni nuovo ambiente senza, in realtà, raccontarcelo attraverso tratti estetici. All'interno dei suoi libri, infatti, i luoghi non sono oggetti fisici e inamovibili ma un essere vivente univoco e cosciente che esprime se stesso non solo nell'estetica (poco importante) ma nella sua personalità. Sono le persone che ci vivono, a popolarlo e a renderlo ciò che è.
Roma mi accoglie tra braccia pompose e solide, recinto di monumenti immortali custodi di una saggezza millenaria. Ma Roma è anche vecchia, stanza e malandata; è forma e figura di tutto ciò che barcolla cercando di mantenere l'equilibrio, seppur precario, per non arrendersi all'inevitabile.
Il ritmo di lettura è molto veloce, fortunatamente all'interno del romanzo (non a caso) sono presenti gli interludi onirici nella Moldava che permettono al lettore di rendersi conto del parossismo avuto nei confronti nel resto della lettura. Carlini riesce a coinvolgere sia quando racconta qualcosa di attivo sia quando si occupa di pensieri e sensazioni. Ho terminato la lettura in una serata e, anche se il romanzo avesse avuto 100 pagine in più, sarebbe stato lo stesso.
L'atmosfera l'ho percepita a tratti. La sensazione che ho avuto io è stata che il protagonista si desse a noi ma, al contempo, recitasse il suo ruolo, persino con sé stesso. Questo lo fanno un po' tutti gli esseri umani e non rende il romanzo meno credibile, anzi lo considero ancora più realistico perché chiunque, anche nel tentativo di raccontarsi senza freni inibitori, rischierebbero di indugiare su una cosa piuttosto che un'altra, rendendo l'oggettività assolutamente impossibile. Questo, però, mi ha impedito di accomunarmi al protagonista che, a dirla tutta, è il più possibile lontano da me nell'atteggiamento e, soprattutto, nella consapevolezza di sé, per quanto abbia una mentalità del tutto condivisibile.
In conclusione, un buon libro di un autore in cui credo molto. Le capacità ci sono, le idee anche, le motivazioni per scrivere qualcosa di diverso e non puramente commerciale pure. Sono proprio curiosa di vedere come tutto questo si evolverà in futuro.
Lo consiglio solo a chi ha il pelo sullo stomaco, si sente disposto a rischiare con una lettura difficile da digerire. Secondo me, l'unico modo per amare davvero la Letteratura è quello di apprezzarne tutte le sfaccettature e quella espressa da Flavio Carlini è valida ed interessante.