«Oh, lascia perdere. Tutti sembrano convinti che sia solo questione di natura o di ambiente, o di una combinazione tra i due, ma la sai una cosa? Io credo che sia ancora peggio di così. Credo che sia tutto... causale. È solo questione di caos e fortuna».
Il riflesso del passato è il romanzo d'esordio di Dan Chaon, autore portato nelle librerie italiane da NN Editore l'anno scorso con La volontà del male.
Dan Chaon dimostra anche in questo volume di amare le strutture sfalsate: i punti di vista da cui leggiamo sono ben cinque (anche se i principali e i più ripetuti sono solamente due) e vanno avanti e indietro nel tempo, sia in maniera esplicita (con la data indicata ad inizio capitolo) che implicita (tramite i pensieri, le riflessioni e i ricordi del personaggio di cui stiamo leggendo in quel momento).
Nonostante questo, la lettura appare piuttosto lineare e chiara. Il cambio di punto di vista non viene utilizzato, come spesso succede nei romanzi di questo genere, per creare suspense, bensì per formare un parallelismo tra le personalità, altrimenti diversissime, dei personaggi presi in considerazione. In effetti, il legame tra i diversi capitoli, per quanto non esplicito e dichiarato solamente pian piano, è piuttosto semplice da indovinare. Chaon in questo libro non stravolge con i colpi di scena ma scava nel profondo dell'animo umano, facendoci riflettere su alcuni aspetti scomodi che appartengono a molti di noi, se non a tutti.
I personaggi ritratti dall'autore sono degli antieroi, specialmente i due personaggi principali: Jonah e Troy. Come tutti hanno avuto delle sofferenze, come tutti hanno intrapreso delle strade e, come tutti, talvolta hanno preso la direzione sbagliata. Entrambi sembrano vivere all'interno di una spirale vittimistica che, da un lato, li porta a pensare senza sosta a tutto ciò che di brutto hanno avuto dalla vita e a darne la colpa ad agenti esterni, dall'altra, innesca in loro un senso di colpa automatico non appena riescono a pensare ad una via d'uscita. Entrambi sognano una vita migliore ma, sotto sotto, pensano di non meritarsela, come se dovessero espiare per sempre un peccato originale che non conoscono ma che sentono di avere commesso, anche solo nascendo.
E di nuovo si sente di meritare le cose brutte che gli sono capitate.
I due uomini condividono anche l'ossessione dell'immaginare "come sarebbe stato se". Attribuendo le loro sfortune ad agenti esterni, invece di concentrarsi sul loro presente e sulle loro azioni, preferiscono fantasticare su come sarebbe stata la loro vita se gli altri avessero preso decisioni differenti.
Si sentì svanire, e le altre vite che aveva immaginato volarono via, stupide come palloncini.
Lo stesso leit motiv della dissociazione della realtà dei suoi personaggi viene espressa da Chaon attraverso un lessico cinematografico e ai paragoni diretti con i film: i personaggi si immaginano in una dimensione di finzione dove magicamente tutto va a posto o viene compreso con uno sguardo, per poi sentirsi feriti quando la realtà decide di bussare alla loro porta e mostrare loro la sua vera faccia.
Non era come un film.
Tutto ciò che sto raccontando potrebbe mettere in una cattiva luce questi due personaggi che, in realtà, mi permetto di trattare con grande severità perché loro rappresentano tutti noi. Il parallelismo tra le loro, altrimenti diversissime, personalità, ci mostra proprio come non importa veramente ciò che ci succede: è facile indulgere con noi stessi a prescindere dal nostro errore. Quanto è più semplice incolpare di ogni nostro dolore gli altri e le loro scelte? Quanto è complesso ripartire da capo, cambiare e, sopratutto credere di potercela fare?
Il titolo originale You Remind Me of Me, in questo senso non potrebbe essere più azzeccato.
È l'autore che, facendoci leggere direttamente il loro punto di vista ci fa capire come possano agire in questo modo e, mentre da fuori saremmo portati a giudicarli duramente e senza indugi, da "dentro" ci pare tutto chiaro, quasi inevitabile. Veniamo scissi tra razionalità ed emotività, riuscendo a vedere la situazione sia dal punto di vista che si ritiene senza scampo, sia da quello saggio e oggettivo che appartiene a tutti coloro che si devono occupare di una situazione in cui non hanno alcun coinvolgimento emotivo e, per questo, la trovano semplice, risolvibile.
Leggere il loro punto di vista, perciò, non solo non è complesso, ma ci manda anche indirettamente un messaggio profondo su cui, volenti o nolenti, verremo chiamati a riflettere sul finale, sul quale avrei molto da dire ma che purtroppo non potrei analizzare senza darvi anticipazioni importanti.
Significative sono anche le descrizioni. Vivide e chiare, trasmettono un ulteriore parallelismo: quello tra la natura esterna dell'ambientazione e la natura interiore del personaggio preso in considerazione.
Oltre il parabrezza, la neve è una nebbia farinosa. Trasforma gli alberi, le case e i segnali stradali nel grigio confuso e granuloso di un schermo televisivo oscurato dalle interferenze. Il cielo sembra schiacciare il mondo, crollare, posarsi al suolo.
In conclusione, Il riflesso del passato è un buon libro che grazie alla sua struttura arzigogolata riesce a mostrare molto sull'uomo e sul suo modo di ragionare. La storia raccontata ha una buona trama, per quanto lo svolgimento sia semplicissimo da indovinare. Per chi ha letto La volontà del male è piuttosto immediato fare paragoni: questo esordio mostra in nuce ciò che lì verrà rappresentato in modo molto più complesso. In più, leggere questo primo libro mi ha aiutata a capire qualcosa in più de La volontà del male che, persa nella sua magistrale architettura e folgorata dai colpi di scena, avevo perso di vista e non compreso completamente.
Lo consiglio e se di Dan Chaon non avete ancora letto niente vi esorto, proprio perché trovo che mostri molto del progetto letterario dell'autore, a iniziare proprio da questo volume.