Dopo aver letto La lezione di anatomia tutto mi aspettavo tranne di incappare in un libro ben più deludente. Philip Roth è un ottimo autore ma in L'orgia di Praga non dà certamente il meglio di sé.
Lo stile di scrittura rimane ottimo (come potrebbe aver disimparato a scrivere?) ma è meno arzigogolato e più incentrato sui dialoghi.
Questi ultimi li ho apprezzati e sono, forse, ciò che ho gradito di più del libro. L'ironia di Roth, infatti, esce maggiormente grazie a loro e alla contrapposizione di mentalità dei personaggi.
Nonostante sia uno dei romanzi (o racconti, dato che non arriviamo nemmeno alle 100 pagine) che vede come protagonista Zuckerman, in realtà di lui veniamo a sapere ben poco: è troppo incentrato sulla sua missione per pensare egocentricamente a sé stesso come, invece, fa negli altri romanzi della serie. Per quanto apprezzi il personaggio e lo conosca perfettamente avendo letto tutti i libri precedenti, in questa storia l'ho trovato troppo sbiadito e asservito alla trama. Apprezzo molto di più quando Zuckerman c'è ma racconta la storia di un altro, piuttosto che quando racconta la propria senza mettere la grande personalità che, invece, ha e dimostra negli altri romanzi di cui è protagonista.
In questo libro troviamo pochi personaggi e di veramente approfondito solamente uno: Olga. Il problema è che anche di lei vediamo solo ciò che lei ci racconta e, per quanto i dialoghi di Roth persino quando parlano di sesso, riescano ad avere un messaggio importante, ciò che sappiamo di lei rimane comunque troppo poco, se la paragoniamo ad altri personaggi conosciuti precedentemente.
L'ambientazione è ben fatta ma, anche qui, il paragone con le altre letture dell'autore, svantaggia la gradevolezza di quanto si trova ne L'orgia di Praga. Qui, infatti, come si può desumere dal titolo, l'ambientazione non è la solita tipica Rothiana (Newark o New York) ma Praga. La città viene descritta più nel modo in cui funziona e meno nella sua estetica, aspetto a cui viene data più importanza riguardo ai luoghi chiusi quali hotel e case. Probabilmente se questo libro fosse stato di un altro autore avrei potuto apprezzare di più questo elemento ma, essendo di uno scrittore di cui conosco le capacità, sono rimasta in parte delusa.
Al contrario, ciò che viene raccontato su Praga è stato sufficiente per farmi percepire l'atmosfera. Probabilmente ero più agitata io di Zuckerman riguardo alla sua sorte, perciò non posso che ritenere positivo questo aspetto, sebbene anch'esso potesse essere sviluppato molti di più.
Le pagine sono poche, ci sono molti dialoghi e lo stile è ancora più scorrevole del solito, perciò il ritmo di lettura è veloce: io l'ho terminato in un pomeriggio senza problemi, nonostante non ne sia rimasta piacevolmente colpita.
L'incipit è coerente con il resto della narrazione, è diverso dagli altri perché spiamo all'interno del taccuino di Zuckerman (cosa che succederà a tratti in tutto il libro) e il dialogo da cui tutto comincia ha lo scopo di spiegare il perché il protagonista, nonché alter-ego letterario dell'autore si recherà a Praga. È buono e affatto noioso, ma non ha quel mordente che, solitamente, troviamo nelle prime frasi di altri romanzi.
Come è usanza di Roth, la trama non viene portata avanti in maniera particolarmente rilevante: sono le riflessioni dei personaggi ad importare. In questo romanzo, però, non troviamo nella stessa misura ciò che apprezziamo di più degli altri libri dell'autore, perciò, la mancanza di un particolare sviluppo della trama si fa maggiormente sentire.
Il finale, invece, mi è piaciuto. Molto alla Roth, ambiguo ma conclusivo.
In conclusione, un libro senza infamia e senza lode ma, per una fan di Roth una mezza delusione.
Non è orribile e, grazie alle capacità di Roth è qualitativamente valido ma non mi sento di consigliarlo. Se non avete letto altro dell'autore cominciare da questo sarebbe un vero peccato e, se non avete intenzione di leggere tutti i suoi romanzi ma solo i migliori, eccovene uno da scartare senza troppe remore.