TRAMA IN BREVE

Nathan Zuckerman si interroga sulla vita di un ragazzo idolatrato durante la sua gioventù: Lo Svedese, uomo, padre e marito apparentemente perfetto. Nathan verrà però a conoscenza di dettagli a lui sconosciuti che lo porteranno a riflettere e ad immaginare cosa ci possa essere dietro a questo dio apparente.

DEDICA

A J.G.

INCIPIT

Lo Svedese. Negli anni della guerra, quando ero ancora alle elementari, questo era un nome magico nel nostro quartiere di Newark, anche per gli adulti della generazione successiva a quella del vecchio ghetto cittadino di Prince Street che non erano ancora così perfettamente americanizzati da restare a bocca aperta davanti alla bravura di un atleta del liceo.

RECENSIONE

Philip Roth non è per tutti. Frase infelice, che potrebbe essere facilmente fraintesa ma che ora vi spiegherò. Questo autore è diverso da ciò a cui siamo abituati; ha particolarità tutte sue che possono essere apprezzatissime o fonte di frustrazione da parte del lettore. Non si può leggere un suo libro "per caso" o piace o non piace e non ci si può fare niente; dipende tantissimo da cosa si cerca in un libro. Io amo questo autore e ho apprezzato tutti i suoi libri letti finora, nella mia recensione cercherò di farvi capire cosa potete trovare in un suo libro e cosa, invece, non troverete mai. 

Non è un mistero per i lettori più assidui del blog (e ne approfitto per ringraziarvi perché siete sempre di più e sempre più presenti tra mail e social) che ciò a cui io, come lettrice, do maggiore importanza in un libro è lo stile. Il manierismo, gli arzigogoli, la capacità di esprimere in dieci righe un concetto che si potrebbe tradurre in due parole ma che così viene reso meglio e con più pathos, gli esercizi di stile anche fini a sé stessi.. tutto ciò per me è genialità. Solamente i grandi scrittori senza tempo possono riuscire in un lavoro del genere senza fallire miseramente e, in tutta onestà, non c'è alcuna possibilità che un libro scritto davvero bene possa ricevere un voto negativo da me, indifferentemente da tutto il resto. Philip Roth è così; non capiterà mai e poi mai che vi esprima un concetto nel modo più semplice possibile, potrete trovare frasi ripetute anche venti volte all'interno di un suo romanzo e mai per caso, è prolisso, pedante, pesante e arrogante e tutto ciò per chi, come me, ama lo stile, è il paradiso. Perché solamente lui, o quasi, sa fare quello che fa; è quasi impossibile esprimere un concetto complesso e lungo senza cadere in banalità, semplicismi o frasi inutili e totalmente dipendenti dal contesto, per quanto si dilunghi ed esprima più volte un concetto non c'è mai un concetto di troppo, una frase che avrei preferito non leggere. Ogni sua frase, ogni riga ed ogni parola sono acqua fresca per gli assetati di cultura e stile, leggerle anche in ordine sparso fa comunque rilevare il genio che sta dietro alla penna, in questo aspetto mi ricorda molto Umberto Eco, profondamente diverso in molti aspetti ma altrettanto capace di rendere opera d'arte anche una sola frase. Cosa succede però? Succede che non tutti amano il manierismo, gli esercizi di stile e le capacità lessicali e sintattiche, molti vogliono leggere un libro che non sia scritto male ma senza fronzoli, che trasmetta per quello che c'è scritto e che non ripeta le cose, ma semplicemente dipani la trama e la renda interessante. Io stessa non potrei leggere mai e poi mai solamente libri di questo autore, perché a volte ciò che si cerca in un romanzo è profondamente diverso e nei suoi libri non si può trovare. Ecco, se in un libro cercate divertimento, leggerezza, simpatia state lontani da Philip Roth e, in particolare, da Pastorale Americana. Potrete solamente odiarlo, non fa per voi, o non vi si adatta in questo particolare momento. Se, invece, avete letto già moltissimi libri e siete in cerca di qualcosa di diverso, di qualcuno che porti il mestiere di scrittore ad un livello superiore dove il ruolo dell'autore non è quello di intrattenervi ma è soprattutto quello di dimostrarvi quello che sa fare.. Philip Roth non vi deluderà mai. 

- Scrivere ti trasforma in una persona che sbaglia sempre. La perversione che ti spinge a continuare è l'illusione che un giorno, forse, l'imbroccherai. Che cos'altro potrebbe farlo? Fra tutti i possibili fenomeni patologici, questo è uno che non ti rovina completamente la vita.

Lo stile di Roth è la sua anima. Se non lo si apprezza difficilmente si potranno gradire i suoi romanzi, sebbene questo elemento non sia l'unico a rendere, la lettura dei suoi libri, unica e indimenticabile.

In Pastorale Americana, come del resto in tutti gli altri libri che ho letto di Philip Roth, il protagonista, nonché il narratore è Nathan Zuckerman, alter ego dell'autore. Nathan è a sua volta uno scrittore e, come saprà chi ha letto altro di questo autore, si diletta a scrivere romanzi basandosi sulle persone che conosce nella vita "reale". In questo libro è Lo Svedese, Seymour Levov, ad essere preso come spunto per la sua nuova storia. Possiamo perciò dire che il protagonista del libro dentro il libro sia proprio lui: Lo Svedese. 

L'idea da cui parte la trama è legata a ciò che Zuckerman conosce superficialmente di Seymour Levov; campione sportivo, bravo a scuola e successivamente continuatore attento e acuto dell'attività familiare, un dio per lui e per tutti i ragazzi della scuola durante la sua infanzia. Un uomo che sembra, apparentemente invincibile, ma di cui scoprirà anni dopo vicissitudini assolutamente discordanti all'idea che si era fatto di lui negli anni della scuola superiore. Da qui l'invenzione dello scrittore (sempre fittizio) parte a capofitto a colmare le lacune, creando la vera storia dello Svedese e della sua famiglia.

Nello svolgimento della trama sono diversi gli elementi che possono non piacere ad un lettore: non leggiamo una storia univoca, bensì seguiamo i pensieri di Zuckerman che, tra ricordi dell'infanzia ed invenzioni, ricostruisce a modo suo una storia che solo successivamente scriverà. Questo comporta che il libro possa sembrare frammentario, incompleto ed anche confusionario per chi si aspetta una trama classica, come solitamente la intendiamo. In realtà in questo romanzo noi non facciamo altro che essere dentro la testa dello scrittore fittizio (che è comunque quasi reale) e seguiamo con lui il corso dei suoi pensieri. Questi ultimi sono come i pensieri che facciamo tutti noi; non seguono un unico filo e hanno collegamenti anche labili tra di loro. È, insomma, come se leggessimo la nascita della storia nella mente di Zuckerman, prima ancora che decida di scriverla. 

Pastorale Americana ha vinto nel 1998 il Premio Pulitzer per la Narrativa. Premio riservato in special modo ai libri che contengono al loro interno informazioni e racconti sulla vita americana. Il romanzo racconta, infatti, come diverse categorie di persone affrontino la vita in America e vivano il loro essere (o essere diventati) americani. Ci sono, come sempre, gli ebrei, argomento di cui l'autore si occupa in ogni suo romanzo, ma tratta anche culture e religioni diverse. Il libro ha, per questo, una forte connotazione sociale rendendolo interessante anche per chi conosce l'America solamente dall'esterno e vuole avere un'idea di come, in realtà, si vivesse e come siano poi cambiate le cose.

Oltre a questo troverete anche parecchi riferimenti alla politica e avvenimenti fondamentali che hanno inciso profondamente nella storia americana (prima fra tutte la guerra in Vietnam ma anche molti altri) anche in questo caso, non avendoci toccato "da vicino" possiamo capire sotto un punto di vista meno scolastico, come si viveva e si affrontavano quegli avvenimenti nel suolo statunitense.

Ci sono, inoltre, anche tante nozioni utili su moltissimi argomenti, cose che mai avremmo saputo senza aver letto questo romanzo. Anche in questo caso c'è l'altra faccia della medaglia; il fatto che ci siano pagine e pagine dedicate, ad esempio, alla lavorazione dei guanti può piacere perché ci spiega qualcosa che non conoscevamo o annoiare terribilmente perché si vuole semplicemente sapere cosa succede. Vale, perciò, sempre il discorso fatto in precedenza; bisogna capire prima di iniziare il libro cosa si cerca da quella lettura; se si tratta di svago fine a sé stesso (assolutamente non biasimevole e tipologia di romanzi che io stessa prediligo in determinate occasioni) si farà una scelta sbagliata incominciando un libro di Philip Roth, e questo in particolare perché questi aspetti sono ancora più presenti che negli altri libri dell'autore.

Da ciò che ho detto finora si desumerà certamente che il ritmo non è affatto veloce; i concetti non vengono mai espressi sinteticamente, ci sono ripetizioni (volute ed essenziali per lo stile del romanzo) ed effettivamente non succede poi moltissimo. Non posso, però, giudicarlo lento perché io personalmente non mi sono mai annoiata nemmeno un secondo. Parla di tantissime cose e l'avrei anche divorato se non avessi avuto intenzione di dilungarlo nel tempo, certamente però non è adatto a letture disimpegnate (come ad esempio in spiaggia) e non ha la suspense di un thriller. Necessita di tempo e di concentrazione, lussi che non sempre ci si può permettere ma necessari per seguire il tutto senza perdersi qualcosa.

La capacità di Roth di rendere i personaggi non ha eguali; non si tratta di stereotipi o meno, lui ci parla di persone in carne ed ossa, non c'è nemmeno un secondo in cui dubitiamo della loro esistenza. Ogni volta che recensisco un libro di questo autore e devo scegliere le tag da inserire nella recensione rischio di sbagliare ed inserire quella "tratto da una storia vera" perché per me è come se fosse tutto vero, come se nulla potesse farmene dubitare mai. Alla fine della lettura si ha come l'impressione di aver letto un romanzo su personaggi famosi o storici, perché in fondo sembra di averli conosciuti sin da prima.

L'ambientazione svolge un ruolo al contempo marginale e fondamentale: ciò che importa è ciò su cui riflette Levov (sebbene nell'immaginazione di Zuckerman). Può capitare, perciò, che ci venga raccontata tutta la storia di una camera da letto; cosa la adornava cosa è stato rimosso, cosa è cambiato in diversi anni, o anche il contrario, che di una stanza non si sappia altro da ciò che possiamo arguire grazie alle azioni descritte (i personaggi guardano la TV e quindi sappiamo che c'è una televisione). Non si può considerare né un pregio né un difetto perché si tratta di una scelta stilistica; si conforma al fatto che si tratta di pensieri e divagazioni e noi stessi potremmo ritrovarci a riflettere a lungo su un luogo come, invece, non pensarci affatto e persino per anni.

L'atmosfera, non intesa come suspense bensì come empatia con i personaggi è ben resa anche se non enfatizzata. Comprendiamo ciò che provano loro in quel determinato momento e spesso ci lasciamo trasportare noi stessi. Non veniamo , però, mai costretti a prediligere uno di loro e a scegliere chi è buono e chi è cattivo; tutti i personaggi sono messi a nudo per come realmente sono fatti e noi li capiamo, indifferentemente dalla compatibilità dei nostri caratteri con i loro. Possiamo, perciò, decidere di testa nostra, fermo restando che nessuno di voi potrà rimanere totalmente indifferente davanti ai comportamenti di alcuni di loro.

All'interno del romanzo possiamo anche trovare un messaggio che non vi anticipo ma che posso dirvi essere collegato alla domanda che ho anticipato prima: "cosa può essere successo al perfetto Seymour Levov?" Mi è piaciuto, come sempre, il modo in cui Roth ci porta a capire un concetto senza doverlo sbandierare platealmente, come se ci dicesse "Qui c'è tutto, sta a te comprenderlo". Inoltre, in ogni suo libro, è fortemente presente l'idea del "tutti hanno una motivazione per tutto". Insomma, non ci sono buoni o cattivi ma solo comportamenti che possiamo giudicare giusti o sbagliati. Trovo che i libri, in generale, aiutino molto le persone ad interessarsi degli altri, cercando di comprendere le loro ragioni prima di puntare il dito. Nei libri di Roth questo è ancora più presente perché lui stesso ce li presenta come esseri umani e non come stereotipi viventi.

Esiste anche una trasposizione cinematografica del romanzo, dal titolo "American Pastoral". Io la vedrò presto e poi ve commenterò, nel frattempo potete trovare il film su Amazon.

Mi permetto quindi di ribadirlo: Philip Roth non è per tutti i gusti e non è per ogni occasione. Va letto quando si cerca qualcosa che va al di là della trama e in un momento in cui ci si sente concentrati ed interessati. Può dare molto come annoiarvi a morte, sta a voi sapere se il momento giusto è arrivato o meno. Pastorale Americana è il romanzo più Rothiano possibile; le virtù sono ancora più evidenziate ed i difetti possono pesare maggiormente. Io amo lo scrittore e trovo questo romanzo una perla della letteratura contemporanea statunitense perciò non posso che consigliarlo a tutti nella speranza che possiate apprezzarlo anche voi quanto me. Sono sicura che prima o poi tutti i lettori accaniti avranno un periodo Rothiano e, fortunatamente, i suoi libri saranno lì ad aspettarvi!

Nonostante avessi il libro in cartaceo, ho approfittato dell'abbonamento ad Audible per ascoltarlo in una versione fantastica grazie alla bravura del doppiatore Massimo Popolizio, per chi fosse interessato eccovi il link dell'audiolibro. Certo, è importante che la vostra capacità di concentrazione sia elevata, ma davvero ne vale la pena!

CITAZIONI

Con lo Svedese che furoreggiava sul campo da gioco, l'insensata superficie della vita forniva una specie di bizzarro, illusorio sostentamento, il felice abbandono a una svedesiana innocenza, per coloro che vivevano nella paura di non rivedere mai più i figli, i fratelli, o i mariti.

Uno dei prezzi che si pagano quando si viene scambiati per un dio è l'inesausta tendenza dei tuoi accoliti a sognare.

La gente pensa che la storia abbia il respiro lungo, ma la storia, in realtà, ti si para davanti all'improvviso.

Aveva imparato la lezione peggiore che la vita possa insegnare: che non c'è un senso. E quando capita una cosa simile, la felicità non è più spontanea. È artificiale e, anche allora, comprata al prezzo di un ostinato estraniamento da se stessi e dalla propria storia.

QUARTA DI COPERTINA

Seymour Levov è un ricco americano di successo: al liceo lo chiamano "lo Svedese". Ciò che pare attenderlo negli anni Cinquanta è una vita di successi professionali e gioie familiari. Finché le contraddizioni del conflitto in Vietnam non coinvolgono anche lui e l'adorata figlia Merry, decisa a portare la guerra in casa, letteralmente. Un libro sull'amore e sull'odio per l'America, sul desiderio di appartenere a un sogno di pace, prosperità e ordine, sul rifiuto dell'ipocrisia e della falsità celate in quello stesso sogno.

PRO / INDIFFERENTE / CONTRO
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