Quanto fa 365 per 20? Qualcosa più di settemila, giusto? Be', ecco quanto è durato. Ecco quanti giorni è durato.
Vincoli è il romanzo d'esordio di Kent Haruf, autore divenuto ormai celebre anche in Italia grazie alla Trilogia della Pianura (QUI la recensione del secondo volume, Crepuscolo) e alla pubblicazione dell'ultimo romanzo dell'autore, Le nostre anime di notte (QUI la recensione dell'audiolibro letto da Sergio Rubini).
Edito in lingua originale nel 1984, è finalmente uscito anche in Italia (il 5 Novembre), grazie a NN Editore.
Come dedurrete dal sottotitolo anche questo libro è ambientato ad Holt, cittadina del Colorado ideata dall'autore, e qui introdotta magistralmente per i nuovi lettori, che la ritroveranno (e ameranno) anche nelle successive opere.
Le descrizioni sono tutte brevi ma significative, in poche parole lo scrittore riesce a farci visualizzare un'immagine, sentire un odore preciso e avvertire il giusto suono. Per questo aspetto potremmo considerare i libri di Haruf pastorali, addirittura bucolici, sebbene ciò che vi sia raccontato narri costantemente della vita reale e non di luoghi idilliaci.
Il cielo era terso, luminoso, alto; le spighe di grano si erano gonfiate e imbiondite ed erano pronte per la mietitura.
Lo stile di Haruf, sempre ottimo e ben tradotto dal capace Fabio Cremonesi, in questo primo libro mantiene la sua impronta ma pare più pieno e ricco. Come sostiene anche il traduttore alla fine del volume, è come se lo scrittore con il passare del tempo abbia acquisito maggiore intimità con i propri lettori, decidendo di mostrare loro solamente l'essenziale, fidandosi della loro capacità di colmare i silenzi.
Si tratta, dunque, di una maggiore presenza di particolari (specialmente legati a Holt e ai suoi cittadini) che, personalmente, mi ha fatto amare ancora di più questo volume.
Credo che la maggior parte dei presenti l'avesse già sentita almeno un paio di volte, anche se dubito che qualcuno si sarebbe sognato si interromperlo – se c'era una cosa che non mancava a nessuno era proprio il tempo. In effetti, alcuni di loro erano già andati in pensione da un lavoro che non avevano mai avuto il tempo di iniziare.
Il libro potrebbe essere considerato un monologo; è, infatti, un'unica persona a parlare, Sanders Roscoe, e a rivolgersi ad un tu indefinito (che ci sentiamo proprio essere noi). L'uomo ci racconta in prima persona, come se fossimo vis-à-vis con lui, l'intera vita della sua famiglia e di quella dei vicini, partendo dall'epoca più lontana e arrivando a quella presente che, in questo libro, coincide con la primavera del 1977.
Una trama molto vicina a quella della saga familiare, sebbene si torni indietro solamente di due generazioni e non si parli di famiglie numerose.
Dato che si tratta di un racconto parlato, troverete all'interno del testo termini tipicamente colloquiali (ad esempio il "be'" a inizio frase), ripetizioni di frasi (Qualsiasi cosa pur di non pensare. Non voleva pensare.) e un ritmo fluido e scorrevole che tiene conto dei punti focali considerati dal narratore.
Questo non significa che il romanzo sia scritto male o sia eccessivamente discorsivo, anzi, la resa del racconto è ottimale e rende la lettura estremamente piacevole, trovando un perfetto equilibrio tra credibilità della forma narrativa e ciò che si ricerca in uno scritto.
Io non lo dimenticherò mai. Non dimenticherò mai la sua immagine di spalle.
La struttura del libro non è completamente lineare. All'inizio del romanzo, infatti, vi è una specie di prologo dove Roscoe racconta da quale situazione si sta partendo e spiega il perché del racconto che seguirà. Questo espediente, davvero ben reso, invoglia il lettore a scoprire cosa sia successo per far sì che si verificassero le scene descritte a inizio volume.
Adesso stammi a sentire: se quel tizio non avesse voluto pubblicare questa storia su un maledetto giornale, per giunta in prima pagina, insieme alle foto delle persone coinvolte, cosa di cui vergognarsi – insomma, se quel tizio si fosse solo seduto tranquillo al tavolo di fronte a me a bersi un caffè una domenica pomeriggio, senza mettermi troppa fretta – be', magari gliel'avrei raccontato. Gliel'avrei detto dal principio alla fine, e gliel'avrei detto così com'era.
Perché, stammi a sentire:
Nell'incipit ci viene immediatamente svelata la vera protagonista della vicenda; Edith Goodnough, una quasi ottantenne che giace riversa in un letto di ospedale e viene controllata da una guardia. Situazione decisamente inusuale che porta il lettore a formulare moltissime domande che, nel corso della narrazione, troveranno tutte le loro risposte.
Questo mistero da svelare (chiamato noir dal traduttore e motivo del tag mistery della mia recensione) aggiunge un tocco inedito all'opera di Haruf.
Quindi, secondo me, è più o meno in quel momento, poco dopo le due e mezzo di un venerdì pomeriggio di aprile, che Bud Sealy ha cominciato seriamente a diventare un figlio di puttana.
Si arriva al finale, dunque, avendo saputo tutto ciò che necessitavamo sapere. La conclusione è ottima e ben tagliata, anche se sarà difficile per il lettore abbandonare questi personaggi, senza sapere null'altro di loro. La soluzione vera e propria è comprensibile poco prima che venga esposta, saperla prima non inficia minimamente il pathos di quanto si leggerà.
I personaggi di Kent Haruf sono persone concrete, che soffrono, amano e sbagliano. È faticoso ricordare che non siano persone reali e questo è dovuto, più che alla prima persona singolare (che aiuta sempre), alla capacità dell'autore di descrivere i piccoli gesti che compiono, rendendoli unici e speciali, facendoceli capire, oltre che vedere.
Il concetto che dà nome al libro, quello dei vincoli, è quello relativo ai legami interpersonali, specie quelli famigliari.
Tutti noi sentiamo delle responsabilità verso altre persone, parenti o amici, e i personaggi di questa storia non sono da meno.
Il grande tema su cui veniamo indirettamente invitati a riflettere è questo: fino a che punto ha senso rinunciare ai nostri sogni e bisogni, per rispettare i vincoli che, spesso, noi stessi ci autoimponiamo? Quanto è il tempo giusto che ha senso perdere per aspettare qualcun altro?
Sono molti i libri che ho letto al riguardo, eppure questo è l'unico ad aver apportato l'esempio contrario a ciò che penso sia giusto, senza farmi avvertire una sensazione di avversità e rifiuto. Sono entrata pienamente nell'atmosfera e questo capita veramente di rado, specie quando si legge qualcosa di amaro e difficile da sopportare.
Ma verso la fine, mi ricordo di aver detto una cosa ingenua e sciocca come: Ma non è giusto.
E lui mi rispose; Certo che non è giusto. La vita non lo è. E tutti i nostri pensieri su come dovrebbe essere non servono a un cavolo, a quanto pare. Tanto vale che tu lo sappia subito.
Ho trovato il ritmo di lettura pericolosamente veloce, non sono riuscita a fermarmi e ho terminato il volume la sera stessa in cui l'ho ricevuto.
L'obiettivo non era questo: non avevo alcun tipo di fretta di leggerlo e avrei voluto accompagnare i personaggi per più tempo, ma la necessità di andare avanti me l'ha impedito.
Per questo motivo lo considero veloce, sebbene sia un romanzo che dà al lettore grande spazio, potrete decidere di leggerlo anche quando avrete poco tempo a disposizione perché sarà facile non perdere il filo del discorso.
Ovviamente, trattandosi del compendio di vite molto lunghe, sarà inevitabile per il lettore trovare parti più lente o meno interessanti rispetto ad altre, non credo però, che sia possibile annoiarsi o distrarsi.
In conclusione, Vincoli è un romanzo che ho approcciato con alte aspettative e che, nonostante questo (che di solito porta a delusioni cocenti), è riuscito a sorprendermi e piacermi ancora di più. È stata una delle letture migliori dell'anno e sono già certa che lo rileggerò.
Lo consiglio a tutti, sia a chi non ha mai letto nulla dell'autore e che qui potrà conoscere Holt in maniera egregia, sia a chi ha letto tutto ciò che ha scritto e vuole leggere Haruf anche in questa veste. Se l'ermetismo delle opere più celebri non ve l'ha fatto apprezzare del tutto, con Vincoli l'autore si riscatterà, ve l'assicuro.
Ora non ci resta che aspettare che NN porti in Italia anche l'ultimo libro rimasto da tradurre di questo grande scrittore: Where You Once Belonged.