In quegli anni nessuno dei nostri conoscenti voleva comprare un televisore, mentre la metà delle persone che incontravo sembrava suonare il flauto dolce.
I fatti – Autobiografia di un romanziere è il libro di memorie scritto da Philip Roth all'età di 55 anni.
In questo volume l'autore non ci racconta di tutta la sua vita fino a quel momento, ma sceglie alcuni argomenti per lui fondamentali per poter, finalmente, far conoscere ai propri lettori i fatti, i veri accadimenti che l'hanno poi portato a scrivere i suoi romanzi.
Se questo manoscritto di qualcosa, parla della mia stanchezza di maschere, distorsioni e bugie.
Per questo motivo sono molte le anticipazioni ad eventi importanti di alcuni suoi libri ed è sconsigliabile leggerlo se non si vogliono avere scomode anticipazioni.
Nonostante l'approfondimento, perciò, non sia estremo, sarà molto interessante per i lettori più accaniti: molto di quanto che vi verrà raccontato sarà insospettabile.
Nella struttura del libro, ancora una volta, comprendiamo la genialità dell'autore. Roth, infatti, non si limita a scrivere la propria autobiografia ma decide di domandare a Nathan Zuckerman (suo alter ego letterario) se, secondo lui, valga la pena di pubblicarla.
L'incipit, perciò, parte subito coinvolgendoci nel suo gioco e, durante tutta la lettura, seppur interessato a quanto scritto, il lettore non vedrà l'ora di arrivare alla fine e conoscerne la conclusione.
Ed è proprio a fine volume che troveremo la risposta del nostro personaggio/narratore preferito e questo finale non solo non deluderà le aspettative ma aggiungerà quel plus che, arrivati a quel punto, sentivamo non esserci ancora stato. (Nonché mio motivo personale per il raggiungimento delle cinque stelle di valutazione.)
Ecco i capitoli che potrete trovare e un breve riassunto di cosa contengono:
- Lettera di Roth a Zuckerman (dove Philip spiega a Nathan, e a noi indirettamente, il perché della nascita di questo libro)
- Prologo (dove Roth parla del padre e delle differenze tra ciò che è successo ai suoi rispetto a ciò che viene raccontato nei romanzi che vedono Zuckerman come protagonista)
- A casa al sicuro (dove l'autore racconta cosa significava, per il lui bambino, essere ebreo)
- Joe College (dove si parla dell'esperienza del college e della scelta della scuola e della successiva confraternita)
- La ragazza dei miei sogni (dove incontriamo Josie, persona che ha significato tanto, nel bene e nel male, per la carriera letteraria di Roth)
- Tutto in famiglia (dove si parla della reazione della comunità ebraica e di quella dei suoi cari, alla pubblicazione dei suoi primi scritti)
- Ora noi possiamo forse cominciare (dove l'autore racconta la parte più scomoda della sua storia)
- Lettera di Zuckerman a Roth (dove Nathan dice a Philip la sua opinione su ciò che ha scritto)
La vita di Roth, come quelle di tutti, ha avuto alti e bassi, momenti più importanti e significativi e accadimenti superficiali e poco rilevanti.
È difficile, perciò, considerare l'argomento oggettivamente interessante: se si è accaniti lettori dell'autore sarà inevitabile agognare di sapere la verità di ciò che gli è accaduto, per poter comprendere ancora di più la sua scrittura, per coloro che, invece, non lo conoscono, questo libro potrebbe addirittura essere noioso e inconcludente.
Esistere significa, per me, essere il Philip della mamma, ma, nei difficili rapporti col mondo e le sue botte, la mia storia prende il via dal fatto che all'inizio fui il Roth di papà.
Lo stile di scrittura non è arzigogolato come nei romanzi, ma mantiene l'anima dell'autore che, pur cercando di mantenersi il più possibile sui fatti, rimane comunque un grande narratore.
Vuoi dire che I fatti è un romanzo «inconsapevole»? Che tu stesso non sei consapevole dei tuoi artifici narrativi?
In conclusione, questa autobiografia è parziale (essendo stata scritta a 55 anni era inevitabile), selettiva (non parla di tutto ma di ciò che viene scelto dall'autore) e anche poco oggettiva (Roth si autoassegna facoltà intellettive e riflessive che, probabilmente, ha desunto più con il senno di poi) ma è comprensibile per tutti ed imperdibile per chi ama questo grande autore. La lettera finale di Zuckerman, da sola, basterebbe come recensione del libro.
Non penso che possa interessare a chiunque e penso che possa essere veramente apprezzato da chi conosce già Roth come autore. Per questo motivo consiglio questa autobiografia solo a coloro che hanno letto molte opere di Roth, meglio se tutte (almeno fino al 1988) perché, altrimenti, lo spoiler è garantito!
Per me, se non per il mio lettore, quel capitolo – anzi, lo stesso romanzo – doveva dimostrare che le mie facoltà immaginative erano riuscite a sopravvivere allo sciupio di tutta quella giovanile energia, e che non ero soltanto scampato alle conseguenze del mio caso sciagurato di grullaggine morale, ma che alla fine avevo avuto la meglio sulla mia grottesca deferenza verso ciò che quella paranoica gentile di provincia definiva «il mio dovere» di essere umano, di uomo e, sì, anche di ebreo.
Se volete iniziare a leggere qualcosa di Philip Roth o avete già iniziato ma volete orientarvi meglio nella sua bbliografia, vi consiglio il mio articolo: Goodbye, Philip Roth.