Comprendere non significa condividere, cioè vedere le stesse cose e attribuire gli stessi significati. Comprendere il punto di vista dell'altro non vuol dire assumerlo. Comprendere e condividere sono due film differenti.
Creiamo cultura insieme è un saggio/guida edito quest'anno che ha fatto molto parlare di sé.
Spinta da una grande curiosità, appena l'ho ricevuto come regalo ho immediatamente deciso di leggerlo.
Lo stile scelto dall'autrice, Irene Facheris, è dichiaratamente semplice. I termini specifici di ciò di cui ci parla non mancano, ma le relative spiegazioni sono quasi sempre basate sul linguaggio comune, modi di dire e/o finanche gergali e giovanili.
Questa scelta è spiegata sin dalla premessa e sarà sempre coerente in ogni parte del testo, perciò il lettore si troverà preparato per ciò che leggerà successivamente.
Spoiler: è in pelle.
L'argomento è fortemente collegato al linguaggio utilizzato durante i dialoghi con le altre persone. Potremmo considerare la prima metà del libro un testo che ci aiuta a comprendere meglio come siamo fatti e come è possibile che nascano incomprensioni con gli altri a causa della nostra natura limitata e, dunque, non onniscente, nella seconda metà del volume verranno dati esempi pratici su come relazionarsi con gli altri per ottimizzare le discussioni. La "cultura", denominata nel titolo, credo possa, dunque, sviare il lettore sul contenuto reale del testo, il sottotitolo è sicuramente maggiormente chiarificatore.
Il tema, come si può dedurre dal numero esiguo di pagine, viene affrontato per sommi capi: le spiegazioni non mancano ma sono volte a far comprendere concetti generali e piuttosto intuitivi. Non vi è, dunque, una volontà di approfondimento, l'autrice stessa dice che si possa essere veramente competenti al riguardo solo dopo essere stati formati professionalmente (lavoro che lei svolge). Vedere che esiste una terminologia specifica ed utilizzata dai professionisti di settore può dare valore ai nostri ragionamenti quotidiani e farci sentire più sicuri e "sulla buona strada" e dunque possono essere utili come strumento di ulteriore riflessione e possono dare maggiore ordine e consapevolezza alle nostre idee.
Grazie allo stile leggero e amicale e la semplicità degli argomenti introdotti (e anche perfettamente esemplificati e ripetuti) il libro termina in brevissimo tempo. Il ritmo di lettura, perciò, sarà veloce e fluente.
L'incipit che vi ho riportato dimostra ulteriormente come le parole di Irene Facheris mirino ad esprimere una completa apertura e sincerità nei nostri confronti: utilizza parole che ci fanno avvertire di entrare nella sua sfera personale (una mia cara amica) e, poco più avanti, ammette anche qualcosa di scomodo su sé stessa (utilizzando la parola immodestamente) facendoci percepire istantanea fiducia nei suoi confronti.
Si comprende, dunque, che sebbene lo stile sia intuitivamente associabile ad un discorso non preparato (sebbene ben riportato), il lavoro fatto dall'autrice sulle proprie parole non è dettato meramente dall'istinto.
Ho deciso di scrivere questo libro perché credo, fortemente e immodestamente, che sia necessario.
Passo ora alla mia conclusione personale.
Il libro si legge piacevolmente perché è semplice ed immediato, ma a parte il lessico specifico, non l'ho trovato adatto ad un testo professionale, anche se penso che l'appeal per molti lettori possa, invece, essere stato questo perché rende il tutto fruibile da chiunque e non inficia la comprensione di nessuno.
L'approccio che ho descritto nell'incipit l'ho trovato un po' forzato: penso che la scrittrice abbia consapevolmente cercato di stare "simpatica" al proprio interlocutore (noi) e quando avverto questo, mi viene spontaneo provare il contrario.
Ho delle rimostranze soggettive sulla sua necessità - perché chi era già empiricamente consapevole dei contenuti grazie a proprie deduzioni, potrà sentirsi effimeramente geniale (dato che vedrà riconfermate consapevolezze antecedenti, con parole "ufficiali" che daranno loro maggiore credibilità), ma non scoprirà nulla di nuovo e per chi, invece, non è ancora stato in grado di percepire come verità questi concetti (di cui, tra l'altro, già parlava Pirandello in Uno, nessuno, centomila parecchi anni fa e, dunque, sono probabilmente già stati sentiti e studiati) grazie alle proprie esperienze empiriche, non credo possa essere sufficiente leggerle in questo modo per poterle, finalmente, comprendere. Spero, però, di sbagliarmi perché è indubbio che sia complicato, se non impossibile, avere un dialogo civile con qualcuno che non tiene conto, almeno in parte, di questi concetti.
Le mie rimostranze (sempre soggettive, ovviamente) sono anche relative l'ultimo concetto introdotto, cioè quello relativo al perché si chiede consiglio agli altri. Io non solo non mi trovo d'accordo con la premessa (cioè che si chieda consiglio non per averlo veramente dal punto di vista dell'altro, ma per farsi riconfermare ciò che consciamente o inconsciamente già si è deciso) né con la soluzione che, onestamente, mi altererebbe e mi farebbe percepire come ascoltata poco attentamente. (La soluzione dell'autrice è, infatti, quella di rispondere a chi ti parla di una situazione con le stesse parole con cui lei ti ha parlato, riflettendo come uno specchio e non interagendo con le proprie deduzioni/opinioni). Ho anche paradossalmente pensato di essere, in questo caso, parte della schiera degli inconsapevoli, ma in questo modo riconfermerei la mia teoria precedente; cioè che se già da soli non si sono pensate queste cose, difficilmente si cambierà idea solo per averle lette in quest'opera.
Non posso dire che sia un libro spiacevole o inutile, ma trovo che la nomea raggiunta e il suo prezzo non combacino con l'effettivo valore di ciò che ne ho ricavato.
Per gusti personali, inoltre, troverei difficoltà ad acquistare un saggio/guida scritto in modo così informale. Mi sento perciò di consigliarlo solo a chi è molto confuso sull'argomento e desidera una guida semplice ed immediata per orientarsi meglio tra le proprie emozioni e i propri comportamenti.