TRAMA IN BREVE
E se l'avventore fisso del ristorante sotto casa... fosse un assassino?

INCIPIT

Alcuni anni fa abitavo nella rue des Quatre-Vents. Di fronte alla mie finestre c'era il ristorante russo Tari-Bari. Spesso andavo lì a mangiare. A ogni ora del giorno si poteva avere una minestra di rapa rossa, pesce fritto e carne di manzo lesso. Qualche volta mi alzavo a giorno inoltrato.

E fra quelle che colpivano abbastanza da rimanermi impresse nella mente c'era un uomo che dovevo per forza supporre si potesse incontrare a ogni ora del giorno al Tari-Bari.

RECENSIONE

Una belva, per dirla schietta, una donna, cari signori, mi ha spinto all'assassinio.

Confessione di un assassino è stato scritto nel 1936 da un Joseph Roth in esilio ed è pubblicato in Italia da Adelphi.

Definito il romanzo russo dello scrittore austriaco, questo testo brevissimo (solo 149 pagine) parla con ironia della Russia e del suo rapporto con l'Europa.

Il suo protagonista, che non è il narratore iniziale, infatti, è stato una spia russa che, nella sua nuova vita parigina, ricorda il passato e tutte le vite che sente di avere direttamente o indirettamente contribuito a distruggere.

Sapete tutti, cari fratelli, cosa è stata la Ochrana. Forse qualcuno di voi ne ha persino sentito il segno sulla propria pelle. Non ho certamente bisogno di descriverla nei particolari. Adesso voi sapete che cosa sono stato.

L'incipit che leggerete fa parte di una premessa iniziale in cui il narratore primario introduce l'ambientazione e il personaggio che nel resto del testo, esclusa la conclusione, sarà non solo protagonista ma anche narratore della propria storia. Solamente alla fine l'attenzione tornerà  definitivamente sul punto di vista del primo narratore, che chiuderà il cerchio in modo inaspettato.

L'ambientazione dunque è duplice: quella di partenza dalla quale nasce la storia vera e propria è un ristorante che ospita una clientela prevalentemente russa o straniera e dall'aspetto particolare: su tutte spicca la mancanza di un orologio funzionante, fatto che porta il locale fuori dalla cognizione del tempo e simboleggia un distacco dal "vivere europeo".

Sì, era come se gli emigrati volessero deliberatamente ostentare la loro avversione contro la calcolatrice e calcolatissima mentalità dell'Occidente europeo, e si sforzassero non solo di rimanere veri russi, ma anche di recitare la parte di 'veri russi' per corrispondere alle idee che l'Occidente si è fatto di loro. Perciò l'orologio che al ristorante Tari-Bari andava male o rimaneva fermo era ben più di una fortuita suppellettile: era un simbolo. Le leggi del tempo sembravano abolite.

Le altre ambientazioni spaziano molto all'interno del racconto nel racconto: si parte da una piccola cittadina russa, si passa dalla grande città di Odessa per poi spostarsi in diversi altri luoghi, toccati ma non approfonditi, nella storia di Golubcik, il nostro assassino.

I personaggi stupiscono non solo nella personalità ma anche nelle descrizioni: il loro aspetto estetico o alcune particolarità del loro modo di camminare, parlare o sorridere portano il lettore a comprendere tratti caratteriali o intenzioni che si rispecchiano nella loro estetica quasi per caso, come se quei tratti li avessero scavati talmente tanto nel profondo da non poter evitare di mostrarne le conseguenze anche all'esterno.

Il suo sorriso non era qualcosa di chiaro, non illuminava la faccia, ma aveva, nonostante tutta la cordialità, un che di cupo: c'era come un'ombra che scivolava rapida sul suo viso, un'ombra nella cordialità. E così avrei preferito che l'uomo non avesse sorriso.

Il personaggio che il lettore associa immediatamente all'autore non è qui il protagonista ma il primo narratore: nonostante il romanzo sia quasi totalmente basato su un altro personaggio anche in questo testo Roth non fa mancare riflessioni personali che lo toccano da vicino (per esempio sul "bere") e anche generali (da questo testo si estrapola ad esempio, come in La marcia di Radetzky, la sua idea sull'origine degli eventi storici).

Prima vi dicevo che m'interessa solo la vita privata. Devo tornarci sopra. Volevo dire con questo che, a ben guardare, si arriva sempre alla conclusione che tutti gli avvenimenti cosiddetti importanti, storici, sono in realtà riconducibili a un certo momento, o a più momenti, nella vita privata dei loro autori.

La componente russa non è rappresentata soltanto da ambientazione e da protagonista; facendo parlare proprio un russo all'interno del suo testo Roth gioca con le sue parole in modo sottile ed ironico, lasciando al lettore l'arduo (ma non poi così tanto) compito di decidere se certe affermazioni siano da considerarsi in modo "ridicolo" o "serio".

Mi sembra però che noi russi ci sentiamo spesso lusingati quando abbiamo l'occasione di intrattenerci con uno straniero. E per 'stranieri' intendiamo gli europei, cioè quelle persone che dovrebbero avere molto più raziocinio di noi, per quanto valgano molto meno. A volte ci sembra che Dio abbia favorito gli europei benché essi non abbiano fede in Lui. Forse non credono in Lui semplicemente perché è stato così prodigo verso di loro.

Il linguaggio utilizzato è colloquiale: si tratta di un discorso fatto in un ristorante tra avventori (anche un po' ubriachi) ed la scelta linguistica corrisponde a questa situazione. Su tutte, noterete la ripetizione "cari amici" che mira a riportare il lettore nella consapevolezza del meta racconto: Roth non ci vuole far dimenticare che è "l'assassino" a raccontare questa storia.

Conoscete il mio nome, cari signori, preferirei dire: cari amici. È meglio dire "cari amici" quando si racconta secondo la vecchia, buona tradizione di casa nostra.

Lo stile, però, non è privo di frasi e scelte tipicamente letterarie quali cliffhanger volti ad attirare l'attenzione del lettore e a prepararlo ad ogni svolta particolare del testo, senza fargli posare mai il libro.

Io ho letto questo testo grazie al mio abbonamento a Kindle Unlimited: la struttura dell'eBook non è particolarmente piacevole, la mancanza di capitoli in un testo in digitale pesa maggiormente (a me, perlomeno), non è però totalmente scomoda perché è presente il numero delle pagine e si può vedere, andando avanti nella lettura, a quale si è arrivati.

In conclusione, Confessione di un assassino è un testo breve ed apparentemente semplice che, però, al suo interno nasconde moltissimo: i personaggi ricoprono ruoli allegorici (all'interno del testo troverete anche il corrispondente umano del "Diavolo tentatore"),  ci sono sottintesi politici, nonché una fotografia della società europea all'arrivo dei primi rifugiati russi.

È piacevole e significativo ma, per me, troppo breve per essere considerato tra le opere più importanti di Joseph Roth. Autore di cui ho ancora letto poco ma che mi sento di consigliarvi con veemenza.

Lo consiglio in particolar modo a chi ha l'abbonamento a Kindle Unlimited o a chi ha già letto molto e ama l'autore e vuole approfondire la sua opera completa.

CITAZIONI

Così veloce passa a volte il tempo quando in un locale si rimane in piedi al banco invece che sedersi! Se si è seduti a un tavolo ci si rende conto ogni minuto di quanto si è consumato, e il cammino delle lancette è contrassegnato dal numero dei bicchieri vuoti. Se però si entra in un locale solo per una 'capatina' e si rimane per giunta in piedi al banco, allora si beve e beve, convinti che tutto appartenga sempre a quell'unica 'capatina' che si era pensato di fare.

I russi, non a torto, hanno paura delle spie, e io volevo in ogni caso evitare che mi considerassero tale.

Il contadino disse questo sorridendo, un sorriso furtivo che faceva capolino dietro le sue parole come a volte fa la luna dietro nuvole buie.

Per la prima volta vedevo una grande città. Non era una metropoli russa qualsiasi: in primo luogo aveva un porto, e inoltre la maggior parte delle strade e dei giardini, come già avevo udito, era stata progettata, in tutto e per tutto, su modelli europei. Forse Odessa non poteva essere paragonata a Pietroburgo, quella Pietroburgo che viveva nella mia immaginazione. Ma anche Odessa era una grande, gigantesca città. Era sul mare. Aveva un porto. Ed era appunto la prima città nella quale andavo da solo, per mia volontà, la prima meravigliosa tappa della mia meravigliosa 'ascesa'.

Il mare era di un blu intenso, cento volte più blu del cielo e, in realtà, anche più bello perché ci si potevano immergere le mani. E simili a nuvole irraggiungibili che scivolavano nel cielo, candide navi grandi e piccole, che si potevano anche toccare, si movevano sul mare lì vicino.

Dopo un po' sentii fame ed entrai in una pasticceria. Ero nell'età in cui, quando si ha fame, non si va in un ristorante ma in una pasticceria.

Ma Lakatos mi portò dritto all'inferno. Me lo profumò persino.

Zoppicava leggermente, quasi non si vedeva, insomma non era un vero zoppicare ma piuttosto come se il piede sinistro disegnasse sul selciato un fiocchetto, un fregio. Non ho mai più visto, da allora, uno zoppicare così aggraziato: non era un difetto, bensì un affinamento, un'opera d'arte – e proprio questo fatto mi spaventò molto.

Sulla mia testa, attraverso la calotta del berretto, il sole scottava terribilmente e uccideva gli ultimi pochi pensieri che ancora rintronavano nel mio cervello.

Ma, come sapete, nella vecchia Russa c'erano tre mezzi infallibili – e la generalessa glieli rivelò: denaro, denaro, denaro.

Ah, miei amici, è meglio consegnarsi a un nemico dichiarato che far sapere a una donna che la si ama. Il nemico vi annienta subito! La donna invece...

La citazione più sottolineata in questo eBook (9 lettori):
Non dipendevamo dalle leggi, ma dagli umori. Tuttavia questi umori erano forse più prevedibili delle leggi. E poi anche le leggi dipendono dagli umori. Infatti si possono interpretare. Eh sì, cari amici, le leggi non proteggono dall'arbitrio, perché è appunto co arbitrio che vengono interpretate.

QUARTA DI COPERTINA

Questo libro è il «romanzo russo» di Joseph Roth. Vegliati da un orologio di latta, le cui lancette sono ferme o segnano l’ora sbagliata, in un locale di Parigi che è un porto di naufraghi della prima emigrazione russa, alcuni avventori ascoltano una confessione, durante una notte interminabile. E subito siamo irretiti nell’intreccio di un esasperato feuilleton, che è una favola sul Male, sul suo potere ipnotico di spingere le proprie vittime in storie circolari e ossessive, che si stringono lentamente come un cappio. Questo Male metafisico, irriducibile, assume qui una forma peculiarmente russa: come oscura connivenza fra la delazione, il rancore, l’abiezione erotica e l’ansia di espiare, punirsi, confessare. Forse nessun libro ha saputo dare voce, al pari di questo, a un fantasma subdolo e imperioso: quello dell’«erotismo poliziesco». E, con la sua infallibile percezione dei «segni dei tempi», Roth ci ha offerto in queste pagine una delle più convincenti figure del Diavolo moderno: un essere mellifluo e imbrillantinato, che fa l’agente della polizia segreta zarista per passare poi, senza mutare in nulla le sue maniere, a quella di Lenin; un «sussurratore» che guida con dolcezza i suoi eletti in un «inferno profumato». È un inferno dove il protagonista entra di slancio, senza accorgersene, perché la sua soglia è segnata da un nobile sentimento: l’esigenza di una «giustizia assoluta». Ma, in un mondo dove ciascuno non è ciò che è supposto essere, dove «una falsa esistenza, costruita su un nome preso in prestito e rubato» riesce a «distruggere l’esistenza vera, quella reale», dove tutti i pesi sono falsi, dove i documenti falsi garantiscono l’immunità e i documenti veri celano in sé una condanna a morte, dove il legittimo è spurio e l’illegittimo si sente vittima di un complotto e perciò congiura contro i suoi presunti persecutori, in un mondo che sembra essere già di per sé una immane provocazione organizzata da una accorta polizia, la «giustizia assoluta» diventa facilmente la legge dell’inferno. Ma l’inferno non è, come vorrebbero i bigotti, solo un luogo di punizioni: piuttosto è un luogo di voluttà torturanti e di torture voluttuose, che svela con lentezza, con agio, la propria ultima atrocità. Grazie al genio romanzesco di Roth, noi traversiamo in queste pagine quell’inferno come fosse una serie di stanze in un appartamento, sentiamo il suo odore dolciastro, ci soffermiamo sulla carta da parati, avvertiamo l’attrazione del luogo come «qualcosa di caldo, di confuso, di assurdo», che però si offre con piena naturalezza, come se l’impulso più spontaneo fosse quello di abbracciare l’atroce.
La "Confessione di un assassino" è il terzo romanzo scritto da Roth in esilio e fu pubblicato per la prima volta nel 1936.

SCHEDA PERSONAGGI

Semjon Semjonovic Golubcik: 
Protagonista della storia e narratore della parte intermedia del testo.
Suo padre "adottivo" è un guardaboschi, il nonno era un servo della gleba.

Principe Kraptokin:
Padre naturale di Golubcik.

Jenö Lakatos: 
Uomo ungherese e misterioso, che sembra avere doti extra sensoriali e zoppica come il Diavolo.

Lutetia:
Primo amore del nostro protagonista

PRO / INDIFFERENTE / CONTRO
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