...Ma così vanno le cose, perché quando emigriamo assassiniamo coloro che ci lasciamo alle spalle.
Volutamente semplicistico.
Mohsin Hamid, autore pakistano famoso principalmente per il suo libro Il fondamentalista riluttante mi incuriosisce da molto tempo e, finalmente, ho deciso di approcciarmi ad un suo romanzo.
Exit West, scoperto grazie alla classifica dei 10 migliori libri del 2017 pubblicata da La Lettura, è stato il romanzo con cui ho deciso di avvicinare questo autore e, con il senno di poi, non so dire se la mia scelta sia stata azzeccata.
Purtroppo questo romanzo è andato di diritto a fare parte di quelle letture da cui mi aspettavo tantissimo e che, invece, mi hanno convinta davvero poco. Si tratta anche in questo caso di un libro apprezzato ed osannato dai più perciò, ancora una volta, mi ritrovo a dover scrivere una recensione scomoda, che non piacerà alla maggioranza.
Il titolo della recensione è ciò che riassume, secondo il mio personalissimo parere, tutte le caratteristiche di Exit West e, conseguentemente, il motivo per cui non l'ho apprezzato particolarmente. Come sempre, non mi azzarderei mai a dare un giudizio senza spiegarne il motivo, perciò potrete trovare il perché di questa affermazione in tutta la mia recensione e, infine, nella conclusione, dove cercherò di riassumere la mia opinione.
Ormai vi sarete forse stancati di vedermi scrivere che in un libro in Top Ten edito da Einaudi, quello che penso di trovare è uno stile ricercato, unico ed impagabile. Con Exit West la delusione è stata, forse, quella peggiore. Non voglio azzardarmi a dichiarare che Mohsin Hamid scriva oggettivamente male: non ho competenze abbastanza alte e, soprattutto, ho letto troppo poco di suo per dare un giudizio così netto, ma posso dire che a me in questo romanzo il suo stile non è affatto piaciuto.
I motivi sono molteplici: prima di tutto è troppo minimalista. Io amo la prolissità, si sa, ma so anche apprezzare la semplicità se ben scritta. Personalmente non ho avuto la sensazione che l'autore scrivesse l'essenziale, anzi, di parole di troppo ce ne sono eccome, mentre ne mancano a iosa che, invece, avrebbero fatto comodo.
Le ripetizioni di parole sono il secondo motivo: io, solitamente, le amo ma in questo autore mi sono sembrati semplici prolungamenti di frasi che, da sole, avrebbero voluto dire ben poco.
L'ego dell'autore, io apprezzo i manierismi e l'esercizio di stile, ma lo sbandierare una capacità, che tra l'altro non sono riuscita a rilevare, no. Mohsin Hamid mi ha dato l'impressione di volermi far vedere la sua bravura, inserendo alcune frasi lunghissime dove, però, il contenuto non spiccava. Non ho trovato raffinatezza della parola né incisività della scrittura.
Io non so se la scelta dello stile usato sia stata fatta per questo romanzo, che è impostato come una favola e rappresenta più un'allegoria che una storia in sé, o se questo è proprio lo stile che l'autore usa normalmente, perciò non posso giudicarlo in senso assoluto. Se avete letto anche altre opere dell'autore mi farebbe piacere, anzi, che mi faceste sapere se differisce di molto o se è esattamente lo stesso.
... Ma piuttosto con una rassegnazione intervallata a momenti di tensione, una tensione che andava e veniva, e quando diminuiva c'era la quiete, la quiete di cui si dice che è la quiete prima della tempesta, ma che in realtà è il fondamento della vita umana, sta lì ad aspettarci fra un gradino e l'altro della nostra marcia verso la mortalità, quando siamo costretti a fare una sosta e a non agire ma essere.
Mentre ho trovato alcuni periodi interessanti e degni di nota nella narrazione, ho trovato i dialoghi dimenticabili, intrisi di un significato che probabilmente io non sono riuscita a carpire. Facendomi sentire completamente esclusa.
– Mi sembra così naturale che tu sia qui.
– Anche a me, – replicò lei, posando la testa sulla sua spalla.
– A volte la fine del mondo può dare un senso d'intimità.
Lei rise. – già, come se fossimo in una caverna.
– E poi tu odori di cavernicolo. – aggiunse dopo un po'.
– E tu odori di fuoco a legna.
Ho avuto, leggendo Exit West di Mohsin Hamid, la stessa impressione che dicono di provare alcuni lettori davanti ad un romanzo di Murakami. Mentre io lo trovo profondo, intelligente e lo capisco alla perfezione, altri lo trovano sconclusionato, campato per aria, specialmente nei dialoghi. La colpa è, perciò, la mia; evidentemente non sono riuscita in alcun modo ad entrare nella frequenza in cui l'autore trasmetteva, sebbene io cerchi sempre, con qualsiasi romanzo, di comprendere il più possibile, in modo da dare un giudizio completo.
L'incipit del libro mi è piaciuto perché mi ha subito fatto capire l'impostazione della trama: un'accezione più favolistica che reale, una storia d'amore come tutte le altre, sebbene in un contesto unico e speciale. Inizialmente mi aveva convinta perché mi ricordava un po' lo Stevenson di alcuni racconti, che con leggerezza ti narra storie anche molto macabre per renderle meno pesanti.
La trama del libro è su due piani, una rappresenta il messaggio e un'altra la storia pura e semplice. In questo momento voglio valutare solamente l'ultima delle due, della prima vi parlerò tra poco.
Ciò che ci viene raccontato è una storia d'amore sbocciata in tempi difficili e la sua evoluzione davanti alle difficoltà, agli stenti ma anche alla stabilità. Non si tratta di qualcosa di inedito, ma è certamente gradevole. Alcuni passaggi li ho trovati particolarmente azzeccati, interessanti e forieri di spunti di riflessione. Ho trovato, però, anche frasi semplicistiche che amerei non trovare in un romanzo e che abbinate al forte messaggio che Mohsin Hamid voleva mandare, mi sono parse anche particolarmente stridenti e fuori contesto.
Le circostanze eclatanti, come quelle in cui si trovavano ora in quella città loro due e altri giovani che si erano messi insieme da poco, tendono a suscitare emozioni eclatanti. Inoltre il coprifuoco provocava un effetto simile a quello di una relazione a distanza, e si sa che le relazioni a distanza, e si sa che le relazioni a distanza, e si sa che le relazioni a distanza acuiscono la passione, almeno per un po', così come il digiuno acuisce l'appetito.
Bella la fantasia delle porte che fungono da "teletrasporto" riuscendo a far scappare le persone dalle loro realtà, se fosse stato argomentato maggiormente avrei trovato la storia narrata ancora più interessante.
Ciò che fa alzare la valutazione del romanzo ai miei occhi e che, so per certo, è stato apprezzato particolarmente dai lettori in generale, è il messaggio dell'opera. Mohsin Hamid, infatti, ci parla di emigrazione, della difficoltà di trovare un posto sicuro, un luogo felice, una casa che possa essere veramente considerata tale. La lotta per una condizione di vita adeguata è senza dubbio un argomento importante e tema principale delle frasi più profonde che possiamo trovare nel romanzo. Il tono favolistico rischia di penalizzare quella che, per me, è la qualità maggiore del libro: l'autore parla di un argomento interessante e toccante che conosce bene e di cui, perciò, può dirci qualcosa che, da soli, potremmo non riuscire a scoprire o comprendere ma, invece di scavare, rimane in superficie e si accontenta di dirci solamente una piccola parte di ciò che sarebbe stato interessante sapere.
Adesso nella città il rapporto con le finestre era cambiato. La finestra era il confine attraverso il quale era più probabile giungesse la morte.
Il finale mi è piaciuto dal punto di vista della trama ma non l'ho trovato soddisfacente dal punto di vista del messaggio: anche ora non so dire se l'autore volesse veramente parlare di emigrazione o questo fosse solo un contesto "comodo" dove inserire una trama completamente diversa. Il parallelismo tra storia d'amore e stato delle difficoltà vissute dai due protagonisti non mi è piaciuto, seppure non sia affatto marcato, perché l'ho trovato troppo cinico e questo è strano, dato che il cinismo, solitamente, mi trova dalla sua parte.
Per quanto riguarda l'atmosfera c'è un bilanciamento interessante. Da un lato troviamo un argomento toccante e un contenuto emotivamente coinvolgente, dall'altra il tutto ci viene raccontato con tono leggero e accompagnato da alcuni luoghi comuni già sentiti molte volte, oltre che non totalmente condivisibili. Il pathos, perciò, veniva e se ne andava a seconda di ciò che leggevo: alcune frasi mi hanno colpita, ma passavano e se ne andavano, senza avere il tempo di attecchire, distrutte da nuove argomentazioni che, invece, non apprezzavo. Probabilmente il fatto che non sia entrata in sintonia con il modo di pensare dell'autore è stato fondamentale per la valutazione di questo elemento.
I protagonisti Saeed e Nadia, sono gli unici realmente raccontati. Entriamo in contatto principalmente con ciò che provano, non raccogliendo tantissime informazioni, invece, su quello che effettivamente sono. Li ho trovati un elemento positivo del romanzo perché rappresentano la complessità umana, per quanto questo aspetto non sia stato approfondito quanto avrei voluto.
Nadia in quel momento provava una grande tenerezza per lui lì in attesa della sua risposta, ma anche un terrore galoppante, e anche qualcosa di molto più complicato, qualcosa che somigliava al risentimento.
Gli altri personaggi sono più o meno importanti a secondo del loro ruolo nella vicenda, ma non vengono interiorizzati dal lettore che li percepirà come estranei, comparse.
Anche l'ambientazione ha avuto aspetti che ho apprezzato moltissimo e altri che, invece, non mi sono piaciuti particolarmente. Oggettivamente belle le descrizioni e anche pratiche; si riesce a capire bene la vita dei de protagonisti e lo stato dei luoghi in cui vivono.
Quasi del tutto manchevole, invece, l'ambientazione spazio-temporale, che si può leggere o arguire in diversi punti ma che non viene mai descritta come qualcosa di rilevante all'interno della storia. Capisco che questa idea si allinei bene al messaggio che si voleva portare, ma anche in questo caso mi è sembrata una generalizzazione che mi ha esclusa, così, dal profondo degli animi di Saeed e Nadia.
L'isola era abbstanza sicura, si sentirono dire, eccetto quando non lo era, il che la rendeva simile alla maggior parte dei posti. Le persone perbene erano molto più numerose dei malintenzionati, ma in ogni caso dopo il tramonto era meglio restare nel campo, vicino agli altri.
Lo stile e la brevità della storia suggerirebbero un ritmo di lettura piuttosto sostenuto. Non essendoci, però, una storia incalzante il libro scorre indolore ma non velocemente come si potrebbe pensare. Non l'ho mai trovato noioso o di difficile lettura ma l'ho finito in una sera più per praticità che per interesse.
In conclusione, ritengo che l'autore abbia volutamente impostato un tono leggero per questa storia, volendola rendere più fruibile e piacevole, meno pesante.
Il risultato ottenuto su di me è stato negativo perché avrei preferito una maggiore profondità, anche a rischio di affrontare una lettura troppo difficile da digerire a causa dei contenuti aspri. Di spunti interessanti ce ne sono ma Mohsin Hamid ha voluto semplificare troppo, rischiando di ridurre a banalità argomenti complessi e unici: gli uomini e le loro storie.
Per questo motivo non so se consigliarlo o meno: lo consiglio a chi sa già di amare questo autore e che, probabilmente, riuscirà a capirne la logica meglio di me, non lo consiglio a coloro che sono curiosi di leggere una disamina sull'emigrazione perché l'argomento non viene affatto approfondito come ci si potrebbe aspettare e come, invece, mi era stato detto da molti. Anche in questo caso, è un libro più di pancia che stilisticamente unico, leggetelo perciò se è questo quello che cercate!