La nausea di Jean-Paul Sartre è un romanzo scritto nel 1932 e pubblicato per la prima volta nel 1938 dopo moltissime revisioni.
Nella mia versione del libro (ET scrittori) il volume si apre proprio con alcuni frammenti di corrispondenza tra Sartre e l'Editore che ci mostrano come il testo sia stato cambiato in più punti prima della pubblicazione, titolo compreso.
Più che un romanzo, è universalmente definito un diario filosofico (seppur fittizio). Queste due caratteristiche hanno rappresentato per me, rispettivamente il polo positivo e il polo negativo della lettura.
Se da una parte la struttura del testo, a diario appunto, rientra nelle mie preferenze e permette al lettore di considerare realistico quanto scritto dall'autore, dall'altra la necessità filosofica sottostante ha rappresentato una vera e propria difficoltà per me.
Credo che il messaggio principale, asciugato da riferimenti che io ho avvertito più come politici che filosofici (e anche a scuola ricordo che la filosofia la amavo più quando parlava dell'uomo in generale piuttosto che dello Stato), avrebbe reso questo libro, anche per me che ho questo limite, un'opera immortale.
Il passato è un lusso da proprietari.
Si tratta del mio primo romanzo dell'autore e ne ho apprezzato molto lo stile, sebbene non sia riuscita a capire se alcune scelte linguistiche siano dovute al traduttore o al testo originale e, quindi, non possa giudicarlo come se l'avessi letto in francese, cosa che mi sono ripromessa di fare perché credo che questa scelta potrebbe fare la differenza, nella mia valutazione e anche nella comprensione.
La trama non è particolarmente corposa, la storia è maggiormente collegata agli stati d'animo del protagonista al riguardo di ciò che fa, vede e sente, piuttosto che a particolari dinamiche. Il protagonista Antoine Roquetin è un uomo solo che cerca di ricostruirsi una nuova vita dopo esserci lasciato con Anny, donna di cui parlerà solo a racconto inoltrato.
Il tema principale è, ovviamente, quello della Nausea, sensazione che coglie dapprima di sorpresa il nostro protagonista, convinto di poterne guarire, e che pian piano ne viene avvolto, fino al momento in cui l'uomo riesce a coglierne il significato. Lo svolgimento, dunque, sarà colmo di scene di vita quotidiana dove i sensi di Roquetin, acuiti dalla Nausea, capteranno per noi aspetti della vita del luogo.
È dunque questa, la Nausea: quest'accecante evidenza? Quanto mi ci son lambiccato il cervello! Quanto ne ho scritto! Ed ora lo so: io esisto – il mondo esiste – ed io so che il mondo esiste. Ecco tutto. Ma mi è indifferente.
Il finale è conclusivo e aperto allo stesso tempo; starà al lettore decidere cosa effettivamente accadrà dopo il termine della lettura, sebbene l'autore ci indichi chiaramente una via da preferire.
Il volume è ambientato a Bouville, cittadina francese inventata dall'autore ma che viene assimilata a Le Havre, luogo in cui Sartre ha soggiornato durante la stesura di questo romanzo. Il luogo è descritto sia per l'atmosfera che se ne respira sia per alcuni luoghi caratteristici frequentati dal protagonista. Molto bello il capitolo ambientato di domenica in cui ci viene raccontata l'abitudine delle persone di camminare lungo la via più importante, intenta a scambiarsi convenevoli. Un'immagine comune che mi ha colpita proprio per la capacità con cui l'autore riesce a raccontare una cosa data per scontata all'epoca (e presente anche nella nostra, tra l'altro) che viene analizzata come fenomeno sociale e dove ho avvertito maggiormente la componente filosofica dello scritto.
L'ambientazione è chiara anche dal punto di vista temporale; trattandosi di un diario, lo scandire del tempo è ben evidente all'inizio di ogni nuovo paragrafo.
Oggi è martedì grasso, ma a Bouville questo non significa gran che; è già molto se in tutta la città ci sono un centinaio di persona che si mascherano.
Il libro non ha capitoli, ma grazie alle date che segnalano l'inizio e la fine di ogni giorno è semplice riuscire a stabilire delle pause nella lettura.
Il ritmo è molto variabile. L'incipit è molto incisivo ed allettante e le prime pagine si leggono molto velocemente, successivamente però seguiranno svariate scene molto differenti tra loro che potranno attirare o deconcentrare il lettore. Personalmente sono riuscita ad apprezzare poco le digressioni relative ai comportamenti dei diversi ceti sociali, mentre ho trovato particolarmente affascinanti quelle relative all'Autodidatta, altro personaggio rilevante nella narrazione. È un libro non troppo lungo e scritto in modo piacevole e persino scorrevole ma gli argomenti trattati non sempre sono facili e veloci da comprendere e assimilare.
Signore, – dice l'autodidatta abbassando le palpebre sulle sue pupille accese, – io non credo in Dio; la sua esistenza è smentita dalla Scienza. Ma, in campo di concentramento, appresi a credere negli uomini.
In conclusione, credo che avrei apprezzato maggiormente questo libro se l'avessi studiato, piuttosto che come semplice lettura, anche se Sartre stesso ha dichiarato di essere stato "anarchico senza saperlo" mentre scriveva questo romanzo. Non mi sento, dunque, di giudicarlo per il suo valore, che non metto in dubbio, e probabilmente non posso valutare adeguatamente con il mio livello di conoscenze al riguardo, derivate dal poco che sono riuscita a trovare sul web.
Giudicandola dal punto di vista del lettore "semplice", che credo sempre in diritto di poter leggere qualsiasi cosa senza studiarla approfonditamente, consiglio comunque la lettura, perché si tratta di un romanzo valido e ricco di spunti di riflessione, oltre che ben scritto.
Non è da leggere per puro intrattenimento, perciò riservatelo a momenti in cui non necessitate di letture dinamiche e semplici.
Voglio chiudere la mia recensione con le parole di Sartre che, secondo me, possono raccontare il suo libro e, soprattutto le sue intenzioni, meglio di quanto possa aver fatto io.
Un'altra specie di libro. Non so bene quale – ma bisognerebbe che s'immaginasse, dietro le parole stampate, dietro le pagine, qualche cosa che non esistesse, che fosse al di sopra dell'esistenza. Una storia, per esempio, come non possono capitarne, un'avventura. Dovrebbe essere bella e dura come l'acciaio, e che facesse vergognare le persone della propria esistenza.