Il 22 Maggio 2018 è morto Philip Roth, autore che come saprà chi frequenta il blog da tempo, io amo particolarmente.
Quando il 23 mattina ho scoperto della sua morte ho deciso di rimandare le letture e gli impegni derogabili programmati per quel giorno per potermi dedicare a lui: è così che ho deciso di iniziare la lettura di Goodbye, Columbus.
Questa raccolta di racconti, la prima e l'ultima della sua carriera, mi attendeva nella mia libreria per essere letta: si tratta, in assoluto, della prima opera scritta e pubblicata da Philip Roth ed ero molto curiosa di vedere cosa sarebbe cambiato rispetto a quelle che ho letto fino ad ora.
Iniziamo con il dire che Goodbye, Columbus non è una semplice raccolta di racconti bensì un romanzo a cui sono stati aggiunti 5 racconti. Goodbye, Columbus (la storia, non la raccolta intera) è infatti lungo quanto altri romanzi di questo autore (125 pagine) e presenta al suo interno tutto ciò che io considero appartenente ad un romanzo. Non è, infatti, solo la lunghezza che distingue un racconto da un romanzo, ma anche il suo contenuto. Gli altri cinque racconti, invece, possono essere considerati tali e, proprio per questo mi hanno stupita particolarmente (di Roth, finora, avevo letto solamente romanzi!). Questa struttura particolare mi ha permesso di scoprire Roth in un suo nuovo lato, inaspettato ma molto gradito!
Partiamo con il presupposto che, se già è difficile recensire genericamente una raccolta di racconti, lo è ancora di più quando all'interno di un volume si possono trovare sia un romanzo che dei racconti. Io cercherò di non dilungarmi ma, in alcune occasioni, mi sarà necessario esplicitare le differenze che ho notato.
Partiamo dallo stile. Trattandosi di una prima opera avevo paura che lo stile di Roth fosse ancora acerbo; fino ad ora io ho letto solamente libri scritti e pubblicati più recentemente, ma ho compreso sin dalle prime righe che la sua scrittura è stata unica sin dall'inizio. In questo volume troviamo esercizi di stile meno coraggiosi di quelli che potremo incontrare in altre opere, ma l'impronta Rothiana nelle frasi è evidente, tutto ha importanza; non solo le parole usate ma anche la loro collocazione all'interno di una frase.
La conversazione non fu molto brillante; si mangiava forte, metodicamente e con impegno, e tanto sarebbe valso annotare quello che fu detto in un sol colpo, piuttosto che indicare le frasi, perdute nel passaggio del cibo tra i commensali, le parole gorgogliate a bocca piena, la sintassi smozzicata e dimenticata mentre la roba si ammucchiava nei piatti, si spargeva sulla tovaglia e veniva ingozzata.
La stessa rilevanza hanno le parole scelte nei dialoghi: riescono ad esprimere, senza troppe spiegazioni, gli argomenti sottesi e mai esplicitati totalmente. Questo accade specialmente in Goodbye, Columbus dove le paure del protagonista vengono spiegate ma, vengono comprese chiaramente solo grazie al modo in cui lui e Brenda interagiscono tra loro.
Un altro aspetto che non è cambiato affatto nelle opere di Roth è l'ironia. I suoi scritti sono sempre sagaci e divertenti, aspetto irrinunciabile per un'opera valida, perché in questo modo si esprimono concetti profondi ed importanti senza che ad essi vengono collegati noia, monotonia o pesantezza.
L'ambientazione è, invece, ciò che ho ritrovato meno. La maggior parte delle storie si aggira dalle parti di Newark, ma sebbene questa cittadina abbia un'importanza metaforica in Goodbye, Columbus, non percepiamo ancora la forte dicotomia tra amore del luogo in cui si è nati e cresciuti e odio per la prigione che ci ha, involontariamente, impedito di essere altro. In Roth questo aspetto si troverà maggiormente nelle opere che vedono Zuckerman come protagonista.
Tutti gli incipit che potete trovare nell'apposita sezione, riescono ad introdurre gli argomenti cardine della storia che andremo a leggere.
In Goodbye, Columbus è l'incontro con Brenda a cambiare totalmente la vita del protagonista.
In La conversione degli ebrei capiamo immediatamente che l'argomento religioso è ciò che incide davvero sull'andamento della trama.
In Difensore della fede l'ambientazione viene da subito chiarita, permettendo al lettore di entrare nella mentalità necessaria per capire il messaggio di quanto scritto nel racconti.
In Epstein si parla di quella che noi potremmo definire crisi di mezz'età, la consapevolezza di non essere più lui il giovane della casa, sconvolge il protagonista.
In Non si può giudicare un uomo tutto è incentrato su Pelagutti, ex carcerato su cui il narratore ancora, dopo molti anni, si ritrova a riflettere.
In Eli, il fanatico vengono immediatamente presentati due dei tre personaggi principali della vicenda, mostrando subito alcune delle loro peculiarità.
A parte la trama di Goodbye, Columbus, che ho trovata meno Rothiana e più standard (e forse proprio per questo più apprezzabile da più lettori), quelle dei cinque racconti sono tutte incentrate sull'ebraismo. I racconti mi hanno stupita per la loro completezza, non mi hanno fatto l'effetto (come spesso mi succede) di essere romanzi mancati: riescono a inviare il loro messaggio proprio grazie al loro essere concisi e diretti. Sinceramente non pensavo che Roth, autore solitamente poco conciso, potesse essere altrettanto efficace in un racconto, invece dimostra ancora una volta la sua dimestichezza con le parole, riuscendo ad utilizzarle nel modo migliore per poter giungere al proprio scopo.
I finali sono conclusivi, anche se non completamente. Già in quest'opera mostra la sua propensione a lasciare immaginare al lettore eventuali conseguenze non specificate totalmente nel testo. Rispetto alle opere più recenti, in realtà, questo aspetto è meno estremizzato e, per me, ancora più apprezzabile.
Per quanto alcuni racconti siano veramente molto brevi, l'autore è riuscito ad inserire al loro interno personaggi talmente carismatici e bene introdotti da permettere al lettore di immedesimarsi in loro in brevissimo tempo. Per quanto io ancora fatichi a non immaginare un Nathan Zuckerman (l'alter ego letterario di Roth in moltissime sue opere) come protagonista di ogni vicenda, mi è stato inevitabile, dopo pochissime frasi, immaginare l'aspetto e soprattutto il carattere di ognuno di loro.
La vita, per la povera zia Gladys, era tutta un buttar via, la sua gioia più grande consisteva nel portar fuori la spazzatura, vuotare la dispensa e confezionare miseri cartocci per quelli che ancora chiamava i «poveri ebrei» della Palestina.
Questa semplicità nel visualizzare i protagonisti della vicenda permette al lettore di sentire chiaramente l'atmosfera: entriamo nelle loro menti e ci sentiamo arrabbiati, indignati, disperatamente innamorati e nostalgici quanto loro.
La cura, come sempre per questo editore, è ottima. Non ho letto il testo originale ma penso che il traduttore sia riuscito a rendere pienamente alcuni concetti non così semplici da spiegare in una lingua diversa dall'originale.
In conclusione, questo primo libro di Roth mi ha mostrato diverse parti di lui che ancora non conoscevo: la sua parte più romantica (sebbene non sdolcinata e sempre credibile) e la sua enorme capacità di discernere tra ciò che serve in un racconto, rispetto a ciò che bisogna inserire in un buon romanzo.
Lo consiglio a tutti e penso che, proprio perché si tratta di una prima opera, sia perfetto per iniziare la conoscenza di questo grandissimo autore, per poi approcciarsi ai suoi più grandi romanzi solamente dopo averlo capito e avere nella mente un quadro generale su di lui, utile a comprendere ogni diverso risvolto preso durante la sua lunga carriera letteraria.
Se desiderate iniziare a leggere Roth ma volete scegliere il libro a seconda delle sue caratteristiche vi segnalo il mio articolo Goodbye, Philip Roth dove potrete trovare tante indicazioni e consigli che potrebbero fare al caso vostro!