È facile considerarsi per bene, quando non si ha alcun motivo per non esserlo. Bisogna innamorarsi, per capire un po' come si è fatti.
Stoner di John Williams è uno dei titoli più discussi sui social, specialmente Instagram. Come capita sempre con libri di questa fama io ho iniziato a leggerlo con un'enorme aspettativa. È proprio in base ad essa che la mia lettura è stata strana e, per questo, ho deciso di raccontarvi gli elementi del libro nello stesso ordine cronologico in cui li ho incontrati e compresi. Inoltre, visto che ritengo questo volume una lettura impossibile da non interpretare soggettivamente, dopo avervelo raccontato nella sua oggettività, vi darò il mio parere personale (poco condiviso e condivisibile) che vi aiuterà a comprendere meglio i voto e i pro, indifferenti e contro che ho inserito.
L'incipit è ciò in cui mi sono imbattuta inizialmente. Come potrete notare, nelle prime righe della sua storia Williams ci racconta già tutta la vita del suo protagonista, William Stoner. Grazie ad esso possiamo comprendere sin da subito un elemento che ci verrà riconfermato più avanti: questa storia non basa, di certo, il proprio valore sui colpi di scena inaspettati, tanto che l'autore può permettersi di anticiparcela da subito senza toglierci il piacere della lettura.
Il secondo aspetto che ho analizzato è stato quello che mi porta ad amare od odiare immediatamente un libro: lo stile. Quello di John Williams è curato, lento e dettagliato. Non eccede in nessuna di questa particolarità, rendendo la lettura comunque scorrevole e facilmente leggibile, oltre che comprensibile.
La trama è stata ciò che ho individuato successivamente, sebbene fosse facilmente comprensibile sin dall'incipit. Stoner parla della vita di un uomo, portandolo dalla sua giovinezza fino alla morte. Nella sua vita si susseguono avvenimenti quotidiani ed ordinari che possono essere esperiti da tutti, oltre che alle vicende legate all'ambientazione storica scelta, che vede l'inizio e la fine delle due Guerre Mondiali.
Questa ambientazione viene analizzata solo dal punto di vista psicologico. Ciò che ci viene raccontato è lo stato d'animo dei giovani che hanno deciso di parteciparvi attivamente per la propria Patria, di coloro che invece hanno scelto di continuare la loro vita cercando di relegarla al di fuori del proprio mondo e, infine, di coloro che, comprendendone la gravità, hanno visto cadere le proprie speranze nell'umanità.
Anche dal punto di vista geografico la storia si sofferma più sulle sensazioni che sulle descrizioni vere e proprie. Stoner passa da un luogo rurale e campestre all'Università, luogo totalmente diverso, che gli suscita emozioni inaspettate.
Una guerra non solo uccide qualche migliaio, o qualche centinaio di migliaia di giovani. Uccide anche qualcosa dentro le persone, qualcosa che non si può più recuperare.
Il ritmo è piuttosto lento, sebbene non arrechi particolari danni al lettore, permettendogli di far scorrere le pagine senza troppa pesantezza. Le prime cento pagine sono introduttive, le seconde cento aggiungono nuovi elementi che, finalmente, smuovono la situazione, pur lasciando spazi ad alcuni passaggi non del tutto necessari. Le ultime cento si leggono molto più velocemente grazie a ciò che succede e che catturerà totalmente l'attenzione del lettore.
Il finale, in realtà, è facilmente prevedibile sin dalle battute iniziali. Anche qui potrete notare come non sia lo scalpore o il colpo di scena a guidare le parole di Williams, bensì la coerenza con quanto Williams voleva trasmetterci.
Ciò che, infatti, noterete alla chiusura del libro è il suo forte messaggio. Stoner è un uomo che non ama l'introspezione e che preferisce la sensazione di impotenza all'azione. La sua condotta insegna al lettore come l'andamento della nostra vita dipenda grandemente da noi e ci fa riflettere sulle scelte che, a volte, prendiamo più per inerzia che per logica.
Era arrivato a un'età in cui, con intensità crescente, gli si presentava sempre la stessa domanda, di una semplicità così disarmante che non aveva gli strumenti per affrontarla. Si ritrovava a chiedersi se la sua vita fosse degna di essere vissuta.
Questo messaggio viene trasmesso in modo talmente forte da incidere molto sull'atmosfera percepita che, nella prima metà del libro è, invece, quasi assente. Persino chi fatica a provare emozioni, si ritroverà costretto ad ammettere, una volta chiuso il volume, di aver provato qualcosa di forte. Questo fa comprendere l'apprezzamento della maggior parte dei lettori.
I personaggi vengono descritti bene, ma sono raccontati dal punto di vista del protagonista, uomo che non desidera scavare a fondo nemmeno in sé stesso e che, di conseguenza, non possiede grande capacità di immedesimazione e di introspezione nelle altre persone. Impariamo a conoscerli, perciò, più come personaggi positivi o negativi della vita di William, piuttosto che per la loro anima più profonda.
Non era abituato all'introspezione, e riflettere sulle proprie motivazioni gli risultava difficile e anche un po' sgradevole. Sentiva di aver poco da offrire a se stesso, e che non c'era molto da scoprire dentro di sé.
Ora, invece, vi accenno ciò che ho esperito nella mia personale lettura, premettendo che ciò che dirà d'ora in poi vale solamente per me e non sarò obiettiva, ma darò la mia personale interpretazione.
Prima di tutto, devo ammettere di essere partita con aspettative alte che sono rimaste immediatamente deluse notando lo stile.
John Williams scrive bene, ma la sua scrittura (in questo volume) è anonima, priva di guizzi stilistici di alcun genere e, sebbene sia anche coerente con quanto viene raccontato (poiché i guizzi non ci sono nemmeno nell'interiorità del protagonista e nella sua storia), io non posso assolutamente (per i miei gusti personali) associare una scrittura piatta ed impersonale alla mia idea di capolavoro della Letteratura. Mi era chiaro sin da subito che non avrei potuto amarlo come altre persone, perché questo aspetto è immancabile per me, anzi, fa da base a tutto il resto.
Ammetto poi che per tutta la lettura non ho fatto altro che cercare di comprendere il perché questo romanzo piacesse tanto: non è uno scritto d'avanguardia, la storia è semplice e a tratti molto lenta (aspetto che io apprezzo ma che normalmente non piace alla maggioranza dei lettori) e non mi pareva che l'autore facesse in alcun modo leva sull'emotività, (aspetto che solitamente io non amo ma che so essere molto apprezzato dalla maggioranza dei lettori). Mi sfuggiva, perciò, come una così grande fetta di lettori (profondamente diversi tra loro) potesse apprezzarlo così tanto.
Ho capito solo nelle ultime pagine che questo libro merita di essere letto per il suo messaggio, per quanto sia proprio ciò che mi ha fatto pentire di aver affrontato la lettura perché su di me ha avuto un effetto profondamente diverso da quello che avrebbe dovuto.
Ciò che John Williams ci trasmette ha, infatti, grande importanza e, se è la prima volta che ci si scontra con la verità sulla vita che rappresenta, è assolutamente insostituibile, io stessa mi sentirei di consigliarlo ai più giovani o a coloro che non hanno ancora esperito questa conoscenza sulla loro pelle. Che un autore riesca a far arrivare, senza utilizzare espedienti letterari di alcun genere e senza tentare di rimarcare a tutti i costi questo aspetto, una verità così intangibile e non ovvia, è senza ombra di dubbio encomiabile e unico.
Il problema si presenta se questa grande verità è già conosciuta dal lettore. Allora si noteranno i limiti che la letteratura ha nei confronti della vita, o meglio, si notano quelli che questo particolare libro ha, perché io ritengo che ci siano Opere che riescono pienamente a rappresentarla. Williams, infatti, dipinge una vita senza esagerare, forse per mantenere la credibilità, che in effetti è assicurata e che, paradossalmente, lo è meno quando si parla di accadimenti reali. La vita però va ben oltre a questo e per poterla rappresentare appieno bisogna osare e saperlo fare, cosa che questo autore non ha voluto tentare, forse anche per scelta.
Io confesso di aver provato una rabbia incredibile leggendolo: non solo ho odiato ogni personaggio (ma questo è voluto e normale), ho detestato anche il protagonista, così superficiale da rovinare anche la vita di altri, senza prendersene la responsabilità che, invece, avrebbe dovuto attribuirsi totalmente (perlomeno in un caso specifico che non esplicito per non farvi anticipazioni).
In conclusione, Stoner è un romanzo che non lascia indifferenti e che può aiutare tante persone a capire qualcosa di importante, che potrà fare la differenza anche nella loro vita reale. Io, però, ho avuto l'impressione di farmi dire, in modo troppo limitato, cose che già conosco fin troppo bene. Riconosco in lui una grande capacità di far emozionare, ma ciò che ha lasciato a me (ma che non necessariamente capiterà a voi) è rabbia, senso di ingiustizia e fastidio, e io da un libro cerco tutt'altro.
Si tratta, dunque, di un buon libro. Essendo definito un capolavoro, però, mi sento di essere più rigida e di farvi un distinguo; si tratta di un volume che può dare anche tantissimo, ma si distingue più per il contenuto che per la forma.
Per questo, mi sento di consigliarlo solamente a coloro che da un romanzo cercano l'emozione, non quella facile dei romanzi più sentimentali, ma quella d'impatto che ci costringe a vedere qualcosa che, forse, preferiremmo non notare, specialmente se è troppo tardi per farlo.
Non è adatto, invece, a chi cerca maggiormente l'esercizio di stile (come me) o la suspense, perché mancano totalmente.