Credevi di averne già fatti tanti di compromessi ma sono niente in confronto a quelli che ti aspettano.
Ruggine americana è il romanzo d'esordio di Philipp Meyer, scrittore statunitense che, dopo quest'opera, è divenuto subito celebre.
Di quest'autore ho letto poco tempo fa Il figlio, secondo (e per ora ultimo) romanzo, pubblicato ben cinque anni dopo il volume che mi accingo a recensire oggi. Ho apprezzato talmente tanto l'opera che ho deciso immediatamente di acquistare e leggere il primo libro pubblicato dall'autore, ed oggi ve ne parlerò.
Ammetto da subito che pensavo che Ruggine americana fosse ancora più bello del suo seguito. Ora che ho terminato la lettura, mi sento invece di affermare che la sua seconda opera è nettamente superiore, nonostante si tratti di livelli talmente elevati da rendere superfluo il paragone: entrambi andrebbero letti da ogni tipo di lettore.
Cercherò di non soffermarmi troppo sulle differenze tra i due libri, in caso vi interessassero fatemelo presente e provvederò a fare un articolo apposito.
Ruggine americana è un romanzo di 388 pagine diviso in sei parti. Questa particolarità della struttura non è fondamentale e aiuta più che altro a destreggiarsi tra i diversi momenti topici della storia. Non vi sono salti temporali rilevanti nella narrazione, perciò capita spesso di ritrovare il personaggio proprio al punto in cui l'avevamo lasciato. Ogni capitolo è raccontato dal punto di vista di un diverso punto di vista; non ci sono mai due capitoli consecutivi basati sulla stessa persona.
I personaggi principali di cui è presente almeno un capitolo li troverete scheda personaggi.
La storia può essere considerata quella di un romanzo di formazione che mostra come il famoso American Dream sia fatuo ed effimero per alcune tipologie di persone o in determinate posizioni geografiche. I due veri e propri protagonisti, infatti, sono due ragazzi molto dotati, sebbene in aspetti differenti e che, a causa del loro retaggio, non sono riusciti a seguire la strada migliore, quella che avrebbe potuto portarli al riscatto.
Uno di loro, Isaac, decide ad inizio libri di fare qualcosa per cambiare la propria vita, ma il destino sembra volerlo ostacolare in ogni modo.
Lo svolgimento vede il dipanarsi di una storia complessa ma realistica. Le vite e i problemi dei personaggi principali vengono dispiegate davanti al lettore, capitolo per capitolo e, sebbene ciò che succede sia ben ponderato e non frenetico, la trama finale risulterà avvincente e non scontata.
Le storie dei diversi personaggi sono fortemente intrecciate, ma per ognuna di esse si sarebbe potuto fare un romanzo a parte.
Il ritmo di lettura è medio poiché la velocità, ispirata dalla struttura alternata, viene in parte rallentata dalla grande introspezione.
Essendo un romanzo corale saranno molte le variabili prese in considerazione, è impossibile e anche superfluo elencarvele tutte.
Ciò che importa sapere è che sebbene vi sia un enorme differenza di età, intelligenza, carattere e condizione di vita tra i personaggi principali, potrete notare come tutti siano, a loro modo, profondi. Anche quando commettono sciocchezze o agiscono in modo crudele non lo fanno con leggerezza: sono consapevoli di tutte le implicazioni, pratiche ed emotive. Spesso e volentieri troviamo pagine relative ai loro pensieri riguardanti il medesimo avvenimento e questo può rendere la narrazione più lenta. È, però, anche un modo per comprendere la capacità di Meyer di donare spessore alle proprie creature. È difficile, se non impossibile, ricordare che non si tratta di persone realmente esistite.
L'ambientazione è Buell in Pennsylvania. Le descrizioni ambientali sono presenti ma fanno solamente da sfondo alla vicenda.
La cittadina viene presa come esempio di qualcosa che può accadere ed accade, non per una sua valenza particolare.
Anche le tempistiche sono chiare ma non costantemente evidenziate.
Ciò che percepiamo davvero riguardo al luogo in cui si svolge gran parte della vicenda, è la sua atmosfera. Buell, infatti, è una piccola cittadina che ha lasciato ormai alle spalle i propri tempi rigogliosi e che, oggi, offre ai suoi abitanti una vita piatta e priva di realizzazione.
Si tratta di un luogo che pare fermo nel tempo, dove tutti conoscono tutti e diventare qualcosa d'altro sembra impossibile.
La ruggine, più che nell'estetica, sembra pervadere tutto, persinoi cuori dei suoi abitanti, ma non tutti vogliono arrendersi a questa condizione ed è da questo input che partirà la vicenda.
Sin dal titolo del romanzo, infatti, possiamo comprendere che lo scopo di Meyer è quello di inviare un messaggio totalmente unpolitically correct, specialmente se consideriamo l'immagine tipica degli Stati Uniti: non è vero che in America è tutto splendente e semplice, ci sono luoghi in cui tutto è ricoperto dalla ruggine e pare impossibile farlo tornare a brillare. È più semplice lasciarsi andare ad un destino ormai segnato che forzare la mano e cambiare la propria esistenza, ma è effettivamente possibile cambiare ciò che sembra inesorabile?
Alla fine era solo ruggine. Ecco la vera essenza di quel posto.
Meyer ha uno stile solo suo, ben riconoscibile e molto curato.
I capitoli che scrive sono incentrati sul protagonista dello stesso, perciò oltre la narrazione che potremmo ritenere più comune (in terza persona) troviamo anche flussi di coscienza totalmente spiazzanti che riportano i pensieri del soggetto in questione. Ciò implica che in alcune frasi ci saranno poche virgole e la nostra lettura scorrerà talmente veloce da indurci a tornare indietro e rileggerla per poterla comprendere meglio e che l'utilizzo delle parole rispecchierà il linguaggio che i personaggi ritengono idonee al momento, oltre a differenziarsi a seconda della loro cultura e personalità. Questa particolarità può essere dapprima difficile da concepire per il lettore ma, una volta abituati, si noterà quanto questa scelta (poiché resa ottimamente e non solamente abbozzata) dia quel tocco in più all'opera. Pensare che questa sia un romanzo d'esordio e notare questa maestria nell'utilizzo del linguaggio, fa capire al lettore l'enorme potenziale posseduto dall'autore.
La particolarità appena descritta è presente sin dall'incipit, vi invito a dare un'occhiata all'estratto presente su Amazon e a giudicare se questo stile narrativo fa per voi, sono infatti i capitoli di Isaac ad essere i più complessi da questo punto di vista. Se siete in dubbio, però, vi esorto a dargli fiducia: vi ci potrebbe volere un po' ma poi non potrete più farne a meno.
I migliori autori, secondo me, sono quelli unici e, proprio per questo, più difficili. I loro scritti sono fuori dal comune ed uscendo dal conosciuto creano una fatica iniziale nell'approccio del lettore, ma una volta capiti dimostrano tutta la loro bravura e restano impressi molto di più di coloro che capiamo immediatamente e non ci inducono al benché minimo sforzo mentale.
Il finale è coerente con la narrazione e, forse, anche un po' inaspettato. Il problema con i romanzi corali è che da dire ci sarebbe sempre molto di più di quanto effettivamente si possa inserire in un numero di pagine finito.
Io non mi accontento mai, e se il volume avesse avuto anche mille pagine in più, avrei sentito di non aver letto abbastanza.
In conclusione, Ruggine americana è il romanzo statunitense per eccellenza, nonostante ci mostri una parte dell'America che tendiamo a non considerare: quella senza speranze e della povertà.
Lo consiglio a tutti. Se avete intenzione di leggerli entrambi vi consiglio di iniziare da questo che, anche se non vi sembrerà, è molto più semplice ed immediato.