Veniamo tutti misurati, buoni e cattivi, dal male che facciamo agli altri.
Lizzie di Shirley Jackson è un romanzo del 1954 che parla di un disturbo dissociativo dell'identità ante litteram: all'epoca, infatti, si sapeva ben poco di questa malattia.
È questo il motivo per cui, a differenza di quanto si potrebbe fare con letture come Una stanza piena di gente, credo che per poter apprezzare pienamente questo libro si debba volutamente dimenticare ciò che si sa al riguardo all'argomento ed approcciarsi al romanzo come ad una storia inventata, quale effettivamente è. Non era l'obiettivo della scrittrice quello di rappresentare al meglio una situazione reale, dunque noi stessi dovremmo leggere il libro con il medesimo intento.
Aggiungo però, che gli aspetti che avrei ritenuto meno credibili, tra quelli presenti in questo libro sono anche quelli che ho visto riconfermati nella storia vera summenzionata, e ritengo che conoscerla mi abbia indotta ancora di più a considerare lo sviluppo dell'idea di Shirley Jackson, quasi profetico,
Si tratta del suo terzo libro che vi recensisco ed ormai rischio solamente di ripetermi al riguardo dello stile, perciò cercherò di dirvi qualcosa di differente.
È un'autrice che ama e conosce le parole e che riesce anche solo scegliendone una piuttosto che un'altra a creare un effetto disturbante nel lettore. Si tratta di una scrittura elegante di una trama volutamente grottesca, un connubio impossibile da trovare in una penna diversa dalla sua. Sebbene ciò che racconti sia spesso semplice da comprendere, l'ambiguità linguistica (voluta) e l'effetto di detto/non detto vi porterà continuamente a non capire. Saranno numerosi i momenti in cui potrete pensare di aver letto male un passaggio, per poi vederlo riconfermato tornando indietro con la lettura. Questo è il modo in cui l'autrice ci trasmetterà l'orrore della vicenda.
... ed era buffo perché lei voleva il burro di arachidi e io la marmellata ed era buffo che due persone che si volevano così bene e che avevano lo stesso nome amassero due cose così diverse.
La struttura del romanzo è molto particolare: il libro si divide in sei capitoli differenti, molto lunghi, e in ognuno di essi sarà un diverso protagonista a raccontarci il suo punto di vista. Solo nel caso del Dottor Wright avremo due capitoli dedicati alla stessa persona.
Shirley Jackson, come ho già detto, sapeva scrivere molto bene e sceglieva le parole ad hoc, potete dunque immaginare l'enorme differenza che riscontrerete nel lessico, nel ritmo e nella struttura delle diverse parti.
Proprio per questo motivo ce ne saranno alcune che apprezzerete maggiormente e altre che amerete meno; in parte queste preferenze saranno associate ai vostri gusti personali (ad esempio la parte del dottor Wright è scritta come un diario, scelta letteraria che io prediligo e che, dunque, ho gradito molto) ma anche a ciò che l'autrice voleva trasmettervi. La capacità dell'autrice con le parole, infatti, è tale da togliervi in parte anche il libero arbitrio; in alcuni casi proverete proprio ciò che lei desidera proviate.
L'atmosfera, dunque, è persistente e talmente tangibile da indurre il lettore a chiedersi fino a che punto quella sensazione sia dovuta ad una sua percezione e dove, invece, sia stata l'autrice a creare quell'effetto.
Questo si nota specialmente nell'incipit del libro. Il primo punto di vista che ci viene presentato è, infatti, quello di Elizabeth, ragazza apatica e totalmente priva di alcun tipo di slancio. La sua personalità si rispecchierà, dunque, nello stile del libro che, seppur scritto magnificamente ci darà l'impressione di leggere qualcosa di "sottotono". È solo questione di tempo, procedendo con la lettura del capitolo successivo il lettore noterà come questa fosse una scelta dell'autrice (che dimostra in questa come in tutte le altre opere di non ricercare necessariamente l'apprezzamento di più lettori possibili ma di fare ciò che sente di voler fare) e non un difetto dell'opera. Lo stesso si potrà notare con il ritmo di lettura che sarà lento solamente quando lei lo vorrà e che salirà ad ogni capitolo.
Il finale, invece, non mi è piaciuto. L'idea che mi sono fatta dell'autrice si rispecchia solo in parte in questa conclusione, non del tutto "ovvia" ma ben diversa da quella che mi aspettavo. Vi è un vero e proprio salto, più concettuale che temporale, nel sesto capitolo che porta ad una situazione molto differente senza che il lettore abbia l'opportunità di abituarsi all'idea. Le spiegazioni, come sempre in questa scrittrice, ci sono ma non sono complete ed esaustive, al lettore viene lasciata gran parte dell'interpretazione.
L'ambientazione è presente ed anche accurata nell'estetica. Non ha, però, la grande rilevanza che ci si potrebbe aspettare da un'autrice così attenta a questo aspetto in altre sue opere. Sono tante le particolarità della casa abitata dalla protagonista o dei luoghi da lei visitati che ci rimarranno in mente, ma esse non assumeranno mai un ruolo determinante, rimarranno accessori che potranno aiutare il lettore a spingere l'interpretazione in un verso o nell'altro.
Non è dimostrato che il suo equilibrio personale venisse alterato dalla pendenza del pavimento né si poté dimostrare che fosse stata lei a svellere il palazzo dalle fondamenta; è innegabile tuttavia che l'uno e l'altro cominciarono a smottare all'incirca nello stesso periodo.
In conclusione, Shirley Jackson è stata una grande scrittrice. Ciò che apprezzo maggiormente in lei è l'evidente volontà di scrivere ciò che sentiva senza indulgere in scelte scontate o maggiormente commerciali. Quasi mi stupisco che sia così famosa ai giorni nostri e che i lettori siano riusciti, in gran quantità, ad entrare nella sua mentalità e a capirla, essendo una donna e un'autrice assolutamente unica.
Tutti i suoi libri valgono la pena di essere letti, proprio grazie alle sue enormi capacità di scrittura e, anche se Lizzie è quello che ho amato meno, ritengo che meriti di essere letto proprio come tutte le altre opere. Quindi lo consiglio.
Non concordo con coloro che lo sconsigliano come prima lettura, anzi, penso che sia particolarmente adatto proprio per dimostrare cosa, effettivamente, significa leggere un libro di Shirley Jackson.