Il figlio è il secondo libro di Philipp Meyer, autore divenuto famoso dopo la pubblicazione del suo romanzo d'esordio: Ruggine Americana.
Si tratta del primo libro che leggo di questo scrittore e, quindi, non posso paragonarlo al suo più celebre fratello. Mi limiterò, perciò, a raccontarvi delle caratteristiche di questo romanzo che, da sole, meriterebbero la grande fama che Meyer ha ottenuto.
Il figlio è un romanzo western che, grazie alla sua struttura, può essere considerato una saga familiare. Vi sono, infatti, tre racconti paralleli principali collegati a 3 punti di vista differenti, appartenenti alla stessa famiglia. (verso la fine ce ne sarà un altro, ma non ne parlerò per non anticiparvi nulla).
I tre punti di vista sono ambientati in anni diversi, hanno come protagonisti personaggi molto differenti tra loro e anche la tecnica stilistica utilizzata per ognuno di loro non è la stessa.
Il piano narrativo più lontano dal presente è quello di Eli McCollough, chiamato da tutti il Colonnello. Si tratta del capostipite della famiglia e il suo punto di vista inizia nel 1936, quando l'uomo ha ormai compiuto 100 anni. Questa parte è scritta come se l'uomo, rilasciasse una lunga dichiarazione sulla sua vita ed è in prima persona. A parte il momento iniziale ciò che leggiamo narra dalla sua gioventù (dal 1849) per procedere fino alla sua età adulta.
Il piano narrativo intermedio è relativo alla figura di Peter McCollough, figlio del Colonnello e pecora nera della famiglia. Il suo punto di vista è raccontato sotto forma di diario. Anche qui, dunque, troviamo una prima persona singolare ma, questa volta, al presente. I suoi scritti partono dal 10 Agosto 1915 e terminano il 13 Ottobre 1917.
Il terzo piano narrativo, quello più vicino al presente, appartiene a Jeanne Anne McCollough, pronipote del Colonnello e nipote di Peter. In questi capitoli troviamo la donna in difficoltà, ormai anziana e riversa sul pavimento. Non riuscendo a rialzarsi da questa posizione, la donna richiama alla mente il suo passato. Il suo punto di vista è ambientato nel 2012 ma, anche qui, le vicende narrate saranno prevalentemente legate ad anni più lontani, relativi ad infanzia, adolescenza e prima età adulta, fino ad arrivare al presente.
Questi tre differenti piani narrativi permettono non solo di conoscere l'evolversi della vicenda familiare dei McCollough ma mostrano al lettore le enormi capacità dell'autore, specialmente nella resa dei personaggi.
Non solo Meyer dona una personalità spiccata e non stereotipata ad ognuno di loro, ma differenzia il modo in cui loro vedono se stessi dal modo in cui, invece, gli altri li considerano.
Un esempio è il Colonnello, presente nelle storie di tutti e tre i punti di vista. Noi impariamo a conoscerlo nello stesso istante in tre modi diversi: quello in cui si racconta lui, per come lo vede Peter e per come, invece, l'ha conosciuto J.A.. Questo aspetto è forse più semplice da apprezzare leggendolo direttamente, ma è molto importante per la resa del racconto: rende la credibilità e la verosimiglianza il più possibile perché, anche nella vita reale, una stessa persona sarebbe diversa se raccontata da sé stessa, da chi lo odia e da chi lo ama.
Altra grande capacità è nell'evoluzione del personaggio e del suo pensiero: noi notiamo la sua psicologia cambiare passo dopo passo, senza che lui stesso se ne renda conto. Tutto ciò non viene esplicitato ma si arguisce attraverso l'utilizzo di parole diverse o tramite concetti che, prima, sarebbero stati detti in maniera differente. Per chi ama questo aspetto, Il Figlio potrà dare grandissime soddisfazioni.
La trama del libro varia a seconda della generazione della famiglia: nella parte del passato essa doveva ancora nascere, perciò l'autore ci racconta il retaggio di colui che, successivamente, riuscirà a creare l'impero che dovrà essere gestito dagli eredi. Qui si trova, perciò, la storia più dinamica e western: indiani, cavalli, frecce ed archi, scuoiamenti, scalpi e molto di più. Queste scene non saranno le uniche, attraverso questo racconto noi potremo imparare molto della vita che si faceva ai tempi, sia nel lato americano che tutti noi conosciamo, sia in quello degli indiani d'America, di cui il punto di vista, così dettagliato e non snaturato, non è così semplice da trovare in altri scritti di narrativa. È ricco, perciò, anche di storia, sebbene il ritmo della narrazione sia sempre sostenuto e non cada mai sull'accademico. Qui sono, dunque, l'adattabilità, la diversità, il cambiamento ad avere il ruolo principale. È una storia di pancia, vera e forte, difficile da assimilare e, per questo, molto potente.
C'erano cervi, tacchini, orsi, scoiattoli, alle volte bisonti, tartarughe e pesci di fiume, anatre, prugne e una selvatica, alberi cavi pieni d'api, cachi: la regione brulicava di vita così come oggi è infestata di gente. L'unico problema era tenersi lo scalpo attaccato alla testa.
Nella parte del diario ritroviamo, invece, la parte più umana. Qui epicentro della narrazione sono i sentimenti: l'orgoglio, la giustizia, l'infelicità, l'amore. Sono molte le emozioni che si susseguono nella mente di Peter, uomo profondamente diviso tra quello che gli è stato insegnato essere giusto e ciò che lui sente. Qui troviamo, perciò, la storia più di cuore.
Forse è per questo che resto costantemente deluso: dal mondo mi aspetto il bene, come farebbe un cagnolino. Così, novello Prometeo, sono straziato ogni giorno.
La terza parte è quella che, ai giorni nostri, potrebbe essere definita di Girl Power. Una donna fortissima, che ha combattuto tutta la vita per ottenere quello che un qualsiasi uomo, anche quello più misero, ottiene di diritto sin dalla nascita. Qui si parla maggiormente di intelletto e di capacità: è il cervello a prevalere.
Mica per lamentarsi, ma continuava a sembrarle strano che quanto venisse considerato un pregio negli uomini – il bisogno di eccellere in tutto, di diventare persone importanti – in lei venisse visto come difetto di personalità.
Nonostante quanto appena detto, non faticherete a notare che in tutte e tre le storie, per quanto diverse, vi sarà un connubio di tutto: anche solo una di esse sarebbe bastata per scrivere un romanzo degno di nota.
L'incipit parte con la storia di Eli McCollough. Questa inizio è, sicuramente, il più difficile da apprezzare. Il motivo è semplice: la struttura complessa e le diverse misure stilistiche non aiutano il lettore a comprenderne il funzionamento da subito. Ci vuole tempo e una pazienza iniziale che, poco dopo, verrà ripagata con una comprensione totale e completa. Se all'inizio i tre punti di vista differenti possono confondere, appena metabolizzati diventeranno un tutt'uno: impossibile fare a meno di uno di loro.
Il finale è apprezzabile e conclusivo, ma si accetta con difficoltà. Lasciare il racconto di questa famiglia fa male, non si vuol credere di aver già letto tutto ciò che c'era da sapere.
Il ritmo di lettura è crescente. Solo la confusione iniziale può indurre a non macinare pagine su pagine. Superata la seconda terzina (i tre punti di vista si susseguono sempre alternati) il lettore avrà ormai compreso tutto e leggerà speditamente. Si tratta di un romanzo non breve (565 pagine possono spaventare) ma si legge in poco tempo, complice l'alternarsi dei capitoli (mai troppo lunghi) che induce a chiedersi "cosa succede dopo".
Lo stile dell'autore è adatto al genere, cambia con il mutare del puto di vista e, in nessun caso, annoia o stona.
Alla resa dell'atmosfera concorrono molti fattori, credo che per tutti coloro che riusciranno ad entrarci, superando lo scoglio psicologico che possono creare la struttura articolata e/o le scene violente presenti all'inizio del libro, riusciranno ad assaporarla e a rimpiangerla una volta chiuso il volume.
L'ambientazione ha su di me un fascino particolare: la potenza del paesaggio del Texas di quei tempi viene resa magnificamente.
In conclusione, Il Figlio è un romanzo che mi ha colpita enormemente. Riesce a raccogliere al suo interno, storia, tradizione ed emozione pur con una storia Western avvincete e ritmata.
Sono certa che questo libro non possa piacere a tutti, ma penso che dovrebbe. Davanti alle grandi opere bisogna riuscire ad andare al di là dei gusti personali e riconoscere il talento e, qui, ce n'è in abbondanza. Per questo motivo lo consiglio a tutti, andate avanti, non soffermatevi su ciò che istintivamente cercate di evitare. Ne vale la pena.
Ora non mi rimane altro che leggere Ruggine Americana che, a quanto si dice, potrebbe addirittura essere migliore di questo.
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(Io ho approfittato della promozione proprio per compare Ruggine Americana)
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