Io non conoscevo nessuna fame e abitavo come una straniera tra gli affamati. Il privilegio che portavo dalla vita precedente mi distingueva, mi isolava nella famiglia. Ero L'Arminuta, la ritornata. Parlavo un'altra lingua e non sapevo più a chi appartenere.
Con L'Arminuta di Donatella Di Pietrantonio l'errore è stato mio; mi sono creata aspettative basate su presupposti completamente sbagliati. Io non amo conoscere le sinossi o una qualunque anticipazione sui romanzi che leggo perciò non mi sono mai occupata di approfondire tutti i commenti positivi su questo romanzo, che ho trovato un po' ovunque.
Trattandosi di un Einaudi, casa editrice che io erroneamente associo allo stile ricercato e prolisso, perché i miei libri preferiti di questo editore sono così, ho dato per scontato che L'Arminuta appartenesse alla stessa categoria e, così, mi sono creata false aspettative.
La verità è che L'Arminuta è un romanzo che punta a qualcosa di ben diverso dall'esercizio di stile che io ricercavo, è un romanzo che riguarda l'emotività, colpisce più il cuore che il cervello. Io, però, stavo cercando l'esatto opposto e, per questo motivo, non ho potuto apprezzarlo come si sarebbe potuto meritare.
Mi sono accorta subito del mio errore perché lo stile di Donatella Di Pietrantonio, autrice di cui non avevo mai letto niente prima, si è mostrato, sin dall'inizio verace, schietto, incisivo, sintetico e molto personale.
Per questi aspetti, seppure molto lontani da ciò che cercavo, l'ho apprezzato, ma non sono riuscita ad entrare in contatto con la sua scrittura. L'autrice formula le frasi in modo poetico, ma molto diverso da come me le aspetterei io. Non ho avuto difficoltà a capire i significati di ciò che diceva ma ogni volta mi veniva da pensare alla frase detta in un altro modo e pensavo: così mi sarebbe piaciuta di più. Non si tratta, dunque, di uno stile di scrittura sbagliato o brutto; sono io che non sono riuscita ad entrarci dentro, rimanevo sempre fuori ad osservare e a chiedermi cosa c'era che non andava.
Odore di gomma bruciata nell'aria. Quando ho alzato la testa, dalle finestre del secondo piano guardava qualcuno della mia famiglia per forza.
L'incipit è assolutamente coerente con il resto del romanzo e con quanto ho appena detto riguardo allo stile. L'ho letto e non capivo se avevo saltato delle parole, presa dalla fretta e dall'emozione di iniziare questo romanzo. Per questo motivo non sono riuscita ad apprezzarlo; ancora non sapevo di aver sbagliato e, perciò, ricercavo qualcosa che non c'era.
I dialoghi di primo acchito, straniscono, perché la famiglia dell'Arminuta non sa parlare bene in italiano e, perciò, bisogna abituarsi a questo tipo di scrittura che rende maggiormente la distanza tra la protagonista e gli altri personaggi. Ce ne sono alcuni significativi ma, in generale, ritengo che la parti più profonde siano raggiunte non da questi ma dai pensieri derivati dall'introspezione della protagonista.
- E che vi mangiavate? - s'informava Adriana.
- Di solito il pesce.
- Sarebbe il tonno nelle scatole?
- No no, ce ne sono tanti altri. Li compravamo freschi al mercato dei pescatori.
Nonostante quanto ho appena detto, ho terminato la lettura di questo libro in una sera; un attimo primo l'avevo appena iniziato e un attimo dopo eccomi all'ultima pagina, senza alcuna fatica. Questo è dovuto al fatto che il libro, pur non rientrando nelle mie corde, non solo è di piacevole lettura ma è anche molto scorrevole. Lo stile di Di Pietrantonio è snello: ci sono sì, alcune figure retoriche, ma vengono usate con parsimonia, senza particolare sfoggio. La lettura ha, perciò, un ritmo molto scorrevole, sono certa che anche voi non faticherete a terminarlo in brevissimo tempo!
La trama tratta di una vita, quella dell'Arminuta, travolta e cambiata dagli eventi. La giovane, di cui non conosciamo il nome, viene rimandata a casa, da una famiglia che non sapeva nemmeno di avere, che l'aveva lasciata ai genitori adottivi quando era ancora molto piccola.
Tutta la storia si impernierà, perciò, sulla sua difficoltà a rapportarsi con una famiglia totalmente diversa da quella in cui ha vissuto in precedenza; con grandi difficoltà economiche e valori ben diversi. Si tratta di una trama sorretta principalmente dalle emozioni provate dalla ragazza e, in secondo piano, dal misterioso motivo per cui essa è dovuta ritornare alla casa natale.
La protagonista, L'Arminuta, racconta la sua storia in età avanzata (non si capisce perfettamente di quanto, ma si comprende che ciò che viene narrato è molto lontano nel tempo) e in prima persona. Questa scelta non mi ha convinta perché la storia viene impostata totalmente su un racconto in cui lei agisce e si muove non sapendo cosa ne sarà di lei ma, in alcuni punti, la narratrice aggiunge considerazioni riguardanti il futuro ricordandoci di stare raccontando tutto solo moltissimi anni dopo le vicende. Non si tratta di un errore; si capisce da subito che la narrazione è data da un personaggio che parla "dal futuro", ma personalmente avrei preferito che fosse mantenuta un'unica scelta: o parlare dal presente e solo di quello o parlare con il senno di poi al riguardo di tutta la storia.
Non sapevo più da chi provenivo. In fondo non lo so neanche adesso.
Gli altri personaggi sono raccontati dal punto di vista della ragazza. Qui troviamo una forte differenza tra l'introspezione di uno o dell'altro: mentre alcuni come la sorella, il fratello e le due mamme, sono spesso al centro dei pensieri della protagonista, tutti gli altri sembrano solo orbitarle intorno, fastidiosi ma non problematici. In generale l'autrice indugia ben di più sulla psicologia delle donne, che degli uomini. La sorella Adriana è il personaggio reso meglio; l'ho apprezzato davvero molto ed è stato uno dei regali migliori che ho ricevuto dal libro. Per gli altri c'è stato davvero troppo poco spazio: non mi sono arrivate le loro anime.
Ci siamo fermate una di fronte all'altra, così sole e vicine, io immersa fino al petto e lei al collo. Mia sorella.
Leggendo i commenti che si possono trovare sui diversi social ho scoperto che, ciò che piace meno di questo romanzo è il finale. In realtà è, invece, uno degli elementi che io ho apprezzato maggiormente. Probabilmente non è stato apprezzato perché non viene considerato perfettamente conclusivo, ma io penso che, invece, metta un punto alla situazione. Tutto è, da quel momento, comprensibile e chiaro, non ci sono più dubbi sul perché la vicenda si sia svolta in quel particolare modo. La scena finale è molto importante, secondo me, per trovare la chiave della storia e grazie ad essa l'ho in parte rivalutata in positivo.
L'elemento di maggiore forza dell'Arminuta è, senza ombra di dubbio, l'emozione, la capacità di rendere l'atmosfera. Tutti, o quasi, gli elementi del libro convergono su questo aspetto. I dialoghi sono scritti in quasi dialetto, per dare il senso di veridicità a quanto viene detto, la storia colpisce per la drammaticità di quello che succede alla protagonista, lo stile riesce ad equilibrare il tutto, non indugiando troppo sulla tristezza, in modo da renderlo più credibile e meno esagerato. Credo che sia impossibile per un lettore, affrontare questo scritto senza porsi nemmeno una domanda di origine morale o etica e questo dipende da ciò che viene raccontato e dalla capacità dell'autrice di farci interrogare su concetti per noi importanti, come ad esempio il ruolo di una madre nella vita di una persona.
Nel tempo ho perso anche quell'idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure.
In conclusione, le mie aspettative sul libro erano basate su presupposti sbagliati ma, nonostante questo, L'Arminuta è stato una lettura piacevole e ben ritmata. Penso che anche a voi possa piacere, a maggior ragione a chi cerca maggiormente una storia di pancia ma di qualità, perciò ve lo consiglio, anche se non con la veemenza che avrei sperato.
Questo romanzo ha vinto l'edizione 2017 del Premio Campiello.