L'invitato di Massimiliano Alberti è il romanzo d'esordio dell'autore e, di certo, non si è trattata di un'apertura in sordina.
Si tratta, infatti, di un libro molto coraggioso e questo si esplicita in diversi elementi.
Prima di tutto parliamo di ciò che ho apprezzato di più: lo stile.
È risaputo che essere autori emergenti possa implicare una immaturità della scrittura o, ancora più probabilmente, una autolimitazione che lo stesso scrittore si impone: per paura di strafare si rischia di non creare un impatto riconoscibile nel lettore.
Alberti, invece, esordisce con un libro arzigogolato e ricco di esercizi di stile. Il linguaggio non è quello comune né nella narrazione né nei dialoghi.
Da amante della ricerca stilistica, ho apprezzato particolarmente questo elemento: la voce dell'autore è chiaramente distinguibile e, inoltre, la scelta si sposa alla perfezione con il carattere del narratore della storia.
Può, infatti, non sembrare totalmente credibile che un gruppo di ragazzi parli in questo modo nei momenti intimi e di relax, ma bisogna ricordare che ciò che leggiamo è scritto dal punto di vista del protagonista; un personaggio molto particolare che, proprio per il suo modo di essere, arrogante e snob, potrebbe aver deciso di modulare la propria narrazione su un registro più alto rispetto a quello della realtà.
Come vedete, sto soltanto allenandomi sullo stile, gioco con le parole, le prendo, le rilancio, accelero il ritmo e poi, quando mi va, rallento.
Il secondo motivo per cui mi sento di assegnare l'aggettivo coraggioso ad Alberti è proprio il carattere del protagonista.
L'autore in questo romanzo crea, infatti, un vero e proprio antieroe; un ragazzo che, insieme ai suoi amici, incarna alla perfezione lo stereotipo del bamboccione italiano. Per quanto si tratti di una persona intelligente e anche sufficientemente colta, Leo indugia spesso e volentieri in discorsi profondamente ignoranti che, forse, rispecchiano davvero la nostra società ma che, inseriti tutti in così poco spazio, possono essere indigesti per il lettore.
Non è tanto il carattere superbo e ad autoreferenziale del protagonista, dunque, ad essere d'ostacolo per la piacevolezza della lettura (pian piano è semplice farsi conquistare da una persona capace di rialzarsi, anche dopo le gaffes più disparate), ma l'enorme quantità di concetti superficiali e poco rispettosi espressi (soprattutto all'inizio del romanzo). Non si tratta certamente del primo libro che presenta frasi volutamente provocatorie, ma forse a causa della troppo leggerezza con cui esse scorrono via, non sono del tutto riuscita a reputarle necessarie per lo scopo del testo. L'intento positivo dell'autore è chiaro, ma forse un po' troppo audace.
Sebbene questa legittima certezza possa passare per un vanto o per un eccesso di autostima, in realtà non è nient'altro che un esempio di spregiudicata eleganza. Perché l'eleganza, intesa non solo come propensione verso il buon gusto, ma come un attributo in qualcosa d'innato, è l'abilità senza scrupolo di trasformare un difetto in un'ineguagliabile peculiarità.
L'atmosfera del libro è stata fortemente influenzata da questo aspetto, permettendomi di entrare all'interno della narrazione solamente nella seconda metà del romanzo, dove la narrazione si catalizza più sulla trama e meno sui pregiudizi.
Lo stesso è successo con il ritmo di lettura, nella parte finale si fa più sostenuto e veloce.
L'ambientazione del romanzo si divide tra Trieste, città Natale dei personaggi principali, e Vienna. È la capitale austriaca ad avere il ruolo più rilevante, simbolo di arte e novità. Le descrizioni non mancano ma non ci permettono di visionare perfettamente la geografia del luogo che viene definito più per le persone che lo frequentano che per la sua anima.
L'incipit del romanzo presenta la premessa del narratore: ci spiega in parte quello che potremmo provare durante la lettura. Ci fa comprendere subito il registro narrativo utilizzato e catalizza l'attenzione su ciò che, effettivamente, darà vita alla storia; il carattere del protagonista.
La trama parte lentamente, inizialmente troviamo le descrizioni dei personaggi principali e dei loro dialoghi tipici. Comprendiamo dopo poco tempo il concetto di Pop Art e la voglia dell'autore di raccontarcela grazie ad una storia che la spieghi in maniera anticonvenzionale, accompagnandosi perfettamente all'intento di questa corrente artistica.
Lo svolgimento si concentra maggiormente sul percorso del protagonista e dei suoi amici. A voi scoprire se si tratterà di una salita, una discesa o di una corsa in solitaria, per non fare troppe anticipazioni mi devo, purtroppo, mantenere sul generico!
Il finale è ciò che dà un senso al romanzo, per quanto comprensibile è forse l'unico punto che ho avvertito troppo veloce. L'autore si è fidato forse troppo sull'intuitività dei suoi lettori.
Un'ultima parola sulla cura, trattandosi di un nuovo Editore (Infinito) di cui non avevo, ancora letto nulla. Il libro si presenta bene nella sua veste grafica, ha una copertina evocativa che rappresenta egregiamente il contenuto del libro e che, forse, ne aiuta anche la comprensione. Ho trovato solamente due piccoli refusi.
In conclusione, L'invitato di Massimiliano Alberti è un romanzo che si fa notare, sia nel bene che nel male. Sicuramente l'autore nelle prossime opere avrà l'opportunità di calibrare al meglio le sue doti (indubbie). È un romanzo che va capito perché, sebbene tutti gli elementi necessari siano "apparecchiati" alla nostra tavola, non ci verrà mai veramente evidenziato il loro legame intrinseco.
Lo consiglio solo a coloro che potranno, dunque, apprezzarne lo stile e l'intento. Non lo consiglio a coloro che non apprezzano leggere pregiudizi e stereotipi sulle categorie considerate "deboli", perché andare al di là di questo potrebbe essere molto difficile, anche per i lettori meno rigidi.