Il rosso era il colore che mia madre preferiva vedermi addosso, sempre: né rosa né azzurro né verde né viola, solo rosso. Rosso come i tumori del sangue. Non ero una bambina rosa.
Sotto la falce è un memoir di Jesmyn Ward, autrice della celebre Trilogia di Bois Sauvage.
In Italia è tradotta e pubblicata da NN Editore.
La struttura di questo testo è particolare: ci sono due differenti tipologie di capitoli che si alternano formando una danza che li porterà ad unirsi solamente alla fine.
La prima tipologia è formata dai capitoli legati alla storia della famiglia dell'autrice.
Parte da ancora prima della sua nascita, raccontando la comunità e il retaggio delle famiglie dei suoi genitori, che si incontreranno e inizieranno tutta la storia.
Nella seconda tipologia di capitoli vengono raccontate le morti di cinque ragazzi (quattro amici dell'autrice e suo fratello) tutti morti nell'arco di pochi anni (dal 2000 al 2004).
Queste morti vengono raccontate in senso antiorario, partendo dalla più recente e finendo con la prima avvenuta.
Per questo motivo i due racconti – uno in ordine cronologico e uno contrario – si alternano fino ad unirsi arrivando al medesimo anno, quello più tragico per la storia, perché corrisponde alla morte del fratello di Ward: Joshua.
È qui che le mie due storie si uniscono. È l'estate del 2000. È l'ultima estate che passerò con mio fratello. È il cuore. È così. Ogni giorno, è così.
È evidente sin da subito che questo libro nasce da un'esigenza: il bisogno di far vivere anche per gli altri le vite dei suoi cari, in modo che non cadano dimenticati.
Per farlo, però, l'autrice racconta la storia dell'intera comunità, rappresentandola in modo vivido e univoco, il suo intento è mandare un messaggio che vada oltre la semplice perdita e racconti e faccia capire cosa ha subito e ancora subisce la popolazione nera in comunità/scuole/realtà prevalentemente bianche (e razziste).
Non volevo che mi guardassero dopo aver detto qualcosa sui neri, non volevo distogliere lo sguardo perché non si accorgessero che li stavo osservando, che osservavo il privilegio di cui si vestivano come se fosse un indumento.
Leggendo la sua vita è piuttosto semplice trovare parallelismi con le storie che Jesmyn Ward ci ha raccontato ne La Trilogia di Bois Sauvage.
Inoltre vengono citate spesso, specialmente nei dialoghi riportati, le sue velleità di scrittrice e ciò che stava scrivendo o voleva scrivere nel momento in cui accadono i diversi eventi.
Questo testo perciò può aiutare sia a conoscere l'autrice prima di provare i suoi romanzi sia ad ampliare la nostra comprensione di ciò che accade nelle sue storie.
«Dovresti scrivere un libro sulla mia vita» disse Demond.
«Dici?» risi di nuovo. Sentivo spesso questa frase quando ero a casa. La maggior parte degli uomini che conoscevo, spacciatori o puritani, credevano che le loro storie fossero talmente importanti da dover essere raccontate. All'epoca ci ridevo su. Adesso che queste storie le sto scrivendo, vedo la verità di quelle richieste.
Nei suoi libri l'ambientazione è fondamentale (e, infatti, è l'unico vero e proprio collante della Trilogia) e da questo memoir ne capiamo l'importanza anche per la vita di Jesmyn Ward: lei è attirata dal luogo in cui la sua famiglia è stata creata e cresciuta e sente di appartenergli indissolubilmente, ma al contempo le grandi sofferenze subite proprio a causa delle condizioni di vita del posto le fanno venire voglia di scappare e non voltarsi indietro.
La mia storia familiare è costellata di cadaveri di uomini. Il dolore delle donne li chiama dall'oltretomba, li fa apparire sotto forma di fantasmi. Da morti, trascendono le contingenze di questo posto che amo e odio al contempo, e diventano creature soprannaturali. A volte, quando penso a tutti gli uomini della mia famiglia morti prematuramente da una generazione all'altra, credo che il lupo sia DeLisle.
Oltre che alla geografia del luogo e la differenza tra diversi quartieri e cittadini, racconta anche tradizioni e folklore locale. Raccontando, ad ogni spostamento, cosa caratterizza quel determinato edificio, parco, o quartiere e cosa rappresenta per chi ci vive.
La maglietta commemorativa è molto comune ai funerali dei giovani. Non so se sia diffusa nei quartieri neri del Nord, o a Est, oppure a Ovest, ma nel Sud è diventata una tradizione come il rinfresco dopo la cerimonia funebre.
Il razzismo, dopo il lutto, è la tematica maggiormente trattata e non viene solo raccontata negli esempi di vista personale della scrittrice ma anche nelle sue conseguenze su tutta la comunità nera. Viene anche trasformato in statistica per mostrare come ciò che viene raccontato sia sistemico e necessariamente influenzato da qualcosa di più del semplice "caso".
All'interno del testo sono citati diversi libri (sia di narrativa che di saggistica) che trattano questo argomento.
Altri temi centrali sono la dipendenza da alcool e droga, la povertà, la non accettazione di sé e il pensiero del suicidio, e la differenza di aspettative e possibilità tra maschi e femmine.
La tradizione degli uomini che abbandonano moglie e figli qui sembra sistemica, alimentata dalla povertà. A volte il colore della pelle sembra un fattore accidentale, e invece non lo è, specialmente se si pensa allo smembramento delle famiglie subito dai primi afroamericani sotto il giogo della schiavitù. Come per molti giovani neri della mia comunità, in ogni generazione, per mio padre fu difficile assumersi il ruolo di padre e marito. Vedeva un mondo di possibilità fuori dai confini della famiglia e non riusciva a resistere a questo sogno.
Come sempre è utilissima la nota del traduttore, che in questo testo è Gaja Cenciarelli, che aiuta non solo a capire le difficoltà di traduzione e delle conseguenti scelte stilistiche per renderle nel testo italiano ma anche a capire cosa ha dato emotivamente il libro a chi l'ha tradotto e cosa, di tutto ciò, è stato trasmesso anche a noi.
Alla fine del volume c'è un'ulteriore memoir dell'autrice che racconta della perdita – per COVID – del marito e della sua reazione agli eventi che hanno portato alle manifestazioni del Black Lives Matter.
In conclusione, Sotto la falce è un testo doloroso. È stato difficile per l'autrice scriverlo, per la traduttrice tradurlo e lo sarà per il lettore leggerlo. È un libro che nasce da un'esigenza che si sente urlare, costante e inesorabile, in sottofondo.
È un libro che fa male e che si potrebbe non voler leggere ma che, se letto, insegna tanto e, soprattutto, ruba un posto nella nostra memoria e nel nostro cuore.
Dopo averlo letto Joshua, Ronald, C.J., Demond e Roger saranno persone reali, che abbiamo conosciuto e che abbiamo dovuto prematuramente abbandonare.
Non soffriremo mai quanto ha sofferto l'autrice ma, da quel momento, una piccola parte del suo dolore sarà anche in noi, facendo vivere per sempre il ricordo.
Per questi motivi lo consiglio: è denso, è tosto, trovate il momento giusto per approcciarlo perché può fare male. Ma leggetelo, perché lo merita. Loro lo meritano.