TRAMA IN BREVE

La chiamano, L'Arminuta, cioè la ritornata. La sua vita, infatti, è stata totalmente cambiata. I genitori adottivi l'hanno "rispedita al mittente" e la giovane ragazza si trova, ora, in una nuova famiglia, mai conosciuta. 

DEDICA

A Piergiorgio, che c'è stato così poco

INCIPIT

A tredici anni non conoscevo più l'altra mia madre.
Salivo a fatica le scale di casa sua con una valigia scomoda e una borsa piena di scarpe confuse. Sul pianerottolo mi ha accolto l'odore di fritto recente e un'attesa.

RECENSIONE

Io non conoscevo nessuna fame e abitavo come una straniera tra gli affamati. Il privilegio che portavo dalla vita precedente mi distingueva, mi isolava nella famiglia. Ero L'Arminuta, la ritornata. Parlavo un'altra lingua e non sapevo più a chi appartenere.

Con L'Arminuta di Donatella Di Pietrantonio l'errore è stato mio; mi sono creata aspettative basate su presupposti completamente sbagliati. Io non amo conoscere le sinossi o una qualunque anticipazione sui romanzi che leggo perciò non mi sono mai occupata di approfondire tutti i commenti positivi su questo romanzo, che ho trovato un po' ovunque.
Trattandosi di un Einaudi, casa editrice che io erroneamente associo allo stile ricercato e prolisso, perché i miei libri preferiti di questo editore sono così, ho dato per scontato che L'Arminuta appartenesse alla stessa categoria e, così, mi sono creata false aspettative.

La verità è che L'Arminuta è un romanzo che punta a qualcosa di ben diverso dall'esercizio di stile che io ricercavo, è un romanzo che riguarda l'emotività, colpisce più il cuore che il cervello. Io, però, stavo cercando l'esatto opposto e, per questo motivo, non ho potuto apprezzarlo come si sarebbe potuto meritare.

Mi sono accorta subito del mio errore perché lo stile di Donatella Di Pietrantonio, autrice di cui non avevo mai letto niente prima, si è mostrato, sin dall'inizio verace, schietto, incisivo, sintetico e molto personale.
Per questi aspetti, seppure molto lontani da ciò che cercavo, l'ho apprezzato, ma non sono riuscita ad entrare in contatto con la sua scrittura. L'autrice formula le frasi in modo poetico, ma molto diverso da come me le aspetterei io. Non ho avuto difficoltà a capire i significati di ciò che diceva ma ogni volta mi veniva da pensare alla frase detta in un altro modo e pensavo: così mi sarebbe piaciuta di più. Non si tratta, dunque, di uno stile di scrittura sbagliato o brutto; sono io che non sono riuscita ad entrarci dentro, rimanevo sempre fuori ad osservare e a chiedermi cosa c'era che non andava.

Odore di gomma bruciata nell'aria. Quando ho alzato la testa, dalle finestre del secondo piano guardava qualcuno della mia famiglia per forza.

L'incipit è assolutamente coerente con il resto del romanzo e con quanto ho appena detto riguardo allo stile. L'ho letto e non capivo se avevo saltato delle parole, presa dalla fretta e dall'emozione di iniziare questo romanzo. Per questo motivo non sono riuscita ad apprezzarlo; ancora non sapevo di aver sbagliato e, perciò, ricercavo qualcosa che non c'era.

I dialoghi di primo acchito, straniscono, perché la famiglia dell'Arminuta non sa parlare bene in italiano e, perciò, bisogna abituarsi a questo tipo di scrittura che rende maggiormente la distanza tra la protagonista e gli altri personaggi. Ce ne sono alcuni significativi ma, in generale, ritengo che la parti più profonde siano raggiunte non da questi ma dai pensieri derivati dall'introspezione della protagonista.

- E che vi mangiavate? - s'informava Adriana.
- Di solito il pesce.
- Sarebbe il tonno nelle scatole?
- No no, ce ne sono tanti altri. Li compravamo freschi al mercato dei pescatori.

Nonostante quanto ho appena detto, ho terminato la lettura di questo libro in una sera; un attimo primo l'avevo appena iniziato e un attimo dopo eccomi all'ultima pagina, senza alcuna fatica. Questo è dovuto al fatto che il libro, pur non rientrando nelle mie corde, non solo è di piacevole lettura ma è anche molto scorrevole. Lo stile di Di Pietrantonio è snello: ci sono sì, alcune figure retoriche, ma vengono usate con parsimonia, senza particolare sfoggio. La lettura ha, perciò, un ritmo molto scorrevole, sono certa che anche voi non faticherete a terminarlo in brevissimo tempo!

La trama tratta di una vita, quella dell'Arminuta, travolta e cambiata dagli eventi. La giovane, di cui non conosciamo il nome, viene rimandata a casa, da una famiglia che non sapeva nemmeno di avere, che l'aveva lasciata ai genitori adottivi quando era ancora molto piccola.
Tutta la storia si impernierà, perciò, sulla sua difficoltà a rapportarsi con una famiglia totalmente diversa da quella in cui ha vissuto in precedenza; con grandi difficoltà economiche e valori ben diversi. Si tratta di una trama sorretta principalmente dalle emozioni provate dalla ragazza e, in secondo piano, dal misterioso motivo per cui essa è dovuta ritornare alla casa natale.

La protagonista, L'Arminuta, racconta la sua storia in età avanzata (non si capisce perfettamente di quanto, ma si comprende che ciò che viene narrato è molto lontano nel tempo) e in prima persona. Questa scelta non mi ha convinta perché la storia viene impostata totalmente su un racconto in cui lei agisce e si muove non sapendo cosa ne sarà di lei ma, in alcuni punti, la narratrice aggiunge considerazioni riguardanti il futuro ricordandoci di stare raccontando tutto solo moltissimi anni dopo le vicende. Non si tratta di un errore; si capisce da subito che la narrazione è data da un personaggio che parla "dal futuro", ma personalmente avrei preferito che fosse mantenuta un'unica scelta: o parlare dal presente e solo di quello o parlare con il senno di poi al riguardo di tutta la storia.

Non sapevo più da chi provenivo. In fondo non lo so neanche adesso.

Gli altri personaggi sono raccontati dal punto di vista della ragazza. Qui troviamo una forte differenza tra l'introspezione di uno o dell'altro: mentre alcuni come la sorella, il fratello e le due mamme, sono spesso al centro dei pensieri della protagonista, tutti gli altri sembrano solo orbitarle intorno, fastidiosi ma non problematici. In generale l'autrice indugia ben di più sulla psicologia delle donne, che degli uomini. La sorella Adriana è il personaggio reso meglio; l'ho apprezzato davvero molto ed è stato uno dei regali migliori che ho ricevuto dal libro. Per gli altri c'è stato davvero troppo poco spazio: non mi sono arrivate le loro anime.

Ci siamo fermate una di fronte all'altra, così sole e vicine, io immersa fino al petto e lei al collo. Mia sorella.

Leggendo i commenti che si possono trovare sui diversi social ho scoperto che, ciò che piace meno di questo romanzo è il finale. In realtà è, invece, uno degli elementi che io ho apprezzato maggiormente. Probabilmente non è stato apprezzato perché non viene considerato perfettamente conclusivo, ma io penso che, invece, metta un punto alla situazione. Tutto è, da quel momento, comprensibile e chiaro, non ci sono più dubbi sul perché la vicenda si sia svolta in quel particolare modo. La scena finale è molto importante, secondo me, per trovare la chiave della storia e grazie ad essa l'ho in parte rivalutata in positivo. 

L'elemento di maggiore forza dell'Arminuta è, senza ombra di dubbio, l'emozione, la capacità di rendere l'atmosfera. Tutti, o quasi, gli elementi del libro convergono su questo aspetto. I dialoghi sono scritti in quasi dialetto, per dare il senso di veridicità a quanto viene detto, la storia colpisce per la drammaticità di quello che succede alla protagonista, lo stile riesce ad equilibrare il tutto, non indugiando troppo sulla tristezza, in modo da renderlo più credibile e meno esagerato. Credo che sia impossibile per un lettore, affrontare questo scritto senza porsi nemmeno una domanda di origine morale o etica e questo dipende da ciò che viene raccontato e dalla capacità dell'autrice di farci interrogare su concetti per noi importanti, come ad esempio il ruolo di una madre nella vita di una persona. 

Nel tempo ho perso anche quell'idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure.

In conclusione, le mie aspettative sul libro erano basate su presupposti sbagliati ma, nonostante questo, L'Arminuta è stato una lettura piacevole e ben ritmata. Penso che anche a voi possa piacere, a maggior ragione a chi cerca maggiormente una storia di pancia ma di qualità, perciò ve lo consiglio, anche se non con la veemenza che avrei sperato.

Questo romanzo ha vinto l'edizione 2017 del Premio Campiello.

CITAZIONI

L'ultimo quarto di luna si è affacciato alla finestra aperta e l'ha attraversata. Sono rimaste le stelle a strascico e la minima fortuna di avere il cielo sgombro di case, da quella parte.

Non l'ho mai chiamata, per anni. Da quando le son stata restituita, la parola mamma si è annidata nella mia gola come un rospo che non è più saltato fuori. 

Ho volato tra lei e Vincenzo, mi hanno messa in mezzo per coprirmi dalla paura. Alla quota più alta si toccava una specie di felicità, quello che mi era accaduto negli ultimi giorni era rimasto a terra, come una nebbia pesante. Ci passavo sopra e potevo persino dimenticarlo, per un po'.

Per dormire almeno un po', ricordavo il mare. Il mare a poche decine di metri dalla casa che avevo creduto mia e abitato da quando ero piccola a qualche giorno prima.

Ho dovuto spiegarle daccapo e a Pat sono saliti di colpo certi singhiozzi che la scuotevano tutta. Allora mi sono spaventata davvero, ho capito dalla sua reazione che stava per accadermi qualcosa di grave, lei non piangeva mai.

L'incubo è stato il culmine delle mie angosce notturne. Dopo brevi cedimenti al sonno i risvegli erano sussulti improvvisi, e la certezza di una disgrazia imminente, ma quale? Brancolavo in quelle assenze della memoria finché la malattia di mia madre tornava a galla di colpo, e si ingigantiva, si aggravava nel buio.

Ho tirato dritto in silenzio. Lei sapeva sempre tutto, quasi prima che accadesse, ancora oggi non me lo spiego. Si trovava ogni volta nel posto giusto, nascosto da una porta, uno spigolo, un albero, con il suo orecchio prodigioso.

Non eravamo abituati ad essere fratelli e non ci credevamo fino in fondo. Forse non era per lo stesso sangue che lo tenevo fermo, una difesa l'avrei tentata con chiunque altro. Ansimavamo, sospesi sull'orlo dell'irreparabile.

Ripetevo piano la parola mamma cento volte, finché perdeva ogni senso ed era solo una ginnastica delle labbra. Restavo orfana di due madri viventi. Una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l'altra mi aveva restituita a tredici anni. Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze.

- Qui è tutto così curato e in ordine, - ho detto con un sospiro. - Vorrei che la mia vita fosse come questo campo, - mi è sfuggito poi.

Sono cominciati così gli anni della vergogna. Non mi avrebbe più lasciata, come una macchia indelebile addosso, una voglia di vino sulla guancia. 

Nelle ore più buie dopo la notizia ho tentato di fermare il petto, bastava così poco. Solo tenerlo passivo, come sott'acqua. Contavo in silenzio, nell'attesa che l'ossigeno residuo si sciogliesse nel sangue, e m'ingoiasse il sonno, sempre più pesante, fino a cambiarsi in morte. 

 

QUARTA DI COPERTINA

Ci sono romanzi che toccano corde così profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con "L'Arminuta" fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell'altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia così questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all'altro perde tutto - una casa confortevole, le amiche più care, l'affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l'Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c'è Adriana, che condivide il letto con lei. E c'è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L'accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell'Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.

PRO / INDIFFERENTE / CONTRO
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