Che senso ha vivere se alla fine non si muore?
Come ultima recensione dei libri letti a Febbraio, eccomi a parlare di Zero K di Don DeLillo.
Il libro che, senza dubbio, ho apprezzato di più in questo mese non del tutto fortunato, in quanto a qualità di letture.
Don DeLillo è un autore definito postmoderno, questo significa che nei suoi romanzi si trovano sempre elementi collegabili alla modernità che vengono visti come influenze negative per la società. I suoi libri, dunque, per quanto diversi l'uno dall'altro, sono simili tra loro nel messaggio: la critica alla società è l'elemento fondante della loro esistenza.
Per lo stesso motivo i libri di DeLillo, per quanto non puramente appartenenti al genere, possono essere associati ai romanzi distopici; come loro ci mostrano una società che speriamo non corrisponda a quella reale, ma, mentre il mondo distopico ci appare come possibile ma non ancora attuale, nel caso di un romanzo DeLilliano, non siamo poi così certi che, effettivamente, non si tratti già di una realtà esistente, ma che ancora non abbiamo potuto individuare a dovere.
Tutto questo sta succedendo nel futuro. Questo futuro, questo istante. Se non riesce ad assimilare quest'idea, è meglio che torni immediatamente a casa.
Ciò che, inoltre, contraddistingue DeLillo, è il suo modo di scrivere. Non si tratta di un romanziere da leggere con disimpegno perché, il rischio, è quello di perdere tempo inutilmente. Questo autore parla di argomenti che possono addirittura essere considerati agghiaccianti, ma l'aura dell'intera lettura è onirica e appannata. Quando si legge un romanzo di questo autore si entra in una bolla creata da lui a sua immagine e somiglianza, se lo si capisce, ciò che ti fa vedere e pensare ti fa venire i brividi se, invece, non si riesce ad entrare in contatto con la sua mentalità, si rischia di terminare il libro senza essere riusciti nemmeno a capire dove la storia volesse andare a parare.
Il suo stile è quanto di più unico si possa trovare, nessun altro potrebbe imitarlo, probabilmente nemmeno se stesso, dato che dà l'impressione di cambiare, pur mantenendo i tratti comuni, ad ogni nuovo romanzo, come se fosse il libro a decidere come farsi raccontare.
Come tutti i più grandi scrittori, all'interno dei suoi volumi troviamo riflessioni sulle parole e sul linguaggio. Il rapporto dei suoi personaggi con le parole è maniacale, frutto di un lavoro che va ben oltre il semplice esercizio di stile.
Poteva essere stata una semplice battuta, ma questa cosa mi spinse a prendere il dizionario e cercare il significato della parola. Donna volgare, sguaiata. Dovetti cercare sguaiato. Persona scomposta, scurrile. Dovetti cercare scurrile. Il dizionario mi riportò a sguaiato. Da gaio. Dovetti cercare gaio. Significava allegro, giulivo. Dovetti cercare giulivo.
È per questo motivo che credo che Zero K sia un romanzo che non può piacere a tutti. Il caro Don è strano e, come tutte le persone strane, riesce ad essere capito solo da chi, in parte, riesce ad immedesimarsi in lui.
Il libro si divide in tre parti, o meglio in due parti più un intermezzo. Di quest'ultimo non vi parlo nello specifico perché sarebbe anticipare qualcosa che, in realtà, nemmeno potrei spiegare esaurientemente. Le due parti principali, invece, sono simili tra loro.
Nella prima, che si chiama Čeljabinsk, troviamo il 90% della storia. Questo significa che, una volta affannatisi il più velocemente possibile per giungere alla seconda parte, si rischierà di avere una grossa delusione, perché tutte le aspettative dal punto di vista della storia crollano miseramente, lasciando spazio solamente al resto.
– Čeljabinsk, – ho detto io.
Ha lasciato che l'eco di quel nome risuonasse. Il nome in sé era una giustificazione. Eventi del genere capitano davvero. Quelli che so dedicano al verificarsi di simili eventi, di qualunque entità essi siano e a prescindere dai danni causati, non hanno a che fare con delle mere fantasie.
La seconda parte, Kostjantivka, è maggiormente orientata sulle sensazioni. È il momento in cui tutto ci appare ancora più evidente e si riesce a dedurre la portata di quanto raccontato nella vicenda.
Ma io devo aspettare, ho bisogno di rivederlo. I carri armati sfilano lungo una strada con scritte in caratteri cirillici e latini. Kostjantivka. Sopra il nome c'è il rudimentale disegno di un teschio.
La trama di Zero K è piuttosto limitata: posso dirvi che si parla di crioconservazione e che non è il protagonista colui che la dovrà affrontare ma, dicendo di più, dovrei necessariamente anticiparvi qualcosa. Vi sconsiglio, infatti, di leggere la sinossi: dopo averla letta non vi rimarrà niente di più da scoprire, per quanto riguarda la trama del libro.
I lettori che leggono un romanzo prevalentemente per la trama avvincente, potranno rimanere delusi da Zero K: succede ben poco. La forza di questo libro, però, non è la storia, essa non è altro che la base su cui poter costruire l'opera vera e propria.
Trovo che l'idea iniziale da cui scaturisce il tutto sia, in realtà, appetibile per molti: l'idea dell'ibernazione, per quanto non sia così futuristica, dato che in effetti è già in uso, è un input che porta ad immaginare uno sviluppo fantascientifico alla Philip K. Dick.
Per questo motivo lo svolgimento vi lascerà maggiormente delusi: non solo non si approfondisce questo aspetto, viene completamente messo da parte per mostrarci meglio il mondo attuale, quello che già sta accadendo e che, forse proprio per questo, non viene guardato con la giusta attenzione.
L'ambientazione del libro è ben descritta nell'estetica: porte chiuse, al fianco di altre porte, tutto bianco, senso di vuoto, uno schermo che mostra atrocità, il dubbio se esse siano veramente accadute o meno. Viene anche geograficamente collocato ma non è questo ad importare, perché ciò che fa la differenza è che questo luogo possa realmente esistere, anche nel momento in cui si sta leggendo.
Convergence potrebbe essere in nessun luogo come in molti, saremmo pronti a collocarlo immediatamente in un luogo desertico e difficile da raggiungere e nella nostra immaginazione c'è e, forse, un giorno lo vedremo.
Quest'ambientazione è suggestiva perché crea un mondo a parte in una realtà che converge alla perfezione con quella che conosciamo.
La percezione dell'atmosfera è, da sempre, un aspetto che ritengo molto soggettivo: in questo caso lo è ancora di più.
La sensazione di oppressione, ansia e preoccupazione crescente si verifica solamente se, effettivamente, si riesce ad entrare all'interno della storia. DeLillo non ti prega di entrarci, si limita ad andare avanti e tu o ci sei, o non ci sei.
Lo stesso titolo è una bugia, una finzione puramente estetica, qualcosa che rappresenta ciò che si dovrebbe provare nei confronti di quanto ci viene raccontato.
La guida ha spiegato il significato di Zero K. Il suo racconto era meccanico, con pause e riprese prestabilite; ha parlato dello zero assoluto, un'unità di misurazione della temperatura, che corrisponde a meno duecentosettantatre virgola quindici gradi Celsius. Ha fatto menzione ad un fisico di nome Kelvin, era lui la K della definizione. Tra le cose che la guida aveva da dirci, la più interessante era il fatto che la temperatura impiegata nella crioconservazione in realtà non si avvicina allo zero K.
L'incipit di questo libro non mi ha convinta, con DeLillo ho un rapporto stranissimo: ogni volta che inizio un suo romanzo, di primo acchito non mi piace. Usa paroloni che mi sembrano messi a caso, inserisce troppi concetti di economia e gergo inutilmente specifico, c'è una totale freddezza del linguaggio, e si può provare una difficoltà di comprensione su quanto sta accadendo, perché tutto inizia in medias res o, ancora peggio, con flashback apparentemente privi di significato per il tema principale.
Dopo due pagine, invece, non sono più io, vengo risucchiata all'interno del romanzo e comincio a capire tutto, a percepire, a dimenticare la sensazione precedente. Io di questo autore non mi fido mai eppure ogni volta lui riesce a stupirmi, a trasportarmi in un luogo in cui solo con lui sarei potuta andare.
Può capitare, perciò, che l'incipit possa risultare ostico o anonimo anche per voi, andate avanti ancora un po' per vedere se la sensazione cambierà, come succede sempre anche a me.
Ho terminato il romanzo alla velocità della luce e penso che chi lo apprezzerà farà altrettanto. La necessità di vedere cosa succede poi, pur non accadendo quasi nulla, è tangibile, ti trascina fino alla fine. Se, invece, non si riuscirà ad apprezzarlo (ipotesi che non ritengo improbabile) lo si troverà lento, indigesto, probabilmente anche inutile. Anche il ritmo è, perciò, soggettivo.
Sicuramente non si tratta, di un libro leggero e, quindi, oggettivamente scorrevole.
I personaggi del romanzo sono approfonditi solamente per delle loro particolarità o per dichiarazioni che essi fanno al protagonista. Non vengono scavati nel profondo, eppure acquisiscono una vividezza non comune. So che mi rimarranno impressi nella mente a lungo.
Più che parlare, lui raccontava. Tracciava una linea ondulata, la sua, e quasi sempre trovava qualcuno disposto a essere il corpo a caso a cui raccontare le sue storie.
E, come ultima cosa, il finale. Molto evocativo e positivo, inaspettato dopo un romanzo di questo tipo, seppure di libera interpretazione. È significativo, ma non l'ho apprezzato pienamente. Come nell'incipit provo una sensazione di estraneità, così nel finale mi sento spinta fuori dal mondo del libro. I romanzi di DeLillo hanno il terribile difetto di terminare; quando succede finisce tutto, scompare la magia. Certo, gli spunti di riflessione rimangono importanti, ma tutto quello che si è provato durante la lettura rimane un ricordo, una sensazione rimasta tra te e lui, che non potrai mai riprodurre nuovamente, che non potrai spiegare.
È per questo motivo che per me è veramente difficile raccontarvi davvero questo libro; non è oggettivamente definibile e tutti gli schemi del mondo non potrebbero racchiuderlo al loro interno.
In conclusione, è un libro che, secondo me, si può solamente amare od odiare per il tempo impiegato male; la sua lettura può darvi moltissimo, come lasciarvi totalmente indifferenti, ma scocciati di aver perso del tempo a leggere qualcosa che, alla fine, non è rimasto dentro di voi.
Io l'ho apprezzato molto perché lo stimolo mentale che dà un romanzo di DeLillo, ancora non sono riuscita a trovarlo in nessun altro romanziere. I suoi libri sono fatti di supposizioni, emozioni, sensazioni, pensieri strani, dubbi e, persino, ipotesi di teorie del complotto perpetrate dal Governo contro i suoi cittadini. Non va letto come un saggio ma neppure come un libro qualunque, è una bolla di pensiero che, se riesce a scoppiarti dentro, distrugge ogni tua certezza. Il suo compito è farti pensare alle conseguenze di quanto raccontato, di mostrarti quello che non vuoi vedere o che nemmeno sei mai riuscito ad immaginare, non sempre ci riesce, ma quando lo fa è insostituibile.
Mi piaceva leggere libri che rischiavano di ammazzarmi, libri che mi aiutavano a dire chi ero, il figlio che legge quel genere di libri per far dispetto al padre.
Non è adatto a chi si vuole intrattenere, a chi vuole una lettura facile e disimpegnata e, anche se si cerca qualcosa di cervellotico, non è detto che piaccia. Io, però, lo trovo un capolavoro, la quintessenza di ciò che io considero la vera scrittura, perciò non posso che consigliarlo a tutti.
Prendete un DeLillo, leggetelo, dategli poche pagine di possibilità. Lo amerete o non vi dirà nulla.
Se lo amerete, leggetelo, finitelo e, quando sarà il momento giusto, leggetene un altro e sperate che la magia risucceda, che la bolla non sia scoppiata per sempre.
Se non lo apprezzate, abbandonatelo, la sensazione che provate ora, probabilmente non cambierà mai e, se lo farà, sarà tra molto, moltissimo tempo.
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Zero K, Super ET