Timbuctù

Di Paul Auster

Einaudi

151 pagine

9/10

Consigliato: Sì

Contemporaneo

Statunitense

Cani

TRAMA IN BREVE

Mr Bones, cane di sette anni, sta per perdere il suo padroncino, Willy. Cosa ne sarà ora di lui? 

DEDICA

A Robert McCrum

INCIPIT

Mr Bones sapeva che Willy non sarebbe rimasto a lungo in questo mondo. La tosse era dentro di lui da più di sei mesi, e non c'era ombra di possibilità che se ne liberasse.

RECENSIONE

Un cane non avrebbe mai fatto un errore così grossolano.

Timbuctù di Paul Auster era un azzardo.

Da amante dei cani, ma non dei libri che cercano in tutti i modi di far piangere il lettore con storie strappalacrime, sono sempre guardinga prima di acquistare un libro di questo genere. 
I romanzi eccessivamente basati sui sentimenti e le emozioni (soprattutto se non supportati da altro), non fanno per me e capita spesso che quelli riguardanti gli animali puntino verso questa direzione.
Paul Auster, però, è un autore che mi ha già dimostrato le sue capacità, perciò ero davvero curiosa di scoprire se sarebbe riuscito a non deludermi anche in questa particolare tipologia di romanzo.

Timbuctù racconta la storia dal punto di vista di un cane di 7 anni: Mr Bones. Questo cagnolino è enormemente intelligente e ragiona, forse, in maniera più umanizzata di quanto noi potremmo abitualmente attribuire alla mentalità dei nostri cuccioli ma, al contempo, mantiene la sua caninità, che si estrinseca in un pensiero genuino, innocente e dolce. Ancora una volta lo scrittore riesce a trovare un punto di equilibro tra la sua originalità e la veridicità: il protagonista diventa così un cane fuori dal comune ma assolutamente credibile e, soprattutto, coerente con ciò che viene raccontato.

Mr Bones capì. Lui capiva ogni cosa che gli diceva Willy. A quanto poteva ricordare era così da sempre, e a questo punto la sua conoscenza dell'ingluso non era inferiore a quella di qualsiasi altro immigrato che calcasse la terra americana da sette anni.

Lo stesso si può dire dello stile. Difficilmente avrei potuto considerare scritto altrettanto bene un romanzo narrato in modo semplice ed eccessivamente lineare: trattandosi del racconto di un cane, è faticoso aspettarsi dei voli pindarici e degli esercizi di stile.
Paul Auster, invece, fa pensare Mr Bones in maniera intellettuale, con parole complicate e ragionamenti non sempre semplici. Abbina però, ad essi, una mentalità canina che permette di considerare il tutto credibile. 
Perché riconosciamo sì, l'incredibile cultura di questo cagnolino, ma non c'è mai un solo momento in cui Mr Bones ci sembri un umano qualsiasi: lui è sé stesso e deve tutto quello che sa degli umani, al rapporto da pari instaurato con il suo padrone: Willy.
La narrazione è in terza persona ma si focalizza sulle conoscenze di Mr Bones.

In quel momento, se ne fosse stato capace avrebbe sorriso. Se fosse stato capace di piangere, avrebbe pianto. Anzi, se era possibile una cosa del genere, avrebbe riso e pianto insieme, per esaltare e deplorare l'amato padrone che presto sarebbe scomparso.

Gli altri personaggi (poco numerosi) sono tutti raccontati secondo il punto di vista del protagonista. Anche qui, Mr Bones, dimostra una capacità straordinaria: riuscire a capire i "suoi umani" sia per la loro mentalità che per la propria. Lui dimostra, cioè, di conoscere gli uomini e quello in cui credono, ma li giudica con un metro di paragone tutto suo che non tiene affatto conto di ciò che, per lui, è poco importante. 

Nel romanzo sono molti i luoghi citati; fra tutti un ruolo importante l'hanno Brooklyn, luogo in cui vivono ufficialmente Willy e Mr Bones e Baltimora, luogo in cui si apre la vicenda. Le descrizioni ambientali sono particolari perché, anch'esse, sono filtrate dal diverso approccio che un uomo e un cane possono avere nel descrivere un luogo. Mr Bones si sofferma sugli odori e sulle sensazioni, un umano, invece, si soffermerebbe maggiormente sull'estetica.
L'anno in cui si svolgono le vicende è il 1993, ma l'autore indugia molto anche sulle vicende passate. Anche quelle antecedenti alla nascita del nostro piccolo protagonista.

A Mr Bones Baltimora non stava antipatica in sé. Non aveva un odore più cattivo di qualunque altra città dove si erano accampati in quegli anni; ma pur comprendendo la finalità del viaggio, lo addolorava il pensiero che un uomo potesse decidere di passare gli ultimi momenti della sua vita in un posto che non aveva mai visto. 

L'atmosfera è  l'elemento più difficile da valutare oggettivamente. Come ho già anticipato, l'argomento animali mi rende particolarmente sensibile, perciò è molto più semplice per me, piuttosto che per un altro tipo di lettore, emozionarmi davanti alla lettura. Cercherò perciò di dire solo ciò che penso possa essere oggettivo: Paul Auster non esagera mai.
È evidente che un romanzo che parla di un cane dal suo punto di vista, possa avere momenti teneri, dolcezza e ingenuità. Lo scrittore, però, non indugia mai eccessivamente su di esse. Non cerca di calcare la mano sulle emozioni, si limita a raccontare ciò che è.
È proprio questo aspetto ad avermi totalmente convinta: da scettica come sono, se avessi avvertito una qualche forzatura da parte dell'autore, nel tentativo di farmi provare ciò che desiderava provassi, mi sarei immediatamente chiusa a riccio, cosa che mi capita, infatti, con molti romanzi sentimentali che giocano molto su questo aspetto.
La sensazione che ho percepito, è quella di stare leggendo veramente i pensieri di Mr Bones e lui, non avendo l'indole maliziosa degli esseri umani, non avrebbe mai potuto dirmi qualcosa solamente per captatio benevolentiae. 
Si limita semplicemente a raccontare la sua verità, che poi essa sia dolce o cruda, non è altro che una conseguenza inevitabile.

Mi segui, Mr Bones? Sei ancora con me?
Mr Bones lo seguiva, Mr Bones era ancora con lui.

L'incipit del libro mostra già quanto ho appena dichiarato. Ecco i fatti; Willy il padrone di Mr Bones sta morendo, e lui lo capisce, lo sa. 
Per quanto la frase sia ben scritta e possa portare all'emotività, è chiaro che Auster non voglia indugiare solamente su questo aspetto, limitandosi a riferire i fatti che, già da soli, permettono al lettore di empatizzare con i personaggi.

La trama si basa principalmente sul concetto di dipendenza tra un cane e il suo padrone.
Come farà Mr Bones senza il suo Willy? È quello che l'autore ci porta a chiederci e a cui tenta di rispondere.

Del resto non erano quelli i patti? L'uomo ti procura il cibo e un posto per dormire, e tu lo ripaghi con eterno amore e fedeltà.

Dello svolgimento posso parlare poco perché non vi voglio fare alcun tipo di anticipazione: posso solo dire che ritengo che sia l'unico punto in cui il romanzo si perde un po'.
Ciò che è raccontato è fondamentale per l'andamento della storia, ma mi ha dato l'impressione di essere troppo veloce, si sofferma troppo poco su alcuni aspetti che se, approfonditi, avrebbero potuto occupare pagine e pagine. 
Non è una novità che io preferisca la prolissità all'eccessiva sintesi, molti altri lettori avranno sicuramente l'impressione contraria.
D'altro canto, Paul Auster aggiunge sempre nei suoi scritti, digressioni che potremmo definire particolari e che, con il romanzo in sé, paiono centrare poco. In questo libro il flashback "speciale" è relativo a Willy e al giorno in cui ha parlato con Babbo Natale (quello vero).  

Che a quelle barzellette ci credessero gli altri. Il Natale era un imbroglio, una stagione di soldi facili e registri di cassa che trillavano; e Babbo Natale, simbolo e scena madre di tutta la commedia conquista, era la fandonia più madornale di tutte.

Il finale. Ogni volta che leggo un libro di Paul Auster, arrivo verso la conclusione con una sfiducia totale nei suoi confronti.
La struttura dei suoi libri è sempre talmente particolare, che temo ogni volta che non riesca a far quadrare tutti gli elementi.
Eppure, in ogni occasione (come del resto troverete riscontro nelle mie recensioni), questo autore non riesce solo a convincermi e a rendere il tutto credibile, ma riesce anche a stupirmi, a farmi dimenticare come avrei voluto che finisse.
Perché dopo aver letto un suo finale, io sento sempre che quello sarebbe potuto essere l'unico possibile.
La chiusura del cerchio è sempre perfetta.

Per quanto riguarda il ritmo di lettura, la sensazione che se ne avrà, dipenderà molto dalle aspettative riposte nella stessa: non si tratta di un libro leggero o di semplice intrattenimento, bisogna sapere a cosa ci si sta approcciando prima di iniziarlo.
Si tratta di un romanzo che, come ho già anticipato, vede nella qualità e nella scrittura il proprio punto di forza. Non si tratta di un romanzo adrenalinico o sentimentale, perciò se si ricercano eccessivamente questi aspetti, potrebbe deludere.
Io, che cercavo esattamente ciò che Auster mi ha offerto, l'ho divorato. È una lettura veloce e non impegnativa, ma per poterla assimilare al meglio (proprio perché Auster non calca su certi aspetti) è necessaria, per me, una riflessione.
Paradossalmente, mentre lo leggevo, presa dalla lettura ritmata, sono riuscita a rimanere più distaccata. Oggi che, invece, ne ho riletta buona parte per trascrivervi le citazioni, e avendo perciò modo di soffermarmi ulteriormente sulle frasi e le parole scelte dal nostro narratore, ne ho sentita molto di più l'emotività.
Invito, perciò, a non leggerlo superficialmente e, anche se scorre velocemente, dategli il tempo (anche a fine lettura) di darvi qualcosa in più.

L'ultima parola per il messaggio. Non voglio dirvi cosa rappresenta Timbuctù perché, per me, anticiperebbe troppo (nella sinossi data dall'editore però i più curiosi la possono trovare) ma il concetto espresso da questa parola è al contempo splendido e orribile.  
Anche qui, con una semplicità spiazzante, Auster riesce ad esprimere un concetto importantissimo con un'unica parola.

Tim-buc-tù. Ormai il suono della parola bastava a renderlo felice. La scambia combinazione di vocali e consonanti non mancava quasi mai di agitarlo nel profondo dell'anima, e ogni volta che le tre sillabe affluivano dalla lingua del padrone, un'ondata di misterioso benessere si frangeva per tutta la lunghezza del corpo... come se la semplice parola fosse una promessa, una garanzia di tempi migliori.

In conclusione, Timbuctù è un libro valido, ben scritto e unico nel suo genere.
Potrà probabilmente piacere maggiormente a chi ama i cani o che, comunque, li considera degni di rispetto e amore, ma non è adatto a chi desidera leggerlo solamente per questo aspetto.
La firma di Auster è ben riconoscibile e, ancora una volta, le sue maggiori qualità sono state riconfermate.

Lo consiglio a tutti, perché trovare un buon libro, intelligente e curato, che riesca al contempo ad esprimere purezza e veridicità è raro. 
Probabilmente a causa della brevità e dello svolgimento rapido si sarebbe dovuto meritare solamente un 8 e mezzo, ma io sono un essere umano e mi riservo il diritto di dargli un bel 9: non ha la complessità di 4321, ma anche Timbuctù rimarrà dentro di me per sempre, forse anche di più.

CURIOSITÀ

Paul Auster si fa sempre riconoscere. In tutti i suoi romanzi che ho letto lui è lì: viene citato sempre un suo omonimo o, addirittura, lui stesso. Anche questa volta succede, per quanto il suo nome non venga fatto esplicitamente ad un certo punto del romanzo Mr Bones si ricorderà di un amico scrittore del padrone.. Un tale di nome Auster, Omster, roba del genere.

CITAZIONI

Cosa poteva fare un povero cane? Mr Bones era stato con Willy da quando era un cucciolo neonato, e ormai gli era praticamente impossibile immaginare un mondo senza il suo padrone.

Willy aveva scritto l'ultima frase della sua vita, e gli restavano pochi tic tac d'orologio.

Se c'era una giustizia nel mondo, se il dio canino aveva qualche influenza sul destino delle sue creature, allora il migliore amico dell'uomo sarebbe rimasto al fianco dell'uomo dopo che sia l'uomo sia il migliore amico avevano tirato le cuoia.

Nel momento in cui Willy tese la mano e incominciò ad accarezzare la sommità di quella testa, nel cuore afflitto del cane ritornò un po' di calma. Fu solo momentanea, naturalmente, e illusoria, ma questo non significa che non fu una buona medicina.

Certo, in Italia. La bella Italia, terra del pianto, del canto e del vin santo...

Questa era un'altra cosa da ricordare, si disse. I piccioni volano, i cani no. Forse i piccioni saranno anche più stupidi dei cani, ma è proprio perché al posto del cervello Dio ha dato loro le ali; e per avere la meglio su quelle ali un cane deve arrangiarsi e valersi di tutti i trucchi che la vita gli aveva insegnato.

Basta con i bambini. Mai più umani minori di sedici anni, soprattutto se maschi. Mancavano di compassione, e se le sottrai questa qualità un'anima su due zampe non è migliore di un cane pazzo.

Non aveva la minima idea di dove stesse andando, ma sapeva di non poter fermarsi, di dover continuare a correre finché le gambe non cedevano o il cuore non gli scoppiava nel petto.

Evidentemente apparteneva a quella categoria di uomini che si appagano di più trasportando scalette o piantando chiodi in un'asse che chiacchierando un po' con la moglie e figli.

Il mondo era pieno di meraviglie, ed era proprio una tristezza che un uomo passasse il tempo ad angustiarsi per le cose storte.

Forse era viziato, ma il suo vademecum per la felicità canina prevedeva qualcosa di più di sentirsi desiderati. Bisognava sentirsi necessari.

QUARTA DI COPERTINA

Abituati a viaggiare insieme sulle strade americane, Willy, poeta giramondo, e Mr Bones, cane dalla spiccata intelligenza, vengono separati dai freddi giochi del destino. Mr Bones dovrà imparare a cavarsela da solo e a difendersi anche da chi sembrerà volerlo aiutare. Così continuerà a fuggire, finché in lui si farà strada la convinzione di poter raggiungere Willy a Timbuctù, terra favolosa dove uomini e cani parlano la stessa lingua e conversano da pari a pari. Che cosa sia davvero Timbuctù, Mr Bones non lo sa, a parte qualche frase sibillina buttata lì da Willy nei suoi discorsi di poeta maledetto e infaticabile clochard. Eppure è proprio in quel luogo che un brutto giorno il poeta se n'è andato lasciando solo il fedele quadrupede.

PRO / INDIFFERENTE / CONTRO
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