Mattatoio n. 5 è uno dei romanzi più celebri di Kurt Vonnegut, autore di cui io non avevo ancora letto niente.
Sento parlare bene di questo libro da ormai molti anni e, devo dire la verità, questo mi ha impedito di acquistarlo per lungo tempo: solitamente i romanzi troppo celebrati tendono a deludermi.
Con l'iniziativa Feltrinelli 2 libri a 9.90 €, però, la Casa Editrice mi ha tentata troppo e, previa rassicurazione da parte di alcuni lettori di cui mi fido, ho deciso, finalmente, di acquistarlo.
È inutile nascondere che le aspettative fossero molte e che le numerose opinioni lette abbiano creato in me moltissime opinioni soggettive al riguardo. Io, come sapranno i lettori più assidui, non amo particolarmente mettere della soggettività in ciò che scrivo: trovo che sia inevitabile valutare un libro a seconda del proprio gusto personale, ma ritengo che descrivervi il romanzo per come si presenta oggettivamente possa aiutarvi maggiormente a comprendere se fa per voi o meno. È più probabile che voi leggiate una mia recensione per sapere se potrebbe piacere a VOI il romanzo in questione, piuttosto che per sapere la mia opinione al riguardo.
Dato che, però, è impossibile per me recensire questo romanzo senza darvene anche la mia chiave di lettura, ho deciso di staccare oggettività e soggettività. Nella prima parte della recensione, dunque, vi parlerò del romanzo sotto i suoi aspetti salienti, cercando di farvelo conoscere nel modo più oggettivo possibile, nella seconda parte, invece, vi dirò la mia personalissima opinione, che potrà essere giusta o sbagliata, ma sincera (pur rispettando autore ed opera e i lettori che, invece, l'hanno amata).
Parte oggettiva (o quasi)
È impossibile inserire Mattatoio n. 5 in un genere specifico: è un romanzo unico nel suo genere che contiene spizzichi di fantascienza e storie relative alla Seconda Guerra Mondiale, ma che si presenta con una struttura tale da impedire una definizione vera e propria, definirlo servirebbe più a limitarlo che a spiegarlo.
La struttura vede, prima di tutto, un capitolo di premessa dell'autore dove lo stesso ci parla del libro che ci appresteremo a leggere.
Si comprende da subito che ciò che leggeremo è qualcosa di speciale e non lineare o conforme alla Letteratura già conosciuta prima di quel momento.
L'incipit del romanzo, perciò, è fondamentale per la lettura: ci aiuta a comprenderla e, secondo me, andrebbe letta anche dopo aver terminato il volume. È anche il motivo per cui sono nate molte delle mie opinioni personali che potrete leggere, in breve, nella seconda parte della recensione.
Definirei lo stile dell'autore ricercato senza affanno; Vonnegut infatti, maschera dietro ad una prosa leggera e spesso scanzonata, una ricerca lessicale molto curata. In alcuni punti quest'opera può essere scambiata per una poesia, in tutto il libro vi sono ripetizioni volute che mostrano al lettore che tutto, anche quello che sembrerebbe totalmente separato, è collegato al suo fine, l'ironia sembra pervadere su ogni scena.
Il ritmo di lettura è veloce grazie allo stile narrativo, ma rallenta a causa dei salti continui (non solo temporali) che l'autore inserisce all'interno dello stesso. Stargli dietro può essere complicato e, se non si entra immediatamente nel gioco che Vonnegut ha costruito per noi, si rischia di non riuscire ad apprezzarlo pienamente a causa della sua discontinuità.
La trama, come il genere, è complicata da definire. In molti dicono che questo romanzo sia sul bombardamento di Dresda e, in parte, si può dire che sia vero (oltre al fatto che è lo stesso autore a dichiararlo nella sua premessa). La realtà è, però, che in questo libro troviamo la storia di Billy Pilgrim, il protagonista del racconto, in tutte le sue sfaccettature, nonostante esse siano fortemente (se non totalmente) influenzate dall'avvenimento di Dresda. Questa storia è frammentaria e presentata in ordine sparso: non è lineare e a volte si ripete, ci vengono descritte scene e momenti ma non vengono sempre contestualizzate.
In tutti questi anni la gente che incontravo mi ha chiesto spesso a cosa stavo lavorando, e di solito io rispondevo che la cosa più importante era un libro su Dresda.
Il finale è perfettamente coerente con quanto ci aspettiamo ma non di impatto dal punto di vista del contenuto come invece altre parti della storia. Poteva finire solo così e capirete ben presto il perché se deciderete di iniziarne la lettura.
L'ambientazione è raccontata di rado perché questo romanzo tratta più di scene separate e sé stanti piuttosto che di un luogo specifico.
Ce ne sono alcuni che fanno da sfondo a momenti importanti e, per questo, possono essere immaginati dal lettore ma, in generale, non penso che questo aspetto sia stato approfondito particolarmente.
L'atmosfera percepita è influenzata fortemente dall'ironia presente in tutto il libro e inserita ad hoc dall'autore per renderlo apparentemente leggero e divertente, per quanto lui stesso ammetta che non lo sia affatto, dato il tema importante toccato. Insomma, ci ritroviamo davanti ad un'opera che per il suo contenuto e il suo tema ci farebbero piangere, ma che per il modo in cui tutto ci viene raccontato ci porta a volte addirittura a sorridere, seppur amaramente.
È il protagonista ad avere il ruolo fondamentale e l'unico veramente rappresentato nella vicenda, l'autore ci fa comprendere la sua introspezione più attraverso i fatti che non le parole. La scrittura è l'opposto di quella definita emozionale; cerca di attutire, di fare meno male.
Gli altri personaggi, compreso l'autore stesso, sono comparse di un film ad un'unica voce.
Infine, il messaggio dell'opera. È piuttosto evidente l'intento di Vonnegut di scrivere un romanzo contro la guerra e questo messaggio insito pervade su ogni singolo momento della narrazione. Le parti che descrivono la guerra sono molto significative ed importanti.
Parte profondamente personale
Trovo che i tre punti di forza di questo libro e i conseguenti motivi per cui esso è tanto elogiato dai lettori, siano lo stile, la struttura e il messaggio.
Lo stile è ottimo e curatissimo: proprio come piace a me, ma la forte rilevanza che ha il tema per Vonnegut è talmente tanta da indurlo a non trattare il tema in modo diretto, inducendolo a mascherarsi dietro un'ironia volutamente stonata che non mi ha convinta per tutta la lettura.
Complice quello che scrive nella premessa, Vonnegut mi ha fatto pensare ad uomo che vuole a tutti i costi spurgarsi dal male accumulato ma che nel momento in cui può effettivamente farlo tentenna, decidendo di non poterlo fare con una totale sincerità, ma solo poco a poco, con tagli numerosi ma poco profondi.
La struttura è ben costruita, fantasiosa e originale ma ci richiede troppa fiducia. Io amo gli autori che escono dagli schemi con le loro narrazioni, andando avanti e indietro nel tempo o in mondi paralleli, immaginando alieni e incontrando autori realmente esistenti ma decontestualizzati, ma poi necessito che tutto torni e che alla fine della lettura si possa capire il perché di tutto. L'intento di Vonnegut, invece, è tutt'altro: ragiona per immagini non per un insieme lineare. La sua unicità, insomma, diventa a doppio taglio: riconosco il genio ma esso non combacia affatto con i miei gusti personali, l'immaginazione ci sta ma tutto poi deve essere circoscrivibile in un insieme logico. Un'idea del perché tutto succeda ovviamente ce l'ho e credo che sia condivisa da altri lettori, ma non è stato l'autore direttamente ad avermela fornita e, perciò, questo non mi può bastare.
Il messaggio. Su quest'ultimo, purtroppo, non posso dare un'opinione entusiasta: non per il contenuto che è assolutamente condivisibile, ma per l'intento. Io, infatti, non apprezzo che un romanzo venga scritto con uno scopo didattico o morale o politico prefissato: mi piace che l'autore riesca a rappresentare con le sue parole entrambi gli schieramenti e che sia il lettore a decidere il proprio. Questo è un gusto personale ben poco condiviso, me ne rendo conto, ma è stato fondamentale per la mia valutazione.
Il risultato finale è sicuramente qualcosa di geniale, unico ed intelligente, ma a me ha dato anche l'impressione di non essere tutto.
Per tutta la lettura ho avuto l'impressione che l'autore stesso non fosse convinto di doverlo dire così, ma forse sono stata troppo influenzata dalla parole della premessa.
In conclusione, Mattatoio n. 5 è un bel libro che, però, non annovererei nella lista delle letture imprescindibili. Forse l'idea che me ne sono fatta è completamente sbagliata, ma avrei preferito che l'autore ci dicesse di più, per quanto lui stesso specifichi che sui massacri c'è ben poco da dire.
È così breve, confuso e stonato, caro Sam, perché non c'è nulla di intelligente da dire su un massacro. Si suppone che tutti siano morti, e non abbiano più niente da dire o da pretendere. Dopo un massacro tutto dovrebbe tacere, e infatti tutto tace, sempre, tranne gli uccelli.
E gli uccelli cosa dicono? Tutto quello che c'è da da dire su un massacro, cose come "Può-tii-uiit?"
Detto questo lo consiglio, anche se non insistentemente come avrei voluto. È un libro che esce dagli schemi, curato, ben scritto e con un tema importante e tutto questo è oggettivo e va completamente a suo favore.